TRIESTE – Già da diverse ore si è chiuso il sipario del Teatro Rossetti su quello che è stato il concerto evento di Paolo Conte assente da troppi anni dalla nostra regione.
Oramai è notte fonda quando sto scrivendo queste righe e l’adrenalina non vuole saperne di lasciarmi dormire.
Quando si parla di Conte che suona dal vivo si sa benissimo a cosa si va incontro, e scrivere di lui e delle sue esibizioni non è affatto facile.
Tutta una serie di fattori legati a questo artista fanno sì che attorno a lui si sia creato il mitico personaggio Conte, un’autentica leggenda vivente capace di ammaliare le più esigenti platee del mondo.
Immenso ed enigmatico nel modo di creare la sua arte, attorno al suo nome ruotano situazioni ed atmosfere create dalla musica, mentre personaggi e luoghi, a volte immaginari e a volte reali perché incontrati o visitati nel corso delle sue esperienze di vita, vengono descritti nei suoi testi; in certi casi tutto questo è addirittura tradotto in disegni firmati dallo stesso Conte.
Per comprendere e conoscere al meglio questo artista è indispensabile il libro Quanta strada nei miei sandali: in viaggio con Paolo Conte, scritto da Cesare Romana.
Avvocato in primis, poi autore ed infine musicista jazz con la passione del disegno sin da quando era bambino, Paolo Conte irrompe sulle scene discografiche nel 1974 con un disco che porta il suo nome e lo fa dopo aver firmato, per altri cantanti prima di lui, brani diventati celebri.
Insieme a te non ci sto più, Onda su Onda, Messico e Nuvole, Tripoli ’69 e Genova per noi sono alcuni dei suoi titoli più conosciuti ma, sopra tutti c’è quella Azzurro pubblicata nel 1968 e portata al successo da Celentano, brano fortunato e datato che viene scelto per dare il nome a questo tour celebrativo passato anche per Trieste in questa anomala primavera.
Una serata organizzata dal Politeama Rossetti in collaborazione con Concerto Music, dove musica e solidarietà nuovamente si sono unite, questa volta a favore del Comitato Friuli Venezia Giulia AIRC per raccogliere fondi a sostegno dei migliori progetti di ricerca per la cura dei tumori pediatrici.
Dicevamo del concerto celebrativo dal titolo 50 years of Azzurro (50 anni di Azzurro) appunto, svoltosi in un teatro pieno zeppo dove non c’era più nemmeno un posto libero.
In Italia come all’estero, Conte e la sua orchestra registrano sold out in ogni dove, così come in quella Parigi che non solo si prenota i suoi spettacoli per diverse repliche ma che gli concede anche l’onore di pregiate onorificenze cittadine.
Ecco quindi che anche il pubblico triestino non è da meno ed è impaziente di sentirlo cantare con quella voce particolare che, per quanto grigia sia, riesce a dare colore e riscaldare l’ascoltatore, inserendosi perfettamente nella cornice del mondo contiano.Il sipario si apre, lo spettacolo inizia e tra passaggi virtuosi e suadenti melodie che sanno come coccolare l’ascoltatore, lo spettacolo cattura, rapisce e ci porta dove l’immaginazione vuole, proprio come desidera l’artista che per questo motivo, al contrario di tanti suoi colleghi, non si rivolge mai al pubblico se non con gesti e sorrisi di compiacimento durante le piogge di applausi tra un brano e l’altro. Questo è ciò che preferisce, il riconoscimento da parte del pubblico.
Da dietro al pianoforte il direttore d’orchestra dirige la serata che è una continua sfilata di successi, da Come Di (eseguita con l’immancabile kazoo, strumento sì abbinato da sempre al mondo del Jazz ma in particolar modo associato al repertorio di Conte in quanto sin dai suoi esordi, in mancanza di una band per motivi di denaro, lo accompagnava assieme al pianoforte per riempire le sue esibizioni), a Sotto le stelle del Jazz, da Alle prese con una verde Milonga alle nostalgiche melodie di Giochi d’azzardo e la bellissima Gli impermeabili, brano capace di alimentare emozioni sino in chiusura quando uno strepitoso assolo di sax regala l’atmosfera di un film d’altri tempi, una di quelle pellicole che fanno incetta di premi e lacrime.

Via con me è il brano più conosciuto e l’unico per cui il pubblico disturba l’esibizione scandendo il tempo con le mani.
Ma il meglio deve ancora venire e sarà servito da lì a poco. Ecco che dopo la classe di Max, sostenuta da un ottimo suono di marimba, ad un passo dalla chiusura arriva Diavolo Rosso, ovvero dodici minuti di estasi.
Il brano, il cui protagonista è nuovamente un ciclista (questa volta si tratta di  Giovanni Gerbi, astigiano e concittadino di Conte), è una cavalcata potente e irruenta che mette in risalto l’orchestra. La precisa ritmica alla batteria da parte di Daniele Di Gregorio e la linea di basso di Jino Touche indicano la strada mentre le tre chitarre (Daniele Dall’Omo, Nunzio Barbieri e Luca Enipeo),  tengono il pubblico con il fiato sospeso fino alla conclusione dei tre assolo di clarinetto, fisarmonica e violino eseguiti rispettivamente da Luca Velotti, Massimo Pitzianti e Piergiorgio Rosso che incendiano gli strumenti e mandano in visibilio il pubblico. Alla fine del brano sarà “standing ovation”.
C’è spazio ancora per un brano in chiusura e quindi si parte con Le chic et le charme, al termine del quale Conte che si congeda dal pubblico uscendo di scena suonando il kazoo.
Dopo ottanta minuti il sipario si chiude, il pubblico grida, acclama e si spella le mani applaudendo.
A luci accese in sala, Conte farà una sola apparizione per saluti e ringraziamento senza concedere alcun bis, alimentando il dubbio che, forse, qualche brano sia stato “tagliato” dalla setlist.
Gli spettatori per sette minuti non accennano a volersene andare mentre, fuori dal teatro, gira già la voce che Conte sia uscito per primo, in fretta e furia, per fuggire a prendere un volo a Venezia. Però…il signor Conte…classe 1937, non lo si vedeva in Regione dal 2007 (Villa Manin) e a Trieste dal 2002 (Teatro Rossetti), chissà se lo rivedremo nuovamente.

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

Foto di Franco Pellizzaro