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TRIESTE – Chi lo avrebbe mai detto che un grande artista, una star internazionale, si sarebbe esibita nella nostra città in chiusura dell’anno, in un’atmosfera del tutto particolare, per di più regalandoci forti emozioni?
Se pensiamo che in questi ultimi due anni l’ambiente dei concerti ha dovuto correre ai ripari, e soprattutto che gli artisti stranieri hanno dato forfait in più di qualche occasione, a maggior ragione l’esibizione di Tony Hadley assume un valore ancora più importante.
Nel bellissimo contesto del Teatro Rossetti di Trieste, davanti ad un pubblico da tutto esaurito, l’elegante vocalist, una delle voci più autorevoli del panorama mondiale del Pop, si è esibito per quello che è stato il penultimo appuntamento di questo suo nuovo tour italiano composto da quattro date.
Il famoso cantante d’oltremanica, già visto in Regione in altre sei precedenti occasioni (con gli Spandau Ballet a Lignano nel 1987 e nel 2015, Udine e Sesto al Reghena nel 2016 per un personale omaggio a Frank Sinatra, a Gorizia nel 2011 e l’ultima volta a Grado due anni or sono), si è presentato questa volta al cospetto del pubblico accompagnato solamente da quattro musicisti per un “intimo” set acustico.Tastiera, chitarre, percussioni e voce, hanno quindi cullato i presenti per cento minuti circa, durante i quali sono stati eseguiti, per la maggior parte, brani della storica band britannica da lui capitanata nei tempi d’oro della New Wave e del New Romantic, generi degli anni ’80 durante i quali gli Spandau sono stati i maggiori esponenti assieme ai rivali “Duran Duran” di Le Bon & Company.
Per chi non fosse stato presente, non tarderò a fare un resoconto della set list andata in scena durante questa fantastica serata organizzata dallo stesso Teatro, in collaborazione con Vigna Pr e Imarts, che anche questa volta hanno colto nel segno, stuzzicando il folto pubblico (per la maggior parte non più giovanissimo), accorso anche da fuori Regione.Si parte con White Christmas, alla quale si aggiungerà in seguito Silent night, tradizionali natalizi eseguiti assieme a Let it snow! Let it snow! Leti t snow! di Sinatra, Somebody to love in omaggio a Freddy Mercury, e Because of you, ovvero un’anticipazione della sua prossima pubblicazione prevista per l’anno prossimo. Come già detto, Hadley ha legato il suo nome alla storia degli Spandau Ballet, ma come accaduto ad altri suoi colleghi cantanti (il “frontman” è quasi sempre la figura agevolata nell’emergere dal gruppo rispetto agli altri componenti), non gli è affatto facile, possibile, o forse proprio non vuole, togliersi di dosso questo importante fardello.Vengono eseguiti quindi brani che tutti stavano aspettando come True, Gold, I’ll fly for you, Onyl when you leave, Lifeline, Through the barricades e Round and round, suonati in modo ineccepibile ma che, a parer mio, mancavano della presenza del sax che Steve Normann ci aveva ben abituati a farci sentire.

Un’ultima nota a commento di questa serata. Presenti in platea, in assoluta estasi adorativa, una nutrita schiera dei Back to Rio, interessante progetto musicale composto da ottimi musicisti triestini, che da alcuni anni propongono uno spettacolo con i maggiori successi dei Duran Duran e ovviamente degli Spandau Ballet. Per loro questa serata è stata veramente un bellissimo regalo di Natale.

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

Foto di Simone Di Luca

Grado (GO) – Sono passati poco più di due anni dall’ultima volta che “l’ Avvocato” ha suonato dal vivo nella nostra Regione. Anche allora, deliziato come sempre dalle sue performances, mi auguravo che non dovesse trascorrere troppo tempo prima di poterlo rivedere a casa nostra.
Fortunatamente ci ha pensato GradoJazz scegliendo per la serata conclusiva della sua XXXI edizione proprio lui, il mitico Paolo Conte accompagnato dalla sua fida orchestra di undici elementi.
Il concerto andato in scena sull’Isola del Sole, ed organizzato dalla sapiente famiglia dell’Associazione Culturale Euritmica, ci ha dato l’opportunità di ripercorrere tutto il percorso “contiano” grazie a questo spettacolo celebrativo dal titolo 50 anni di Azzurro, un chiaro omaggio ad uno dei brani che più gli ha regalato fama e notorietà.
E questo brano è stato solo il primo di una lunga serie di noti successi da lui firmati che, assieme a Tripoli ’69, Insieme a te non ci sto più, Onda su Onda, Genova per noi e Messico e Nuvole, sono stati eseguiti nella serata gradese e hanno chiuso la prima parte del concerto.
Rinomato autore di testi portati al successo da grandi voci italiane, oltre ad essere un jazzista ed anche un appassionato di disegno sin dalla tenera età, solamente nel 1974 si presenta al pubblico con il suo primo disco, omonimo, che sarà seguito da un numero considerevole di altre produzioni sino al più recente Amazing game del 2016.
Un vasto bacino di sedici pubblicazioni discografiche da cui attingere per la scaletta di questo concerto di ottanta minuti divisi in due set, durante i quali ci si addentra in un enigmatico mondo musicale condito dai suoi mirabolanti testi, e dove troviamo personaggi e luoghi, immaginari o reali, magari incontrati o visitati nel corso della sua vita.Indispensabili, per comprendere appieno questo artista, il libro Quanta strada nei miei sandali: in viaggio con Paolo Conte (2006) di Cesare Romana, ed il più recente documentario Via con me diretto da Giorgio Verdelli (2020), interessante pellicola in cui amici e colleghi descrivono il personaggio, ne esaltano la scrittura e raccontano aneddoti, mentre il protagonista, in prima persona, narra la sua storia.Ma veniamo al concerto adesso, iniziato come da programma con l’artista che si presenta in scena a musica già iniziata per prendere posto dietro al pianoforte da dove dirigerà la continua sfilata di successi.
Da Come Di (eseguita con l’immancabile kazoo, strumento sì abbinato da sempre al mondo del Jazz ma in particolar modo associato al repertorio di Conte), a Sotto le stelle del Jazz, da Alle prese con una verde Milonga alle nostalgiche melodie di Giochi d’azzardo, poi la bellissima Gli impermeabili, e Via con me, il brano più conosciuto in assoluto.Ma il meglio deve ancora venire e sarà servito da lì a poco con le note di Diavolo Rosso, brano il cui protagonista è il ciclista Giovanni Gerbi, concittadino di Conte.
Si tratta di una cavalcata potente e irruenta che mette in risalto l’orchestra e la precisa ritmica della batteria da parte di Daniele Di Gregorio che, con la linea di basso di Jino Touche, indicano la strada, mentre le tre chitarre (Daniele Dall’Omo, Nunzio Barbieri e Luca Enipeo), tengono il pubblico con il fiato sospeso fino alla conclusione dei tre soli di clarinetto, fisarmonica e violino, eseguiti rispettivamente da Luca Velotti, Massimo Pitzianti e Piergiorgio Rosso che “incendiano” gli strumenti mandando in visibilio il pubblico. Ovvio e classico finale con standing ovation.
Ma c’è spazio ancora per il brano di chiusura e quindi si parte con Le chic et le charme, al termine del quale Conte si congeda dal pubblico uscendo di scena suonando proprio il kazoo.
Ancora un’ultima apparizione sul palco, ma solamente per un saluto al pubblico ed il consueto gesto della mano che taglia la gola, segno per dire che lo spettacolo è davvero terminato.
Come detto all’inizio, il concerto di Paolo Conte ha chiuso il programma di GradoJazz, ma i grandi eventi a Grado sono tutt’altro che terminati e gli appuntamenti con nomi eccellenti proseguono fino ad agosto.
Sempre a cura di Euritmica, e sempre presso il Parco delle rose, la rassegna Onde Mediterranee propone quest’anno, per il suo quarto di secolo, Noa & Gil Dor il 27 luglio, Francesco De Gregori il primo agosto e, a chiusura della rassegna, Willie Peyote il 5.
Se vi siete persi qualcosa, avete ancora modo di rifarvi!

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

Foto di Angelo Salvin

UDINE – Gli anni ’90 per il Rock italiano sono stati davvero incredibili. Un’interminabile lista di band che spaziava in ogni direzione, aveva fatto sognare orde di giovani e non solo. Poi però qualcosa è andato storto e l’onda musicale si è infranta sugli scogli.
Tra i pochi sopravvissuti di quell’epoca, che oggi si contano sulle dita di una mano, ci sono i Marlene Kuntz ritornati in Regione, al castello di Udine, per la rassegna Udine Vola 2020 (l’ultimo appuntamento di questa edizione, previsto con Marco Masini, è stato posticipato a mercoledì 9 settembre).
Due sole le date quest’anno per la band piemontese (la seconda è prevista a Pistoia il 19 settembre), per un inaspettato set elettroacustico tutto da scoprire, presentato all’impaziente pubblico accorso anche da fuori Regione per vedere gli MK che, esattamente un anno fa, avrebbero dovuto suonare sempre qui, nello stesso luogo, ma che per problematiche legate alla salute di uno dei componenti, hanno dovuto rivedere tutto il loro calendario, dovendo annullare qualche data, compresa proprio quella del capoluogo friulano.
Sul palco il nucleo originale della band formato da Cristiano Godano, Luca Bergia e Riccardo Tesio, al cui fianco troviamo l’ormai collaudato Lagash al basso e il polistrumentista Davide Arneodo, per una scaletta che ha riservato più di qualche sorpresa.
E se mi posso permettere, per questa anomala stagione delle esibizioni live, va bene così,  quindi grazie all’ottima organizzazione di Azalea che ha dimostrato ancora una volta di saper gestire ogni tipo di situazione, proponendo sempre spettacoli di elevata qualità.

Si parte con Ti giro intorno dal disco Il vile del 1996 per poi proseguire con Sapore di miele (da Uno del 2007), Notte (da Senza peso del 2003) e La tua giornata magnifica (Nella tua luce del 2013), per uno spettacolo che decisamente ha un sapore diverso rispetto a quanto siamo stati abituati dalla band cuneese.
Infatti la complicità che si è venuta a creare tra la situazione virologica, che ci obbliga a stare sempre seduti ad una certa distanza l’uno dall’altro, e la scelta della band di creare uno show come questo, ci coglie assolutamente impreparati.
Ai concerti degli MK si poga, si grida e ci si scalmana al suono dell’onda d’urto sonora proveniente dal palco.
Ho sempre sostenuto che i Marlene sono meglio dal vivo che ascoltati in disco, stasera invece assistiamo ad uno spettacolo per certi versi sornione che, come un gatto dall’indole bastarda, aspetta il momento giusto per svelare il suo carattere e mostrare i denti.
Mi aspetto una svolta da un momento all’altro, ed è solo questione di tempo.
Dopo Musa (quella dei bellissimi versi “perché tu sai come farmi uscire da me, dalla gabbia dorata della mia lucidità, e non voglio sapere quando come e perché questa meraviglia alla sua fine arriverà”), e Osja, amore mio, ecco che il felino si gira, ci guarda e inizia a soffiare.
Con Fantasmi la serata decisamente prende una piega diversa e prosegue con la bellissima Lieve (dal debutto Catartica del 1994),  Io e me, Infinità e Ineluttabile (questi ultimi due da Ho ucciso paranoia del 1999), fino a Nuotando nell’aria che ha chiuso il concerto davanti ad un pubblico forzatamente composto tutta la sera, ma in piedi sul finale ad applaudire e omaggiare in standing ovation una grande e storica band.

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

foto di Gianpaolo Scognamiglio per gentile concessione di Azalea.it

© Simone Di Luca

PALMANOVA – Come si poteva prevedere alla fine della serata eravamo tutti in piedi a saltare e battere le mani sulle note di Una musica può fare ma, però, senza mai abbandonare il posto che ci era stato assegnato e che obbligatoriamente dovevamo mantenere.
Per tutto il concerto ci siamo trattenuti dall’esplodere di entusiasmo e divertimento a causa delle regole che purtroppo conosciamo fin troppo bene, ma confidiamo che prima o poi riusciremo a mandare a farsi friggere questo Covid19!
Ad ogni modo nessuno meglio di Max Gazzè poteva chiudere la XXIV edizione di Onde Mediterranee, rassegna che si congeda dal pubblico in modo elegante e raffinato con uno dei cantautori italiani più noti ed amati dei nostri giorni.
Dopo i saluti di inizio serata da parte di istituzioni e organizzazione, che hanno raccontato i disagi e la disperazione della scorsa primavera quando ancora gli spettacoli non erano nemmeno ipotizzabili , ecco aprirsi le danze con un’artista di supporto. Caterina Cropelli, in arte solamente Caterina, nota al pubblico televisivo per aver partecipato ad una delle recenti edizioni di X Factor, che ha il piacere di presentare al pubblico il suo omonimo disco di debutto, intrattenendo gli spettatori per una ventina di minuti circa eseguendo una manciata di brani tra cui anche Duemilacredici, brano da cui è stato estratto anche un videoclip.
Poi arriva il momento di Max Gazzè che, per questo tour, ha deciso di lasciare spazio in scaletta anche a brani che non erano mai stati eseguiti live prima d’ora come Gli anni senza un Dio (dal disco Contro un’onda del mare del 1996), oppure La cosa più importane, brano del 2010 eseguito in concerto solo in occasione del tour del disco Quindi?.
Ovviamente non sono mancati i brani famosi, quelli che conosciamo molto bene e che ci hanno fatto apprezzare la sua coraggiosa e sperimentale vena compositiva, con audaci sonorità retrò anni ’70 di tastiere, synth e moog, ed inaspettate incursioni di fiati e schitarrate in sottofondo.Elementi non convenzionali  per un genere musicale “di massa” e riproposti live in questa serata rispettivamente dal maestro Clemente Ferrari, Max Dedo e Davide Aru.
Un esempio su tutti l’esecuzione del brano La favola di Adamo ed Eva eseguita con un finale dilatato (senza annoiare o essere di troppo), che seguendo la strada indicata dall’assolo di un magnifico trombone sorretto dai ricami sonori di tastiere e chitarra, si è evoluto attraverso Dub, Jazz e Chill Out prima di concludersi.
Prima della chiusura c’è spazio anche per una brano proveniente da una delle sue collaborazioni: Vento d’estate (realizzato con Niccolò Fabi), ed eseguito assieme alla già citata Caterina richiamata sul palco per l’occasione.

© Simone Di Luca

Gran finale, come detto all’inizio, con Una musica può fare, quella in cui i versi recitano chiaramente “…salvati sull’orlo del precipizio, quello che la musica può fare, salvati sull’orlo del precipizio non ci si può lamentare…”. Penso di non essere affatto azzardato se asserisco che, per chiudere un concerto in questo periodo, non poteva esserci brano più azzeccato.
A tirare la somme, quella che si temeva potesse essere un’estate misera di concerti è stata comunque una stagione ragguardevole sotto questo punto di vista, e questo grazie all’Associazione Culturale Euritmica che per la rassegna Estate di stelle (che già da anni porta grandi nomi musicali in Piazza Grande a Palmanova), ha inserito in cartellone questo bel concerto nell’ambito di Onde Mediterranee, manifestazione che l’anno prossimo festeggerà il suo primo quarto di secolo di vita. Certamente la prossima sarà un’edizione col botto.

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

foto di Simone Di Luca

GRADO – Ad essere sincero temevo che quest’estate non avremmo potuto assistere ad alcun concerto. Non appena terminata la forzata reclusione della scorsa primavera, i vari appuntamenti estivi messi già in programma dall’autunno dell’anno passato hanno iniziato a subire rinvii o peggio ancora annullamenti.
Fortunatamente però c’è chi è riuscito comunque a proporre spettacoli di livello e degni del grande pubblico. Situazione per nulla facile o scontata per un lavoro già complesso in situazioni normali e questa volta reso ancor di più articolato con tutte le normative anti virus da rispettare.
L’Associazione Culturale Euritimica è riuscita anche quest’anno a sbalordire il pubblico delle grande occasioni proponendo un rispettoso cartellone per la XXIV edizione di Onde Mediterranee (chiusura della rassegna domenica 9 agosto a Palmanova con Max Gazzè).
Dopo l’apertura affidata a Tosca con un interessante spettacolo di ricerca musicale, ecco un gradito ritorno, quello di Daniele Silvestri, artista romano che non ha affatto bisogno di presentazioni.
Classe 1968 il noto cantautore, attivo dal 1994, ha richiamato al Parco delle Rose di Grado un folto pubblico che ha segnato, come prevedibile,  il sold out nonostante le regole che sin dall’inizio si sapeva dovevano essere rispettate.Tutti muniti di mascherina sul volto, rispettosi delle distanze e con i posti da occupare a seggiole alterne, abbiamo comunque saputo goderci lo spettacolo da seduti anche se rimanere fermi non è stato affatto facile.
Per due ore e mezzo di concerto (va d’obbligo segnalato che non ci sono state pause), Silvestri ha regalato una serata davvero ipnotica e ricca di atmosfere durante la quale ha ripercorso tutta la sua carriera proponendo live sia brani famosi, sia brani rimasti per tanto tempo fuori dalle sue scalette da concerto.
L’artista si è presentato al pubblico in perfetto orario, iniziando solamente con voce e piano con il brano A bocca chiusa, per poi farsi raggiungere dai sette elementi della band e, a line up completa on stage, c’è stato il momento del saluto al pubblico e l’invito sul palco di Claudio e Paola, genitori di Giulio Regeni, per un tributo e solidarietà alla loro nota causa.
Lo spettacolo che lo ha visto alternarsi tra voce, chitarra elettrica, acustica e pianoforte, e sempre con la sua inseparabile ironia e voglia di scherzare, è scivolato via mettendo in luce tutta la classe silvestriana, dove contaminazioni sonore di varo tipo (Swing, Reggae, Latino, Flamenco e Rock), sono state presentate anche in diversi brani, trasformandoli quindi in una chiave diversa da come li conosciamo.
Ecco quindi che la piccola orchestra, che questa sera ha fatto tappa sull’Isola del Sole, suona per noi i brani Io fortunatamente, Le cose in comune, Sornione, Caro architetto, Bliz gerontoiatrico e Sogno-B, Il flamenco della doccia e Il mio nemico, sparsi durante la serata che prevede nel programma un set elettrico ed uno acustico.
L’affiatamento dei suoi gregari è ottimale e testato già da tempo. Essenziali le percussioni aggiuntive di Jose Ramon Caraballo, suggestive le chitarre del fido Daniele Fiaschi, ottimi gli incastri di tastiere e synth di Duilio Galioto e di Gianluca Misiti (altro storico musicista al fianco di Silvestri), interessanti i fiati proposti da Marco Santoro (tromba e oboe). Senza dimenticarci della precisa e solida sezione ritmica composta da Gabriele Lazzarotti al basso e Piero Monterisi alla batteria sin dagli inizia di questa avventura artistica ritornata, questa sera, nella nostra regione.
Molti i brani attesi ma rimasti fuori dalla scaletta. Nemmeno i due bis con Gino e l’Alfetta, Salirò e La Paranza accontentano le speranze.
Si chiude con Testardo invece che con la solita Cohiba, ma dal palco Daniele Silvestri spiega che è una sua scelta e la riserva per le prossime volte quando ci sarà permesso saltare e ballare sotto il palco.
Anche se a malincuore noi tutti accettiamo, ma è una promessa che teniamo come un augurio per rivederci e cantarla assieme.

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

foto di Angelo Salvin

Prendiamo quattro baldi giovani con la passione per il buon Rock di qualità, quello deciso e influente che ha lasciato una profonda ed inconfondibile impronta, mettiamoli assieme e lasciamo che in una sala prove sgorghi la loro passione come un fiume in piena.
Da questo incontro si crea una piacevole pellicola hollywoodiana che racconta di un viaggio in macchina attraverso lo stato a stelle e strisce, dove troviamo roadhouse e strade circondate dal deserto, mentre una piacevole colonna sonora fa da sfondo e ci coccola al suono di piacevoli melodie vocali sostenute da accattivanti ritornelli.
Nati nel 2017 da un progetto musicale scioltosi poco tempo prima, Davide Falconetti (chitarra e cori) e Paolo Cernic (voce) decidono di non gettare alle ortiche quanto già messo in cantiere con la band precedente rafforzandosi con l’arrivo dei due Andrea, Cok (Basso) e Imbergamo (Chitarra e Piano), e debuttano con Rock N’ Roll Rebirth dove, nonostante il classicismo dell’Hard e Melodic Rock, non mancano modernità e originalità che i quattro moschettieri nostrani del Rock hanno saputo dare a questa loro opera prima.
Già nel titolo (la traduzione dall’inglese significa La rinascita del Rock ‘n’ Roll), questo disco si presenta come un tributo a questo genere musicale che si svela come un viaggio attraverso la sua anima, passando per ogni sua declinazione e spin-off, omaggiando mostri sacri del settore che continuano a farci sognare con le loro composizioni.
Con le idee ben chiare del percorso che vogliono seguire, ma senza scendere a compromessi ed escludendo le tendenze musicali più in voga del momento, questa band fornisce un valido certificato a garanzia della genuinità del prodotto offerto, concepito e creato seguendo la strada “del suonare ciò che piace di più”.Negli undici capitoli che compongono il disco, i 5ive Years Gone (nome scelto per ricordare la durata delle precedenti esperienze in altri progetti di uno dei componenti e dalle quali sono state recuperate diverse idee rimaste allora nel cassetto), la band permette all’ascoltatore di orientarsi in questo vasto mondo musicale, fornendo una chiara e consultabile mappa grazie alla quale è possibile riconoscere le influenze di Gun n’ Roses e Bon Jovi, richiami agli Aerosmith e Cinderella, sino a qualche inaspettato personaggio che chi scrive individua nella Steve Miller Band e Hootie and the blowfish con la hit single All I know, splendido brano che si offre come valido biglietto da visita per l’ascoltatore.
Ma ci sono anche altre situazioni interessanti contenute in Rock N’ Roll Rebirth, come la ballata acustica Song 4 U, l’Heavy Rock di Mary Jane, il metal sfiorato di Promise e l’accattivante Never be the same. Tutto questo al suono di chitarre sanguinanti (come la band stessa ama definire), sotto la guida di un basso che segna la strada e di ritmiche precise delineate dalla batteria dell’ospite Francesco Bardaro che, oltre a suonare, ha prestato la sua esperienza come tecnico del suono nel suo studio dove il disco è stato registrato.

Peccato che i concerti in questo periodo virologico siano forzatamente latitanti; non sarebbe stato affatto male in questa estate poter ascoltare questo disco suonato live in riva al mare e ricreare con l’immaginazione qualche altra piacevole situazione soprattutto adesso che l’organico si è ampliato con l’arrivo del batterista Michael Bonanno, figura sino ad ora mancante.
Ora i 5ive Years Gone sono più carichi che mai e stanno preparando del nuovo materiale per un’altra appagante esperienza nel mondo del Rock.

 

di Cristiano Pellizzaro per RadioCityTrieste

foto di Viktor Tomic

 

Pagina Facebook 5ive Yeras Gone

Canale Youtube 5ive Years Gone

TRIESTE – Sono passati già due anni da quando questa storica band francese ha nuovamente iniziato a girare in lungo e in largo dopo moltissimi anni di pausa.
E pensare che inizialmente avevano previsto solamente una cinquantina di date per celebrare i trent’anni del loro debutto discografico.
Invece dal palco del Teatro Miela di Trieste è andata in scena la centosettantaduesima replica per la band parigina dei Les Négresses Vertes che, al momento, non ha nessuna intenzione di fermarsi.
Mlah, parola che in lingua araba significa Tutto bene, era il titolo del loro primo disco (che ora viene celebrato), una pietra miliare, un caposaldo del Patchanka, genere che, sul finire degli anni Ottanta, ha iniziato a farsi strada anche grazie alla concomitanza del sound dei colleghi Mano Negra.
Stiamo parlando di un autentico crogiuolo di stili, influenze popolari e folkloristiche, riempito di sonorità anche grazie alle diversità culturali ed etniche dei componenti della band.
Vista l’eccezionalità dell’evento (sold out già diversi giorni prima), l’inizio della serata è stata anticipato da una breve presentazione dei festeggiamenti per i trent’anni del teatro, da parte dell’organizzazione.
Gli anni passano, i capelli bianchi e le rughe si son fatti strada sui volti di chi calca il palcoscenico e di molti dei presenti tra il pubblico, che un tempo hanno avuto la possibilità di vivere direttamente questo fenomeno in prima persona ma, nonostante tutto, la voglia di scatenarsi non è venuta meno da nessuna delle due parti.Una formazione di sette elementi, rimaneggiata nella line up già dal 1993 per la triste dipartita del paroliere e cantante Helno, omaggiato da Manu Chao con il brano Helno est mort (Sibérie m’était contéee del 2004) e dai Modena City Ramblers con Morte di un poeta (Riportando tutto a casa del 1995),  che non ha, però, deluso le aspettative, sfoderando energia, verve e diffondendo ottima musica verso un pubblico entusiasta.

Da Voilà l’ètè, passando per Hey Maria e Zobi la mouche, sono stati suonati tutti i cavalli di battaglia della band, andando a pescare anche qualcosa d’altro della loro attività musicale.
Un’autentica festa, alla quale molti non avrebbero mai sperato di poter assistere, nemmeno nel 2013, quando Stéfane e Iza Mellino (compagni nella vita e sul palcoscenico) avevano già fatto tappa proprio al Miela per un loro concerto.
Come già detto, diverse persone hanno dovuto rimanere fuori dal teatro poichè, in tanti, hanno voluto prendere parte a questa serata e non si sono lasciati sfuggire quest’occasione arrivando anche da fuori città.
Come Daria ad esempio, venuta da Gradisca d’Isonzo. Lei li aveva già visti a Francoforte nel 1992. Erano i tempi d’oro di Helno.

 

 

 

 

 

 

 

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

Foto di Cristiano Pellizzaro (ad eccezione della locandina)

La fortuna ci ha baciati, ci è andata bene. La sorte ha voluto che i Beat on rotten woods fossero una meraviglia musicale triestina.
Era destino, doveva succedere. Le cose non accadono mai per caso. Potrebbe sembrare una lusinga che si spinge oltre al limite della decenza, un comportamento da ruffiano che anche per un adolescente sarebbe troppo, ma in un momento in cui mi sento di dire che rivisitazioni e tributi di ogni sorta hanno saturato il mercato e che l’originalità artistica oppure le novità in certi lasciano desiderare, ecco il debutto discografico dell’omonima band, Beat on rotten woods (registrato e mixato da Alessandro Giorgiutti e masterizzato da Gabriel Ogrin). Una bella ventata di aria fresca, una passeggiata in un vasto parco cittadino per fare una pausa dalla quotidiana confusione metropolitana.

Dopo averci concesso un assaggio con l’EP Stay rotten del 2016, arriva il primo capitolo della groove box triestina che per cinquanta minuti sprigiona una moltitudine di suoni mischiati a vari generi e stili (Blues, Grunge, Beat Box) che l’unione dei componenti ci permette di ascoltare.
Dal debutto avvenuto nel 2013 sotto forma di un’essenziale ed incisiva formazione a due, oltre all’EP e ai due video clip di Shining people e Spaces, sino ad oggi per i Borw c’è stato spazio anche per la partecipazione all’edizione 2017 del Mittelfest, per uno spettacolo sperimentale tra danza e concerto, oltre che ad una lunga serie di live, circostanza che da sempre ha contraddistinto la band e ha fatto sì che il loro pubblico diventasse davvero numeroso.
La decisione di ampliare l’organico per completare la ricerca dei suoni e creare maggior impatto, permette ai padri fondatori Rob e Mace (chitarra il primo, voce e beatbox il secondo), di farsi affiancare dal 2018 da Nevio (banjo e voce) e Tilen (basso, chitarra e voci) per il proseguio dell’avventura che oggi ci regala questo primo e completo lavoro discografico.
Per tutte le tredici tracce Beat on rotten woods (disco autoprodotto dalla band che da febbraio inizia una collaborazione con l’etichetta triestina MOLD Records), ci accompagna in un luna park sonoro dove melodie e ritmiche (beat box) creano situazioni urbane che si alternano a paesaggi desertici di un insolito e moderno Far West (descritto dall’intreccio di basso e chitarra) al suono di un insolito Blues che affonda le radici nella sua genuina tradizione, mentre l’inaspettato banjo appare a sorpresa come solido elemento in I built my home.
Difficile trovare il pezzo migliore all’interno di questo cesto di leccornie dove Monkey House è l’unico brano già presente nell’Ep, mentre la conclusiva Sleeping termina con un ridondante giro di chitarra che ci lascia assetati per un nuovo, immediato ed ingordo ascolto.
Assolutamente da vedere dal vivo, i Beat on rotten woods suoneranno per il release party del disco il prossimo 5 marzo al Loft di Via Economo a Trieste.
Per l’occasione i Borw saranno presenti in diretta radiofonica a RadioCityTrieste, sabato primo febbraio alle ore 14.00, ospiti de Il Geco per la sua trasmissione Fronte del Palco.

di Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

foto di Paola Erre

Beat on rotten woods – LINK UTILI

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Email – borwofficial@gmail.com

Bandcamp

Canale Youtube ufficiale   (contenente anche i video clip di Shining People e Spaces)

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TRIESTE – Non è facile che dalle nostre parti ci sia la possibilità di assistere a serate come quella andata in scena sabato scorso al Miela ma, purtroppo, non siamo abituati a questo genere di eventi.
Per fortuna, però,  il Teatro Miela ha sempre delle belle cose in cartellone, soprattutto quest’anno in occasione del suo trentennale e, quindi, per poter festeggiare in modo adeguato la ricorrenza, l’organizzazione ha ben pensato, cosa che comunque fa ogni anno, di curare la scelta degli artisti da proporre in modo da soddisfare ogni genere di pubblico.
Ed ecco che, come prima serata (rientrante nella rassegna Miela Music-Live), arriva direttamente da Vienna Richard Dorfmeister, un’ artista che certamente non ha bisogno di presentazioni.
Dopo un doveroso e buon set triestino di riscaldamento a cura di Jazza/Electrosahcer durato circa un’ora, il professore è pronto a salire in cattedra per impartire una di quelle lezioni musicali a suon di bit che difficilmente si possono dimenticare.Un autentico evento di richiamo, organizzato come party di inaugurazione della trentunesima edizione del Trieste Film Festival, ospitato per l’occasione nel teatro posto sulle rive cittadine, per la prima assoluta in città di questo guru del genere.
L’esibizione proposta da Dorfmeister, si è sviluppata in un interessante set di “dancefloor oriented”, in equilibrio perfetto tra raffinate atmosfere elettroniche e musica “colta”, eseguita in solitaria questa volta, e non assieme al vecchio compagno di avventure Peter Kruder.
I due, sin dai primi anni ’90, hanno rivisto le regole del gioco segnando il sentiero di nuove sonorità, diventando un autentico punto di riferimento per gli amanti del genere, remixando brani di nomi famosi della scena Rock Pop mondiale, mentre risale al 1993 la fondazione della nota etichetta G-Stone Recordings della premiata ditta Kruder & Dorfmeister appunto.

La serata sembra non voler finire mai, il numeroso pubblico apprezza e dall’alto del palco il nostro incantatore ricambia il calore del pubblico con un esibizione che si conclude dopo quasi tre ore, durante le quali si sono potute ascoltare diverse influenze musicali.
Non c’è male, quindi, come inizio dei festeggiamenti per il terzo decennale del teatro Miela, e sicuramente ne vederemo (e sentiremo) delle belle.
Intanto sono in arrivo i Les Négresses Vertes sabato 15 febbraio e, a seguire, tanti altri ancora.
Programma completo sul sito del teatro www.miela.it.

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

UDINE – In questi ultimi anni abbiamo assistito ad un notevole aumento di apparizioni sulla scena da parte di tribute band e spettacoli celebrativi.
Non credo sia il caso di parlare di fenomeno, ma certamente questa proposta si è fatta spazio in modo sempre più evidente entrando nel giro degli eventi e riempiendo le piazze.
La storia delle tribute band, ad ogni modo, è roba vecchia, che comunque, poco più di dieci anni fa, ha iniziato a bollire in pentola, dopo altrettanti anni di esistenza.
Chiaramente questi spettacoli nascono per volontà e desiderio di appassionati che vogliono riproporli il più fedelmente possibile; spettacoli celebri che oramai potrebbero ritornare in vita solamente grazie alle cronache. Inutile stupirsi, quindi, se la risposta da parte del pubblico sia notevole.
Al contrario di tante altre band tributo, la storia dei The Musical Box inizia in Canada, a Montreal, un quarto di secolo fa, per riproporre uno dei più grossi miti del Progressive mondiale, quello dei britannici Genesis e la scelta del nome, come da tradizione, cade sul titolo di uno dei brani più famosi della band.Il bersaglio viene centrato in pieno e la storia di questa tribute band è fatta di continui tour mondiali sempre nuovi e fedeli agli originali, dove musica, effetti, suoni e costumi regalano emozioni legate al primo periodo della band originale.
I The Musical Box, non per nulla, sono l’unica band tributo riconosciuta dai Genesis, impegnata in continue tournée che ogni volta riscuotono un notevole interesse anche nel nostro paese.
E così, con questa nuova avventura dal titolo A Genesis Extravaganza vol. 2, per la prima volta fanno tappa nella nostra regione, con questo concerto nel capoluogo friulano al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, saggiamente organizzato da Azalea per la felicità degli appassionati e dei nostalgici.
In due ore e mezza di spettacolo, diviso in due parti (durante la pausa oltre al cambio palco sono stati regolati i volumi della voce che hanno decisamente fatto la differenza), i canadesi emuli dei nostri eroi hanno lasciato a bocca aperta il pubblico che in religioso silenzio ha seguito l’intera esibizione gustandosi una fedele riproposizione di quanto accadeva negli anni ’70, regalando un autentico ed emozionante salto nel passato.
Chissà in quanti tra i presenti avranno avuto la possibilità di vedere allora i veri Genesis e chissà in quale luogo. Chissà in quanti avranno ancora vivo il ricordo di quel concerto sfumato a

Trieste al Dancing Paradiso l’8 aprile del 1972, quando band e pubblico trovarono chiuse le porte del locale per motivi di ordine pubblico.
Ricordi di un tempo che saranno riemersi durante tutto lo spettacolo, con le esecuzioni dei sedici brani, dei quali ricordiamo The cinema show, Stagnation, Dance on a volcano, Down and out, Los endos  e, ovviamente, The musical box posto a chiusura del secondo atto.
L’unico neo, un solo travestimento portato in scena dal cantante Denis Gagnè, presentando all’impaziente pubblico la donna volpe che appare sulla copertina del disco Foxtrot del 1972.
A parte questo, però, nessuno sarà ritornato a casa deluso.

Cristiano Pellizzaro per Radio City Trieste

Foto di Pietro Rizzato