In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni

NAPOLI BASKET – PALLACANESTRO TRIESTE   79 – 84

Napoli Basket: Flagg 11, Mitrou-Long 21, El-Amin14, Croswell 10, Faggian 0, Saccoccia 0, Gloria n.e., Treier 0, Gentile 4, Simms 13, Caruso 6, Bolton n.e. Allenatore: A. Magro.
Pallacanestro Trieste: Toscano-Anderson 3, Ross 15, Deangeli n.e., Uthoff 7, Ruzzier 2, Sissoko 13, Candussi 4, Iannuzzi n.e., Brown 14, Brooks 1, Moretti 12, Ramsey 13.  Allenatore: I. Gonzalez. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.

Arbitri:  Giovannetti, Pepponi, Marziali.

NAPOLI – 22, O’pazz. Sulla ruota di Napoli, alla fine, esce il numero di Colbey Ross e quello di un coach che ha il coraggio, se non l’incoscienza, di rimetterlo in campo per un finale punto a punto rinunciando a quelli che fino ad allora erano stati i puntelli della squadra.Ross fino a quel momento aveva accumulato un poco esaltante 5 di valutazione frutto di un terzo quarto da incubo, fatto di palle perse a ripetizione, conclusioni senza senso, regia cervellotica, tentativi di passaggio velleitari e di una difesa svagata se non immobile.
Quando, a 7 minuti dal termine dell’incontro con Trieste ancora incollata all’avversaria sul -3 dopo essere stata sul +12 sei minuti prima, appena risvegliata da una tripla di Moretti -unico a non deragliare mai con la testa ancora prima che tecnicamente- dopo cinque minuti di buio offensivo, teste basse e frustrazione, Israel Gonzalez decide di togliere la guardia ex Reyer per reinserire l’abulico ed a tratti dannoso playmaker americano, chiunque sia dotato di un po’ di raziocinio (e che gli aveva visto fare la stessa cosa a Würzburg con conseguenze disastrose) si sarebbe rivoltato sulla sedia tappandosi gli occhi con le mani presagendo il disastro imminente.
Nei sette minuti successivi Colbey Ross infila 11 punti, prende due rimbalzi e piazza due assist chiudendo la partita con 18 di valutazione e rivelandosi, alla fine, il vero match winner.
Perchè è vero: questa squadra è dotata di talento smisurato, finora largamente inespresso, mal indirizzato e spesso forzatamente tenuto silente da scelte tecniche da metabolizzare, ma che quando affiora è in grado di abbattere qualunque avversaria.
Stavolta è toccato a quello di Colbey Ross, ma i jolly in mano al coach sono talmente tanti ed imprevedibili da permettergli di poter realisticamente pensare di vincere qualunque partita anche regalando un quarto all’avversaria, anche tirando male, anche perdendo 18 palloni, anche catturando 7 rimbalzi in meno concedendone addirittura 13 in attacco.
Certamente l’obiettivo non è quello di affidarsi all’estro ed all’imprevedibilità fuori dal sistema dei singoli, bensì quello di far crescere la chimica di squadra e vincere esprimendo il proprio basket fatto di velocità, contropiede, precisione da tre punti, conclusioni prese nei primi dieci secondi di azione, perché è l’unico modo per rendere sostenibili le ambizioni altissime ottimisticamente affibbiate a questa stagione.
Ma, alla fine, due punti valgono sempre due, anche se escono dalle mani di schegge impazzite di talento puro. Per adesso, va bene così.
Del resto, sbloccarsi alla terza uscita, sul campo di una avversaria sulla carta ostica su un campo caldissimo, ma ampiamente alla portata del pur convalescente gruppo biancorosso, era l’imperativo principale di questa trasferta infinita, iniziata lunedì mattina con il volo per Francoforte e Würzburg e proseguita mercoledì con il volo diretto dalla Germania per il capoluogo partenopeo.
Zero tempo per sedersi ed analizzare errori e limare margini di miglioramento, zero tempo per provare in allenamento soluzioni in attacco ed in difesa.
Per contro, tanto tempo per rimuginare sui propri errori, sulla propria frustrazione per non riuscire ad esprimere il proprio potenziale, per farsi attanagliare dall’ansia da prestazione e da quella di non voler/poter tradire le attese.
E dunque partita delicatissima, psicologicamente difficile da affrontare, ma pur sempre occasione per mettere in pratica teorie abbozzate in pre season e ripassate in albergo ed in aereo.
Gonzalez ha a disposizione quasi solo le partite per provare soluzioni nuove, cercare di automatizzarle e di comprenderne l’adeguatezza alle caratteristiche tecniche dei suoi giocatori, sperimentando anche quintetti inediti ed a tratti sorprendenti (quattro minuti con Ruzzier-Moretti-Brooks-Candussi e Toscano Anderson sono forse più di un esperimento, si avvicinano ad un azzardo).
In effetti la squadra qualche progresso in difesa anche lo mostra, specie negli aiuti più puntuali dei lunghi sul perimetro e sulla loro capacità di recuperare velocemente la posizione sotto canestro.
Rimane ancora inspiegabile la falla sulla capacità di accorgersi dei tagli backdoor, con l’uomo che arriva indisturbato dal lato debole, riceve la palla e va a concludere totalmente incontrastato.
Ed anche l’assenza degli aiuti una volta che gli esterni sono battuti sul perimetro, con il piccolo avversario lasciato libero di arrivare indisturbato al ferro.
Sono peccati di gioventù del roster che hanno la possibilità di essere limati ed eliminati, certo, ma in queste prime tre partite ufficiali hanno causato danni irreparabili nelle prime due uscite ed hanno fatto correre il rischio concreto di costare i due punti anche al PalaBarbuto, e dunque non si commette affatto un peccato se nel frattempo ci si accontenta di 7 minuti di follia vincente di un singolo.
La squadra, peraltro, mostra evidenti miglioramenti in particolare in attacco, soprattutto rispetto alle polveri bagnate in Europa.
Cancellando velocemente dalla memoria un terzo quarto inguardabile dal punto di vista cestistico per entrambe le squadre, che non può fare giurisprudenza (con Napoli che peraltro si limita ad approfittare, senza punte di eccellenza o di bel gioco, dell’abisso tecnico e mentale che attanaglia la squadra triestina ricucendo tutto lo svantaggio in doppia cifra e mettendo timidamente il naso avanti senza però dare mai l’impressione di potersi impadronire dell’inerzia), Trieste realizza 20 punti nei primi dieci minuti, 27 nei secondi e 28 negli ultimi.
Il tutto, con percentuali irrisorie da due nonostante il consueto percorso netto di Mady Sissoko ma con discreta vena da tre punti soprattutto di un Markel Brown che in questo palazzetto si sente a casa sua, ed un’inedita precisione dalla linea del tiro libero, particolare che fa la differenza in una serata nella quale all’avversaria vengono fischiati complessivamente ben 28 falli e dunque con bonus spesi prestissimo che si traducono in 28 tiri liberi (contro i 9 tirati da Napoli) che portano in dote 24 punti.
Trieste non riesce ancora a sviluppare il suo gioco prediletto, quello fatto di veloci transizioni, ma perlomeno è più rapida nell’andare a canestro, cerca di muovere maggiormente la palla, cerca sistematicamente l’assist o l’extrapass.
Che poi, spesso, vengano falliti tiri aperti anche da parte di giocatori insospettabili è probabilmente un incidente di percorso.
Per ora, però, è sufficientemente confortante notare come questi tiri, perlomeno, siano stati costruiti con discreta continuità: presto inizieranno anche ad entrare.
I fuochi d’artificio sparati da Colbey Ross nei momenti decisivi rischiano infine di far passare in secondo piano il fatto che siano ben cinque i biancorossi andati in doppia cifra, segno di una crescente, sebbene ancora embrionale, coralità di prestazione.
Certo, non si può non notare come siano anche cinque i giocatori ad essere stati impiegati più di 20 minuti, e sappiamo come ciò sia considerato un problema da coach Gonzalez, espertissimo del doppio impegno stagionale, e dunque ben conscio che quando si rende necessario impiegare uomini molto più a lungo di quanto ci si era prefissati, con un ritmo di impegni così forsennato si rischia di esporli maggiormente ad infortuni gravi o piccoli inconvenienti fisici che li toglierebbero dal campo magari anche pochi giorni ma almeno per un paio di partite: così, i due punti conquistati ad ogni costo reclamerebbero un prezzo da pagare fin troppo elevato.
Siamo all’inizio della stagione e le riserve di energia sono ancora elevate, ma con il passare delle settimane questo potrebbe diventare un problema.
Rendere credibile e competitiva ogni rotazione, anche quella più profonda, diventa perciò una delle priorità principali.
Analizzando le prestazioni dei singoli, raccontato della folle partita di Ross e della rinata pericolosità offensiva di Markel Brown, è confortante notare l’ennesima buona prestazione di Jami’us Ramsey, insolitamente impreciso (ma spesso sfortunato) da sotto, ma capace di attrarre con continuità le attenzioni della difesa avversaria liberando praterie per i compagni.
Efficace anche in difesa, costituisce attualmente con Mady Sissoko la costante imprescindibile per il coach.
Dal canto suo, il centro maliano si conferma il totem che tutti attendevamo: centro vero, verticale e dinamico, preciso ai tiri liberi, sfiora la doppia doppia tirando con l’80% da due e catturando 9 rimbalzi.
Dietro a lui cresce Francesco Candussi, a Napoli in campo più a lungo e con maggiore presenza sui due lati del campo, ben oltre i nudi dati statistici.
Si conferma anche Davide Moretti, nuovamente pronto quando chiamato in causa, schierato da guardia si dimostra capace di rendersi decisivo anche partendo a freddo dalla panchina, con un carattere ed un coraggio capaci di permettere alla sua squadra di riprendersi dal KO tecnico maturato nel terzo quarto e mettere la zampa definitivamente sul risultato.
Come lui, anche Michele Ruzzier si conferma più razionale nell’organizzare l’attacco, sebbene mostri ancora poca dinamicità in difesa specie quando viene attaccato nell’uno contro uno dalle guardie americane. Ma la sua affidabilità è, nei momenti di caos tattico, la vera coperta di Linus a disposizione del coach.
Anche Jarrod Uthoff si dimostra più intraprendente del solito in attacco, sebbene a Napoli la sua efficacia sia soprattutto decisiva in difesa, dove è sempre attento e concentrato, uno dei pochi che ci mette sempre anche intensità ed una certa dose di esperta furbizia.
Poco utilizzato ed insolitamente sottotono Jeff Brooks, autore di un solo punto in 13 minuti ed in generale di una partita nella quale non incide.
Capitolo a parte per un incommentabile Juan Toscano Anderson. Un americano che chiude con -7 di valutazione la terza partita in fotocopia, se possibile peggiorando la sua prestazione, tirando 1 su 5 da due e 0 su 6 da tre, sbagliando tiri aperti, palleggiandosi sul piede cercando di mettersi in ritmo senza alcuna pressione da parte dell’avversario, sbagliando tiri liberi, commettendo 4 falli (di cui almeno tre di una ingenuità disarmante) subendone solo uno, mostrando un linguaggio del corpo a metà fra il frustrato ed il confuso, è davvero troppo brutto per essere vero.
Lo è in generale, senza voler nemmeno prendere in considerazione le premesse e le attese -per non considerare l’ingaggio- che ne hanno accompagnato l’arrivo a Trieste. E’ evidente che si sia inceppato qualcosa nella sua testa: forse ha sottovalutato la competitività del basket europeo, magari coniugandolo con la sua convinzione di poterlo affrontare in pantofole.
Magari non sta bene fisicamente. Forse ha solo bisogno di sbloccarsi. O, ancora, c’è sotto qualcosa di cui nessuno è a conoscenza e su cui è inutile speculare.
Ciò che è certo è che Trieste non può permettersi di prescindere da lui, così come è impossibile pensare che uno come lui possa continuare a lungo ad esibirsi in prestazioni di questo livello.
Le partite passano, il livello si alza, l’elettroencefalogramma cestistico del possessore di anello con diamanti non potrà rimanere piatto ancora a lungo.
E, ne siamo certi, non lo farà.

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Crediti: foto Facebook ufficiale Pallacanestro Trieste