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Radio City Trieste
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Radio City Trieste9-12-2024 17:20
RCT Sport - Basket - La Leonessa banchetta su una Trieste dimezzata
In collaborazione con Sport in the City - articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO TRIESTE – BASKET BRESCIA: 65-69
Trieste: Bossi, Deangeli (k) 2, Uthoff 15, Ruzzier 16, Campogrande, Candussi 8, Brooks 7, Johnson 5, Valentine 12, Paiano n.e., Crnobrnja n.e., Obljubech n.e.
Allenatore: Jamion Christian. Assistenti: Francesco Taccetti, Francesco Nanni, Nick Schlitzer.
Brescia: Bilan 17, Ferrero, Dowe 9, Della Valle 9, Ndour 4, Burnell 12, Tonelli n.e., Ivanovic 2, Mobio, Rivers 12, Cournooh 4, Pollini n.e..
Allenatore: Giuseppe Poeta. Assistenti: Matteo Cotelli, Gianpaolo Alberti.
Arbitri: Borgo, Lucotti (Baldini infortunato)
TRIESTE - Una Pallacanestro Trieste con la pattuglia straniera ancora decimata perde una partita brutta per tre quarti, in cui le difese prevalgono decisamente su attacchi dalle polveri bagnate sui due lati del campo, con Brescia che approfitta dei due quarti centrali (durante i quali Trieste non raggiunge i 10 punti segnati) per scavare quel gap che si limiterà ad amministrare non senza qualche affanno nei dieci minuti finali.
Non è solo una questione di lunghezza di rotazioni, e tutto sommato nemmeno di punti prodotti dalla coppia ancora assente (parlare di trio è del tutto inutile: di Reyes non sono noti tempi e possibilità di rientro, dunque tanto vale non contarci nemmeno): Markel Brown e Colbey Ross aggiungono alla squadra inventiva e capacità di creare gioco che, in loro assenza, diventa prevedibile e macchinoso, con equilibri da ricreare e, talvolta, improvvisare sia in attacco che in difesa.
Ne esce una partita sghemba, che Poeta riassume giustamente con alcuni “nonostante”: “L’abbiamo vinta nonostante il 3 su 16 da tre punti -il 19%-, nonostante la sconfitta a rimbalzo -46 a 44, di cui ben 19 rimbalzi offensivi concessi a Trieste-, nonostante una percentuale al tiro da 2 inferiore agli avversari, nonostante una produzione offensiva inferiore ai 70 punti, nonostante i 31 punti realizzati da Trieste nell’ultimo quarto: normalmente, fuori casa, con questi numeri la perdi, ed invece stasera l’abbiamo portata a casa”.
La spiegazione, in realtà, non è difficile da dare: Trieste produce statistiche non tanto migliori, ma di gran lunga più sbilanciate: si incaponisce da oltre l’arco tirando 34 volte da 3 (centrando solo 8 volte il bersaglio) e 31 da due, mentre Brescia, quando capisce che la serata da fuori è nata storta, limita i tiri dai 6.65 (solo 16 le triple tentate in 40 minuti per la squadra lombarda), concludendo invece ben 54 volte da sotto, sfruttando la solidità di Bilan ed il fisico nell’uno contro uno di Burnell, Dowe e Rivers.
Scelta che nel terzo quarto permette di produrre l’accelerazione che genera il break decisivo, complici anche i 5 minuti di blackout offensivo biancorosso.
Trieste perde nuovamente una caterva di palloni, ma la casella che recita 15 turnovers non spiega quanto sanguinosi siano stati alcuni di essi, in momenti cruciali dell’incontro.
Interessante anche l’analisi della qualità dei tiri costruiti -e falliti- da Trieste: stavolta sono stati moltissimi i tiri aperti non contrastati a non entrare in momenti che avrebbero potuto cambiare definitivamente l’inerzia dell’incontro, una cattiva esecuzione di un gioco decente che alla fine costa la partita nonostante la conquista con i denti del pieno diritto di giocarsela fino in fondo, senza peraltro dare mai l’impressione di poter realmente completare l’opera.
Per una volta, però, le rotazioni corte non impediscono di finire con un evidente crescendo di intensità fisica e di lucidità, sebbene la ritrovata precisione offensiva arrivi troppo tardi per approfittare di un’avversaria che toglie troppo presto il piede dall’acceleratore.
Del resto, soprattutto in casa con l’intero palazzo a spingere la rimonta, questa squadra, con qualunque quintetto sia costretta a presentarsi, è priva del tratto genetico della resa incondizionata.
In tempi non troppo lontani un -21 a 15 minuti dalla fine, con tre stranieri, fra cui i migliori giocatori del roster, fuori causa, dopo aver realizzato la miseria di 17 punti nei venti minuti centrali contro i secondi in classifica che si presentano al completo ed in totale fiducia, sarebbe con ogni probabilità diventato un -30 con mani lungo il corpo, testa china e voglia matta di andare sotto la doccia anzitempo.
Quest’anno non succede mai nulla di tutto ciò: Trieste mostra orgoglio e voglia di reazione, i suoi leader suonano la carica, Valentine ha la giusta faccia tosta e non si lascia certo travolgere dalla pressione della responsabilità anche se deve ancora imparare a valutare con maggiore precisione quando è il momento di fidarsi dei compagni -anche se liberi- e quando è preferibile invece mettersi in proprio, Uthoff non arretra di un millimetro ed è intimidatorio soprattutto in difesa, Ruzzier capisce quando è il momento di prendersi iniziative offensive che peraltro sono nelle sue corde anche tramite l’attacco diretto al ferro, Brooks è un capo popolo trascinatore dentro e fuori dal campo, solido mentalmente e fisicamente a dispetto di una età che sta solo sulla carta d’identità.
La sua prestazione difensiva su Bilan per gran parte dell’incontro limita il centro croato apparso a tratti intimidito sotto canestro, anche se poi finisce con una doppia doppia da 17 punti e 21 rimbalzi frutto di un gioco che piacerà tantissimo ai detrattori del run and gun in favore del “bel” basket di una volta: palla in post basso, palleggi compulsivi senza passaggi per 15-18 secondi spalle a canestro, avvicinamento a colpi di sedere, gancetto da due centimetri. Benvenuti negli anni ’80.
Ma, l’abbiamo detto e ripetuto ormai al parossismo, le pacche sulle spalle per il carattere battagliero e mai domo della squadra, da sole, non portano punti in classifica.
Soddisfazione ed apprezzamento per i giocatori, voglia di tornare in palestra per lavorare sulla bad execution, orgoglio per un palazzetto supportivo che spinge ed aiuta. Ma, anche, quattro sconfitte consecutive, cinque in tutto, generate sempre da situazioni di menomazione più o meno grave del roster, cui finora coach e squadra non sono mai riusciti a porre rimedio: il GM ed il Presidente ribadiscono, per l’ennesima volta, che il programma della squadra è quello di vincere ogni singola partita, e sono sinceri ed in buona fede.
Ci credono veramente, e come loro ci credono tutti i giocatori scelti per riuscirci. Il problema, però, è che in assenza di tali giocatori si ottengono tanti complimenti e l’onore delle armi (anch’esso sincero) dei coach avversari, ma le vittorie, in uno sport molto concreto fatto di numeri e statistiche, non possono arrivare.
Trieste ha giocato 3 partite su 10 (che costituiscono, in modo lapalissiano, ben il 30% della stagione finora disputata) senza tre americani fondamentali, altrettante senza due di loro e tutte e 10 priva di almeno un giocatore straniero.
In assenza di una base di conoscenza approfondita, nessuno può pensare di addentrarsi con sicurezza nelle cause di tali continue defezioni, al netto del carattere fortemente conservativo di molte di tali scelte.
Una certa dose di sfortuna è evidente, anche se non ci si può ovviamente limitare ad essa per spiegare il fenomeno. Il problema, però, è diverso: posto che la politica prudenziale della società sia quella che ormai chiunque a Trieste ha ampiamente metabolizzato, per vincere nonostante tutto ci si dovrebbe aspettare un piano B che coinvolga, di necessità virtù, la second unit biancorossa.
La fiducia riposta in essa da parte del coach, però, è riassumibile dai pochissimi minuti giocati mediamente dal pacchetto degli italiani (Candussi e Ruzzier esclusi), che dal canto loro, quando chiamati ad imprese sulla carta epiche come quella di frapporsi fra Brescia ed una sua vittoria facile, raramente estraggono dal cilindro prestazioni degne di nota, picchi di qualità capaci almeno temporaneamente di tamponare l’assenza di elementi decisamente insostituibili, limitandosi piuttosto a qualche breve compito da special team difensivo o ad un paio di minuti indispensabili per far rifiatare e reidratare un compagno.
Ed allora, se vincere ogni singola partita è realmente l’obiettivo di Trieste, il tempo delle decisioni dolorose pare ormai maturo.
Mike Arcieri ed il presidente Matiasic affermano di essere vigili per cogliere eventuali opportunità ormai da due mesi, però mai come ora attingere allo sterminato mercato americano, oltretutto terreno di caccia privilegiato di un GM abile nello scouting e dotato di conoscenze ramificate e profonde fra coach, procuratori, dirigenti di mezzo mondo, appare pressoché indispensabile, anche perchè nessuna fra le 16 squadre di LBA sta a guardare sotto questo punto di vista, elevando competitività e difficoltà di ogni singola sfida.
Certamente “comprare per comprare” non ha alcun senso anche perchè si rischierebbe di rompere inutilmente equilibri delicati e già rodati, d’altro canto attendere ancora a lungo porrebbe con ogni probabilità fuori portata il primo possibile obiettivo stagionale, la qualificazione alle F8 di Coppa Italia.
“Noi vogliamo giocare ancora a maggio e giugno, come l’anno scorso” è il mantra arcieriano: i precedenti sono sicuramente dalla sua parte, ma sull’altro lato della bilancia c’è il non trascurabile credito riconquistato da parte della piazza, quest’anno presente al palazzetto con una media superiore alle 5600 persone presenti a partita, e che per nessun motivo va disperso.
Le sconfitte di Napoli e Varese tengono la zona pericolosa ancora a debita distanza, ed è bene che rimanga così lontana.
A 10 punti, tra l’altro, i biancorossi sono affiancati da una corazzata come Tortona (sconfitta in casa da Treviso, che raggiunge le due in classifica), solo due punti sotto Milano e due punti sopra la sorpresa (in negativo) Venezia, a sua volta sconfitta in casa da Sassari.
La Pallacanestro Trieste da quest’anno, però, dichiara di voler guardare verso l’alto, tanto alto, e non alle sue spalle, e quindi il dilemma fra attesa ed intervento diventa il leit motif principale del club da qui alla fine dell’anno, un dilemma peraltro aggravato dai soli due visti da poter ancora spendere e dunque dalla precisione chirurgica sul tipo di giocatore da andare a cercare, ammesso che sia reperibile, per non sovrapporlo a spot già coperti ma anche per non privarsi della possibilità di intervenire quando servirà realmente in ruoli ora imprevedibili.
Domenica prossima è in programma la sfida al Palafiera di Bologna contro una Virtus che oggi ha dominato a Milano rinvigorita dalla cura Ivanovic, partita che Trieste affronterà certamente ancora senza Reyes e Brown (qualche speranza in più per Ross).
Poi questo stranissimo 2024 fatto di cadute e trionfi, ottimismo e pessimismo, contestazioni e popolarità, si concluderà con due sfide cruciali al Palatrieste contro Cremona e Reyer: per allora il vero volto di questa squadra, quello che dovrà portarla a giocare a maggio e giugno, dovrà necessariamente essere svelato.
(diritti riservati Sport in the City)
Crediti: foto Panda Images MegaBasket
In collaborazione con Sport in the City - articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO TRIESTE – BASKET BRESCIA: 65-69
Trieste: Bossi, Deangeli (k) 2, Uthoff 15, Ruzzier 16, Campogrande, Candussi 8, Brooks 7, Johnson 5, Valentine 12, Paiano n.e., Crnobrnja n.e., Obljubech n.e.
Allenatore: Jamion Christian. Assistenti: Francesco Taccetti, Francesco Nanni, Nick Schlitzer.
Brescia: Bilan 17, Ferrero, Dowe 9, Della Valle 9, Ndour 4, Burnell 12, Tonelli n.e., Ivanovic 2, Mobio, Rivers 12, Cournooh 4, Pollini n.e..
Allenatore: Giuseppe Poeta. Assistenti: Matteo Cotelli, Gianpaolo Alberti.
Arbitri: Borgo, Lucotti (Baldini infortunato)
TRIESTE - Una Pallacanestro Trieste con la pattuglia straniera ancora decimata perde una partita brutta per tre quarti, in cui le difese prevalgono decisamente su attacchi dalle polveri bagnate sui due lati del campo, con Brescia che approfitta dei due quarti centrali (durante i quali Trieste non raggiunge i 10 punti segnati) per scavare quel gap che si limiterà ad amministrare non senza qualche affanno nei dieci minuti finali.
Non è solo una questione di lunghezza di rotazioni, e tutto sommato nemmeno di punti prodotti dalla coppia ancora assente (parlare di trio è del tutto inutile: di Reyes non sono noti tempi e possibilità di rientro, dunque tanto vale non contarci nemmeno): Markel Brown e Colbey Ross aggiungono alla squadra inventiva e capacità di creare gioco che, in loro assenza, diventa prevedibile e macchinoso, con equilibri da ricreare e, talvolta, improvvisare sia in attacco che in difesa.
Ne esce una partita sghemba, che Poeta riassume giustamente con alcuni “nonostante”: “L’abbiamo vinta nonostante il 3 su 16 da tre punti -il 19%-, nonostante la sconfitta a rimbalzo -46 a 44, di cui ben 19 rimbalzi offensivi concessi a Trieste-, nonostante una percentuale al tiro da 2 inferiore agli avversari, nonostante una produzione offensiva inferiore ai 70 punti, nonostante i 31 punti realizzati da Trieste nell’ultimo quarto: normalmente, fuori casa, con questi numeri la perdi, ed invece stasera l’abbiamo portata a casa”.
La spiegazione, in realtà, non è difficile da dare: Trieste produce statistiche non tanto migliori, ma di gran lunga più sbilanciate: si incaponisce da oltre l’arco tirando 34 volte da 3 (centrando solo 8 volte il bersaglio) e 31 da due, mentre Brescia, quando capisce che la serata da fuori è nata storta, limita i tiri dai 6.65 (solo 16 le triple tentate in 40 minuti per la squadra lombarda), concludendo invece ben 54 volte da sotto, sfruttando la solidità di Bilan ed il fisico nell’uno contro uno di Burnell, Dowe e Rivers.
Scelta che nel terzo quarto permette di produrre l’accelerazione che genera il break decisivo, complici anche i 5 minuti di blackout offensivo biancorosso.
Trieste perde nuovamente una caterva di palloni, ma la casella che recita 15 turnovers non spiega quanto sanguinosi siano stati alcuni di essi, in momenti cruciali dell’incontro.
Interessante anche l’analisi della qualità dei tiri costruiti -e falliti- da Trieste: stavolta sono stati moltissimi i tiri aperti non contrastati a non entrare in momenti che avrebbero potuto cambiare definitivamente l’inerzia dell’incontro, una cattiva esecuzione di un gioco decente che alla fine costa la partita nonostante la conquista con i denti del pieno diritto di giocarsela fino in fondo, senza peraltro dare mai l’impressione di poter realmente completare l’opera.
Per una volta, però, le rotazioni corte non impediscono di finire con un evidente crescendo di intensità fisica e di lucidità, sebbene la ritrovata precisione offensiva arrivi troppo tardi per approfittare di un’avversaria che toglie troppo presto il piede dall’acceleratore.
Del resto, soprattutto in casa con l’intero palazzo a spingere la rimonta, questa squadra, con qualunque quintetto sia costretta a presentarsi, è priva del tratto genetico della resa incondizionata.
In tempi non troppo lontani un -21 a 15 minuti dalla fine, con tre stranieri, fra cui i migliori giocatori del roster, fuori causa, dopo aver realizzato la miseria di 17 punti nei venti minuti centrali contro i secondi in classifica che si presentano al completo ed in totale fiducia, sarebbe con ogni probabilità diventato un -30 con mani lungo il corpo, testa china e voglia matta di andare sotto la doccia anzitempo.
Quest’anno non succede mai nulla di tutto ciò: Trieste mostra orgoglio e voglia di reazione, i suoi leader suonano la carica, Valentine ha la giusta faccia tosta e non si lascia certo travolgere dalla pressione della responsabilità anche se deve ancora imparare a valutare con maggiore precisione quando è il momento di fidarsi dei compagni -anche se liberi- e quando è preferibile invece mettersi in proprio, Uthoff non arretra di un millimetro ed è intimidatorio soprattutto in difesa, Ruzzier capisce quando è il momento di prendersi iniziative offensive che peraltro sono nelle sue corde anche tramite l’attacco diretto al ferro, Brooks è un capo popolo trascinatore dentro e fuori dal campo, solido mentalmente e fisicamente a dispetto di una età che sta solo sulla carta d’identità.
La sua prestazione difensiva su Bilan per gran parte dell’incontro limita il centro croato apparso a tratti intimidito sotto canestro, anche se poi finisce con una doppia doppia da 17 punti e 21 rimbalzi frutto di un gioco che piacerà tantissimo ai detrattori del run and gun in favore del “bel” basket di una volta: palla in post basso, palleggi compulsivi senza passaggi per 15-18 secondi spalle a canestro, avvicinamento a colpi di sedere, gancetto da due centimetri. Benvenuti negli anni ’80.
Ma, l’abbiamo detto e ripetuto ormai al parossismo, le pacche sulle spalle per il carattere battagliero e mai domo della squadra, da sole, non portano punti in classifica.
Soddisfazione ed apprezzamento per i giocatori, voglia di tornare in palestra per lavorare sulla bad execution, orgoglio per un palazzetto supportivo che spinge ed aiuta. Ma, anche, quattro sconfitte consecutive, cinque in tutto, generate sempre da situazioni di menomazione più o meno grave del roster, cui finora coach e squadra non sono mai riusciti a porre rimedio: il GM ed il Presidente ribadiscono, per l’ennesima volta, che il programma della squadra è quello di vincere ogni singola partita, e sono sinceri ed in buona fede.
Ci credono veramente, e come loro ci credono tutti i giocatori scelti per riuscirci. Il problema, però, è che in assenza di tali giocatori si ottengono tanti complimenti e l’onore delle armi (anch’esso sincero) dei coach avversari, ma le vittorie, in uno sport molto concreto fatto di numeri e statistiche, non possono arrivare.
Trieste ha giocato 3 partite su 10 (che costituiscono, in modo lapalissiano, ben il 30% della stagione finora disputata) senza tre americani fondamentali, altrettante senza due di loro e tutte e 10 priva di almeno un giocatore straniero.
In assenza di una base di conoscenza approfondita, nessuno può pensare di addentrarsi con sicurezza nelle cause di tali continue defezioni, al netto del carattere fortemente conservativo di molte di tali scelte.
Una certa dose di sfortuna è evidente, anche se non ci si può ovviamente limitare ad essa per spiegare il fenomeno. Il problema, però, è diverso: posto che la politica prudenziale della società sia quella che ormai chiunque a Trieste ha ampiamente metabolizzato, per vincere nonostante tutto ci si dovrebbe aspettare un piano B che coinvolga, di necessità virtù, la second unit biancorossa.
La fiducia riposta in essa da parte del coach, però, è riassumibile dai pochissimi minuti giocati mediamente dal pacchetto degli italiani (Candussi e Ruzzier esclusi), che dal canto loro, quando chiamati ad imprese sulla carta epiche come quella di frapporsi fra Brescia ed una sua vittoria facile, raramente estraggono dal cilindro prestazioni degne di nota, picchi di qualità capaci almeno temporaneamente di tamponare l’assenza di elementi decisamente insostituibili, limitandosi piuttosto a qualche breve compito da special team difensivo o ad un paio di minuti indispensabili per far rifiatare e reidratare un compagno.
Ed allora, se vincere ogni singola partita è realmente l’obiettivo di Trieste, il tempo delle decisioni dolorose pare ormai maturo.
Mike Arcieri ed il presidente Matiasic affermano di essere vigili per cogliere eventuali opportunità ormai da due mesi, però mai come ora attingere allo sterminato mercato americano, oltretutto terreno di caccia privilegiato di un GM abile nello scouting e dotato di conoscenze ramificate e profonde fra coach, procuratori, dirigenti di mezzo mondo, appare pressoché indispensabile, anche perchè nessuna fra le 16 squadre di LBA sta a guardare sotto questo punto di vista, elevando competitività e difficoltà di ogni singola sfida.
Certamente “comprare per comprare” non ha alcun senso anche perchè si rischierebbe di rompere inutilmente equilibri delicati e già rodati, d’altro canto attendere ancora a lungo porrebbe con ogni probabilità fuori portata il primo possibile obiettivo stagionale, la qualificazione alle F8 di Coppa Italia.
“Noi vogliamo giocare ancora a maggio e giugno, come l’anno scorso” è il mantra arcieriano: i precedenti sono sicuramente dalla sua parte, ma sull’altro lato della bilancia c’è il non trascurabile credito riconquistato da parte della piazza, quest’anno presente al palazzetto con una media superiore alle 5600 persone presenti a partita, e che per nessun motivo va disperso.
Le sconfitte di Napoli e Varese tengono la zona pericolosa ancora a debita distanza, ed è bene che rimanga così lontana.
A 10 punti, tra l’altro, i biancorossi sono affiancati da una corazzata come Tortona (sconfitta in casa da Treviso, che raggiunge le due in classifica), solo due punti sotto Milano e due punti sopra la sorpresa (in negativo) Venezia, a sua volta sconfitta in casa da Sassari.
La Pallacanestro Trieste da quest’anno, però, dichiara di voler guardare verso l’alto, tanto alto, e non alle sue spalle, e quindi il dilemma fra attesa ed intervento diventa il leit motif principale del club da qui alla fine dell’anno, un dilemma peraltro aggravato dai soli due visti da poter ancora spendere e dunque dalla precisione chirurgica sul tipo di giocatore da andare a cercare, ammesso che sia reperibile, per non sovrapporlo a spot già coperti ma anche per non privarsi della possibilità di intervenire quando servirà realmente in ruoli ora imprevedibili.
Domenica prossima è in programma la sfida al Palafiera di Bologna contro una Virtus che oggi ha dominato a Milano rinvigorita dalla cura Ivanovic, partita che Trieste affronterà certamente ancora senza Reyes e Brown (qualche speranza in più per Ross).
Poi questo stranissimo 2024 fatto di cadute e trionfi, ottimismo e pessimismo, contestazioni e popolarità, si concluderà con due sfide cruciali al Palatrieste contro Cremona e Reyer: per allora il vero volto di questa squadra, quello che dovrà portarla a giocare a maggio e giugno, dovrà necessariamente essere svelato.
(diritti riservati Sport in the City)
Crediti: foto Panda Images MegaBasket