IRON MAIDEN- Live Piazza Unità d’Italia ,Trieste 26.07.2016
Dopo i sold-out al Mediolanum Forum di Milano ed il pienone al Circo Massimo a Roma, gli IRON MAIDEN suonano nella città italiana più Rock degli ultimi anni: TRIESTE!
Che si fa bella e presta per l’occasione il proprio salotto buono: la Piazza Unità d’Italia.altro >>
GHOST – “Deposito” Pordenone
Il Mistero svedese
Avevano già attirato la nostra attenzione e la nostra curiosità, lo scorso giugno allo Sweden Rock Festival, più per le loro coreografie che per il loro prodotto musicale. Ma una volta tornati in Italia ed aver approfondito le nostre conoscenze con il loro eccellente ultimo “Meliora” che è stato votato dagli ascoltatori di “ROCK ON” tra le migliori uscite di tutto il 2015, i nostri giudizi sul combo svedese è aumentato a dismisura. Non ci restava che attendere la prova del nove, quella LIVE, all’interno di una venue medio-piccola come il Deposito di Pordenone. Tante le incognite che precedevano la serata. Quanti in Italia li conoscono già? Come ci accoglierà (e se lo farà…) Papa Emeritus III? Dovremmo attendere la fine del concerto per incontrarli e mantenere il loro anonimato e la loro aura di mistero? Ogni nostra piccola perplessità e preoccupazione si scioglie non appena mettiamo piede nel piccolo backstage, non appena gli svedesi han completato il soundcheck, in maniera super professionale benchè molto rapida. Papa Emeritus (in persona!) ci viene incontro in abiti borghesi, o meglio, laici. altro >>
The MetalDays 2015
TOLMINO (SLO) 19-25/7/2015
C’è poco da fare. Il METALDAYS andrebbe vissuto sicuramente con molto più tempo a disposizione, possibilmente godendo di una trentina di anni in meno e di un conseguente spirito più avventuriero, tanto da spingerci pure a bivaccare in una tenda nel METAL CAMPING.
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BANG YOUR HEAD 2015
Sweden Rock Festival 2015
ROCK WIND OF SWEDEN !!!
Che il vento sarebbe stato uno dei protagonisti nella 24esima edizione dello SWEDEN ROCK FESTIVAL, l’avevamo già capito mentre il nostro aereo stava scendendo verso l’aeroporto di Copenhagen, ed ancor di più guardando il mare nell’attraversamento di uno dei ponti più lunghi al mondo, l’Oresundbron, che ci portava direttamente sul suolo svedese.
Acché diventasse un vero “vento Rock”, ci hanno pensato però soprattutto i chitarristi, i maestri delle sei corde, veri dominatori, anche nei confronti dei pur bravi cantanti, della kermesse svedese. Quattro giornate di musica e vero spettacolo nel report di Maxx “Double X” Andrea “Mr. Rock” Sivini (e la silenziosa collaborazione di Pietro Horstmann)
Oltre alla pioggia “autunnale” che ci accoglie nella penisola scandinava e ci fa ben presto dimenticare i trenta e passa gradi e la calura estiva che abbiamo lasciato in Italia, un ammodernamento nella logistica dell’area dell’evento, costringe noi giornalisti a fare più di qualche centinaio di metri a piedi per la registrazione ed il ritiro dei famosi braccialetti e delle vest per i fotografi, ma appena entrati è subito un “inferno” !!
Troviamo infatti pronti sul 4Sound Stage gli HELL, che esordiscono con un “La Svezia ci ha dato il benvenuto accogliendoci con lo stesso clima della nostra patria, l’ Inghilterra!”.Ma nonostante la temperatura sfavorevole, David Bower e compagni partono con “Gehennae Incendiis” e cominciano ad infiammare il pubblico presente sulla collinetta che fa da teatro naturale al palco.La matrice teatrale si insinua tra le sonorità metalliche della band e tra fustigazioni (vere!) e sangue (finto..) sul corpo del cantante sfilano,come le nuvole dietro lo stage, vecchie hit e nuove produzioni, tutte molto apprezzate anche dalla parte scandinava dell’audience.
Neanche il tempo per riprenderci dallo shock musicale e visivo che sullo Sweden Stage sono pronti i QUIREBOYS ,dimostratisi ancora una volta, classica band da Festival. Spike non è al top con la voce, ma recupera bene con la presenza sul palco. Balletti, mosse e giravolte di aste e microfoni, condiscono di spettacolo un set partito alla grandissima e proseguito ancor meglio con classici come I don’t love you anymore, Hey you e la leggendaria 7 o’clock . Band ben piantata, sezione ritmica eccellente, ed il folletto di Newcastle, tutto bandana, gilettino ed occhi azzurri, che strega gli spettatori con il carisma che lo contraddistingue da sempre.
Quando ritorniamo sui nostri passi al 4Sound stage, lo ritroviamo notevolmente cambiato.
Atmosfere cupe, sound massiccio e giochi di luce di grande impatto visivo (anche se non molto apprezzati, poichè di difficile gestione, dai fotografi presenti nel pit), troviamo i padroni di casa: gli EVERGREY. Collinetta nuovamente gremita di spettatori, ma non solamente svedesi, che all’attacco del nuovo singolo King of errors partono in un headbanging collettivo che proseguirà per tutto il corso dell’esibizione, infarcita di molti pezzi classici del loro repertorio. Tom Englund saluta e ringrazia mentre noi ritorniamo per la seconda volta nel corso di questa serata, allo Sweden Stage, in quanto l’area principale del Festival è ancora off-limits.
Purtroppo i danesi D-A-D si presentano qui in formazione forzatamente rimaneggiata (il bassista Stig Pedersen si è ferito ad un braccio pochi giorni prima, ed è stato sostituito temporaneamente da Soren Andersen), ma non per questo in tono minore, anzi! Forse la migliore esibizione della giornata, che potremmo definire “incendiaria”, e non solo per il fuoco che, nella parte finale del set, ha letteralmente divorato la seconda batteria di Laust Sonne, ispirato drummer della band danese. Grande energia fino alla fine, anche per lo stato di grazia di Jesper Binzer, istrionico vocalist ma anche preciso chitarrista del gruppo, validissima spalla del lead guitar (suo fratello Jacob), che devono sopperire, ahimè, alla
gravosa assenza di Stig, da sempre, uno spettacolo nello spettacolo del combo danese.
Poche ore di sonno e siamo nuovamente nell’area concerti per seguire la prima band che calcherà lo Sweden Stage nella seconda giornata del Festival. Gli olandesi DELAIN contaminano con sonorità “poppish” una scaletta di buon livello, anche se sono, ovviamente, la voce e la presenza scenica di Charlotte Wessels a calamitare l’attenzione del folto pubblico già presente. Voce dolce che però sa anche graffiare trasformandosi repentinamente in growl, assecondata da una line-up, che ha subìto tanti (troppi?) cambiamenti, nella quale spicca il tastierista (e fondatore) della band Martijn Westerholt (ex Within Temptation).
Prima band che apprezziamo nel Rockkclassiker Stage, nuovo spazio al coperto dell’area dello SRF, sono i DECEPTION , trash&heavy metal allo stato puro. Gruppo svedese relativamente giovane, si sono formati nel 2012, partono con il nuovo singolo “Deliverance” per continuare con i brani tratti dai loro primi due EP ed un’omaggio ai Motorhead coverizzando la leggendaria “Ace of spades”.
Neanche il tempo per riposare i padiglioni auricolari ed è subito l’ora per i CHILDREN OF BODOM sul Rock Stage. I finnici alle prese con il cambio del chitarrista Roope Latvala presentano sul palco il suo sostituto temporaneo, Antti Wirman (Warmen), fratello del tastierista della band Janne. Il “dark sound” guidato con sicurezza da Alexi “Wildchild” Laiho tiene alla grande ed i “classici” Hate me e Downfall fanno da cornice ad un’esibizione tutto sommato di buon livello.
Uno dei pregi dello Sweden Rock Festival è quello di riunire sotto un’unica insegna, tanti generi diversi, alcuni dei quali diventati (forse) un pò di nicchia, ma nonstante questo, ancora seguitissimi e molto apprezzati sia dagli estimatori musicali del genere che dal pubblico variegato dell’evento.
Ed ecco allora che due set distinti, in orari diversi, sullo Sweden Stage, raccolgono consensi ed ovazioni pur facendo parte del “vecchio” Progressive Rock, anche grazie ai due mostri sacri che lo fanno rivivere ed apprezzare in un contesto, per dimensioni del palco e orario di esibizione, non propriamente adatto.
FISH e CARL PALMER deliziano la platea con due setlist “da leccarsi le orecchie”. Il primo, qualità della voce ancora a livelli altissimi, coadiuvato da una band che crea un tappeto musicale da favola, incanta riproponendo per intero l’album della consacrazione dei Marillion, Misplaced Childhood. Classici entrati di diritto nella storia come Kayleigh e Lavender, ed alcuni pezzi non compresi nel concept album del 1985, formano una scaletta molto gradita e sottolineata da lunghi applausi da parte del numeroso pubblico presente.
Il “Master” Carl Palmer, membro storico del trio Emerson, Lake & Palmer, ancora in piena forma nonostante le 65 primavere, arriva sullo stage accompagnato da due giovani virgulti, rispettivamente al basso ed alla chitarra, formando una band “old style” anni ’70 che riesce, però, addirittura a superare le finezze musicali del terzetto originario con arzigogoli e virtuosismi degni di colleghi ben più famosi. Si chiude con Fanfare for the common man e Hoedown, con la chitarra a ricoprire le parti già di Keith Emerson, in un tripudio di suoni a dimostrazione che l’età anagrafica è, per lui, solamente un’indicazione numerica.
Prima giornata vera del Festival che vede finalmente l’intera area messa a disposizione dei trentacinquemila presenti (SOLD OUT annunciato pochi giorni prima dell’inizio della kermesse), molti dei quali giunti fin qui per ammirare il primo vero grosso nome sul palco principale :
il mago delle sei corde, SLASH, accompagnato da un vituoso della voce che negli ultimi anni ha scalato tutte le classifiche di gradimento con i suoi Alter Bridge, e con delle performance “live” straordinarie, (come del resto lo sarà questa), MYLES KENNEDY. Si parte con You’re a lie tratta dal primo album realizzato assieme da questo magnifico duo, ma poi il concerto si snoda tra pezzi dell’ultimo “World on fire” e ritorni al passato con pezzi dei Velvet revolver ma soprattutto Guns & Roses. Chiusura con il manifesto “Paradise City” che testimonia, una volta di più, quanto Slash sappia fare molto bene il suo mestiere (senza rischiare innovazioni tecniche pericolose) e Myles abbia raggiunto padronanza e qualità vocali tali da far dimenticare o perlomeno non rimpiangere un tal signore di nome Axel.
Con ancora negli occhi, o meglio nelle orecchie, le atmosfere di fine 80’s, facciamo un’ulteriore passo indietro riscontrando la “dominante australiana” degli AC/DC nel sound potente, ma in certi momenti anche scontato, degli AIRBOURNE. Gratificati dal fatto che proprio Slash nel corso del suo concerto aveva indossato la loro t-shirt, il gruppo proveniente dalla terra dei canguri perfoma in modo spettacolare, risultando essere quindi un’altra “tipica” band da festival. Divertenti, forse un pò troppo casinari, investono il pubblico con sonorità taglienti e, particolarità da non sottovalutare, si ruffianano l’audience con atteggiamenti estremi, il più eclatante dei quali è la salita del frontman chitarrista Joel O’Keefee su una delle due torri dell’amplificazione, dove esegue un piccolo assolo a più di 20 metri d’altezza, senza alcuna protezione nè sicurezza !!
Divertente anche il set del gruppo emergente finlandese dei BATTLE BEAST, con una scatenata Noora Louhimo, voce potente e graffiante, e grinta profusa in grandissima quantità. Coinvolta in maniera straordinaria anche tutta l’audience che ha partecipato in massa con movimenti ed headbanging continui e prolungati. Due album all’attivo, l’ultimo dei quali uscito a gennaio per Nuclear Blast, dai quali la band ha attinto in maniera paritaria per la scaletta della loro esibizione. Non poteva mancare quindi “Out of control”, eseguita come brano di chiusura, pezzo già coverizzato dai Sabaton ed inserita come traccia bonus nell’ album.
Quasi contemporaneamente, sul palco principale, sale un altro grosso nome di richiamo del Festival, nonché band storica dell’hard rock planetario: i TOTO. Altro che “Gallina vecchia fa buon brodo”!, lo spettacolo cucinato da questo manipolo di grandissimi maestri è addirittura straordinario, un’esibizione assolutamente tra le migliori dell’intero festival. Un Steve Lukater “stellare” trascina il resto del gruppo attraverso una scaletta che spazia all’interno di tutta la loro gloriosa discografia. Si parte con il singolo “traino” dell’ultimo album (Toto XIV), Running out of time, ma già il secondo pezzo in scaletta riporta ad atmosfere fine anni 70 con I’ll supply the love. E si continua a ricordare ed a cantare assieme a loro, soprattutto le grandi hit come Hold the line o Rosanna. Il suono rasenta la perfezione, ogni minimo alito di note arriva chiaro e preciso, la voce di Joe Williams si amalgama con l’accompagnamento di David Paich, ed anche il nuovo drummer Shannon Forrest sembra suonare con gli altri da sempre, coadiuvato anche dalle percussioni e le tastiere dell’ultimo Porcaro, Steve, rimasto nel gruppo. Un’omaggio al “Maestro” Jimi Hendrix da parte di Lukater con l’esecuzione di Little Wing e, come bis, la bellissima Africa che (ovviamente) tutti gli scandinavi cantano all’unisono. Un concerto che in molti non dimenticheranno.
Il power metal quest’anno aveva pochi esponenti al Festival, e tra questi sicuramente gli HAMMERFALL hanno meritato la valutazione più alta. Il successo, peraltro già assicurato dal fatto di giocare in casa, arriva sul filo di una esibizione grintosa, massiccia e vigorosa, con un Joackim Cans in forma smagliante. Hector’s Hymn, dall’ultimo album (r)Evolution apre il set, che prosegue con immutata potenza tra pezzi tratti dalla loro discografia lunga ben 11 album. Oscar Dronjak e Pontus Norgren garantiscono due bocche da fuoco invidiabili ed i versi dei soliti inni : Hammerfall e Hearts of Fire risuonano, replicati dal
pubblico, anche al di fuori dell’area del Rock Stage.
Nel Festival delle consacrazioni dei chitarristi (purtroppo, spesso a discapito dei vocalist), c’era grand’attesa, ma anche una moderata preoccupazione sullo stato di forma, soprattutto quella vocale, di un altro mostro sacro: Joe Elliot ed i suoi DEF LEPPARD. Ma se Don Dokken (giusto per citare altri suoi colleghi e coetanei) è stato rimandato, Vince Neil, risultato a tratti imbarazzante, il frontman di Sheffield, dimostra tutta la sua classe regalandoci novanta minuti di “eargasmi”!
Soprattutto quando imbraccia la chitarra acustica nel buio più totale e si fa accompagnare dalle migliaia di spettatori in visibilio, in un particolare “uno contro tutti” durante la mitica “Two Steps Behind”. Sin dall’iniziale “Rock Rock (Till You Drop), tratta da quel capolavoro “Pyromania” che risulta ancora così fresco ed attuale nonostante siano già trascorsi più di trent’anni, fino alle conclusive “Rock of Ages” e “Photograph” i Def Leppard ci dimostrano cosa significhi suonare da headliners davanti a 35’000 persone.
Fanno scatenare, ballare, urlare e allo stesso tempo emozionano, spesso al limite della commozione, alternando il loro hard rock trascinante alle ballads più famose e poppish, suonando praticamente tutte le migliori canzoni della loro storica discografia!!!
I suoni che ci regalano i magnifici Phil Collen e Vivian Campbell (completamente ristabilito dopo il cancro che l’ha colpito recentemente!) son potentissimi ma perfettamente bilanciati. Ogni colpo di pedale di Rick Allen ti arriva direttamente sul petto, le luci e le immagini sullo sfondo dell’imponente Festival Stage contribuiscono a completare, ce ne fosse il bisogno, lo spettacolo.
E’ impossibile non rimanere folgorati da una simile esibizione; in estasi, bocca aperta e occhi lucidi per gran parte del concerto.
Il loro prossimo tour negli States con Styx e Tesla, o quello europeo con Whitesnake e Black Star Riders ci fa già venir la voglia di “viaggiare” ancora con una delle migliori band di sempre, sicuramente la migliore del Festival!!
Mezzogiorno di fuoco. Ore 12 un’ora alquanto insolita per accogliere sull’assolatissimo Sweden Stage, i DARE capitanati da quel Darren Wharton già tastierista dei Thin Lizzy di Phil Lynott. Un buon seguito di pubblico vista l’ora ed il sole che, inizia a bruciare nel cielo di Norje benchè accompagnato dall’immancabile vento. E’ una scaletta “in crescendo” quella proposta dagli inglesi sicuramente più a loro agio in locations più intime e raccolte. Nonostante la solita grande profusione e livello tecnico di Vinnie Burns, l’atmosfera proprio non ne esce, e nemmeno lo stesso Wharton, con la gentilezza che lo contraddistingue, riesce a cambiarne il trend, se non solo verso la fine del loro concerto.
“Il primo show in Svezia dal 1983”, così recita la presentazione delle ROCK GODDESS, band inglese tutta femminile che arriva nell’assolato pomeriggio festivaliero sul 4Sound Stage. Le due sorelle Jody e Julie Turner, e la bassista Tracey Lamb riformano il trio originario che, negli anni 80, divise palchi importanti con gruppi del calibro di Y&T, Iron Maiden e Def Leppard. In buona forma (più quella musicale che fisica…) le Rock Goddess portano a fine un set grintoso e generoso, tra pezzi storici e anteprime del nuovo album.
Un pezzo di pizza (rigorosamente con l’ananas) e ci trasferiamo rapidamente sotto il Rock Stage dove arriva una delle band storiche dell’ heavy metal statunitense, i DOKKEN.
E’ veramente raro trovare questo gruppo in giro per festival e concerti (se non in qualche acustico), e quindi aspettiamo con curiosità l’arrivo sul palco di Don Dokken, viste le notizie che giungono da anni dagli States circa il suo stato di forma. La qualità del suono è ottima e ci accorgiamo subito che, con molta umiltà, Dokken ha riscritto le partiture dei pezzi in tonalità più basse degli originali. Gli anni passano, e la sua voce, in passato a livelli straordinari di timbro e melodia, non riesce più a raggiungere gli alti picchi di qualche decennio fa. Tanto di cappello a Don e molti complimenti alla band, capitanata dal fido Jon Levin alla chitarra (difficile non far rimpiangere George Lynch!!), che ben supportano il loro leader (anche nelle seconde voci) e coprono alcuni suoi passaggi a vuoto. Scaletta infarcita di soli classici (per fortuna!) il che rende il set molto gradito da parte dei numerosi fans e spettatori presenti.
Ci rinchiudiamo al Rockklassiker, al riparo anche dal solito ventaccio svedese, per assistere all’esibizione dei MAD MAX , band tedesca (l’unica?!) che però, purtroppo, non rimarrà impressa positivamente nei nostri ricordi. Vuoi per la location che “soffoca” un pò i suoni, o per la mancanza di personalità dei musicisti, il coinvolgimento rimane a livelli bassi, nonostante gli sforzi e l’impegno profusi. Prova d’appello concessa, magari in una location più adatta a questo gruppo di kraut-rock, che ha comunque all’attivo la pubblicazione di ben 12 album (ma molto spesso i live non rendono come le registrazioni in studio…).
I BACKYARD BABIES arrivano on stage con una carica addirittura esplosiva. Versione punk della scena rock svedese, il gruppo si rivela vincente anche in questa occasione. Coinvolgimento assicurato per il numerosissimo pubblico presente che conosce a memoria ritornelli e strofe della discografia del gruppo, riunitasi proprio grazie allo Sweden Rock Festival dopo oramai cinque lunghi anni d’attesa! Ma la sorpresa arriva dal pezzo di apertura del loro show: Th1rt3en or Nothing nuovissimo singolo rilasciato in rete solo qualche giorno prima, anteprima di un nuovo album in uscita ad agosto che si chiamerà “Four by Four”. Dopo un’ora e venti di grande R&R si chiude con “Minus Celsius” (mai pezzo fu più adatto vista la temperatura out of stage).
Seguiamo ora la marea di persone che si sposta verso il Festival Stage curiosi, come molti, di vedere cosa combinerà una delle band più attese di questa edizione, i MOTLEY CRUE.
Al termine dello show possiamo sicuramente dire che, chi li ha visti per la prima volta, ha goduto di uno dei gruppi più spettacolari del mondo. C’è molto altro, rispetto alla musica, che rende lo show unico: effetti pirotecnici, ballerine/cantanti, luci e grafiche luminose). Purtroppo però Vince Neil è oramai l’ombra dell’ombra del frontman di qualche decennio fa, assolutamente imbarazzante, soprattutto per se stesso. Gli altri componenti della band, Sixx e Lee, hanno ancora voglia ed energie da spendere per cose nuove, nuovi progetti. Mick Mars è malato, faccia scheletrica, uno zombie in piedi per miracolo ma, nonostante tutto, suona ancora alla grandissima. Vince proprio no, non può continuare a rimanere su un palco solamente per pura vanità personale. Quindi forse è un bene che questo sia veramente l’ultimo tour, in chiusura di un’incredibile carriera di successo del combo californiano.
Mezzanotte è già passata ma si intravedono già le prime luci dell’alba dietro al palco dove suoneranno gli H.E.A.T. La band è in costante salita di notorietà e gradimento, ed è già giunta alla terza partecipazione allo Sweden Rock Festival. Dopo aver presenziato sui palchi, (cosa che avviene solo tra artisti scandinavi?), dei Backyard Babies (il giorno seguente saranno presenti pure a quello degli Hardcore Superstar), Erik Gronwall e compagni aprono il loro show con Point of no return, per poi sciorinare altri 14 brani e tre bis nei 90 minuti a loro disposizione. Il frontman è il solito vero “animale” da palco, salta, balla, si muove in maniera imprevedibile ma, incredibilmente, non sbaglia un’attacco nè una nota, molto ben coadiuvato da Eric Rivers, migliorato moltissimo da quando si è ritrovato ad essere l’unico chitarrista della band. Unico piccolo rammarico che ci rimane: qualche piccola variazione apportata alla solita setlist non sarebbe stata affatto una cattiva idea. Ma in definitiva: Promossi a pieni voti.
La Svezia è un paese, per certi versi, strano ed originale, e quindi non c’è da sorprendersi se una delle metal band nazionali più famose e seguite venga fatta suonare alle ore 13 della giornata conclusiva del Festival. Lo SRF non regala niente a nessuno, neppure ai suoi “pupilli” HARDCORE SUPERSTAR che, soprannominati “I vampiri” avrebbero, forse, preferito un set a più tarda ora e, ripeto forse, su un palco di dimensioni più ridotte. Ma tantè, e Jocke Berg non si fa pregare due volte e si parte con la grezzissima Need no Company tratta dall’album del 2007, sesto della serie. Ma tra le vecchie hit c’è anche spazio per il nuovo singolo Don’t mean shit, perla del nuovissimo HCSS uscito a fine aprile.
E tra una “chiamata” ad una bevuta (Last call for alcohol) ed il masterpiece We don’t celebrate sundays, la cricca di Goteborg conclude l’esplosivo set dando appuntamento a tutti alla prossima occasione intonando Above the law, pezzo oramai diventato quasi un inno per il quartetto scandinavo.
Ma ecco che, poco dopo, si materializza una delle (gradite) sorprese di questa edizione dello Sweden. ACE FREHLEY porta sul Festival Stage tutta la sua maestria, esperienza e simpatia, raccontando all’ampia platea presente aneddoti di vita ma soprattutto proponendo un’equilibrata miscellanea di Rock’n’roll comprendente pezzi tratti dai suoi album da solista, brani nuovi, ma anche vecchi classici dei KISS, cose che tutti, ad un festival, vorrebbero sentire. Detto, fatto! Si parte con la rocciosa Rocket ride e, tra gag, assoli e nuovo materiale, passano anche Parasite, Love gun, Strange way e Shock me, fino ad arrivare ad uno dei pezzi più coverizzati della band in maschera, Deuce. L’ex Spaceman non mostra cedimenti, supportato da una band solida e con un’amalgama invidiabile e, rasentando la perfezione, chiude sotto gli applausi una encomiabile esibizione.
“Ci hanno richiamato a questo Festival e noi, con molto piacere siamo ritornati, ma lo abbiamo fatto anche per voi !!!!”. Esordisce così, ovviamente a due voci, la coppia di fondatori dei MOTHER’S FINEST, gruppo proveniente dal profondo sud degli States, la Georgia, e portatori di un sound che mescola rock, funky, soul e R&B. Joyce “Baby Jean” Kennedy and Glenn “Doc” Murdock guidano il resto della band (sei in totale, dei quali cinque di colore) in un “party” ad alto contenuto di adrenalina. Il ritmo coinvolge anche tutto il numeroso pubblico presente in una danza ed un movimento continui: non si riesce a tenere i piedi fermi! Reduci dal successo del “crowd founding” che ha permesso la realizzazione del nuovo album Goody 2 Shoes & The Filty Beasts, i MF alternano brani storici a pezzi tratti proprio dall’ultimo lavoro, e chiudono la loro kermesse funk-rock proprio con My Badd, sigillo finale ad un set al fulmicotone.
Ma, alle 20.46 (un minuto dopo aver iniziato il set), arrivano altre dolenti note, e nuovamente da parte di un vocalist; è ora la volta di Gary Cherone, cantante degli EXTREME. Un’esibizione, quella del gruppo statunitense, attesa da tanti, soprattutto perchè i rumours danno per certo un set interamente dedicato a “Pornograffitti” (per celebrare il 25° anniversario della pubblicazione), il capolavoro che ha portato il successo in scala mondiale alla band del Massachusetts. La realtà, ahimè, sarà ben diversa, a causa della forma, a tratti imbarazzante, di un Cherone apparso nervoso, poco lucido, e con la voce solo a tratti all’altezza della sua fama. Unicamente la perizia, l’esperienza e la bravura degli altri componenti (Nuno Bettencourt in primis), salvano la baracca, di modo che il loro show non finisca in un disastro totale. Il folto pubblico però, fortunatamente, viene attirato dalla vena, mai esaurita, del magico chitarrista di origini portoghesi che tra riff ed assoli suonati magistralmente, si carica il set sulle spalle. Il momento più alto del concerto viene raggiunto (ovviamente) con More than words, pezzo storico, iconico, una pietra miliare del rock, suonato e cantato da Nuno, ma solamente accennato da Cherone che preferisce lasciare la sua parte al pubblico, in completa estasi e ben disposto a cantarne a squarciagola tutte le parole.
Si finisce con un altro pezzo da novanta “Get the funk out”, che ci fa ritornare il sorriso. Con la speranza che, per Cherone, si sia trattata, solamente, di una serata storta. Ringraziando una volta per tutte “Nuno” man show!
Considerata la cancellazione dell’ultimo momento dei My Dying Bride, il vero grande nome (anche se, per dover di cronaca, pure i “Behemoth” si stanno esibendo in contemporanea…) chiamato alla chiusura dell’intera kermesse svedese è quello dei THE DARKNESS. Ma purtroppo il marketing ha le sue priorità, e quindi, per promuovere al meglio il loro quarto album “Last Of Our Kind“, uscito solo pochi giorni orsono, Dan Hawkins (chitarrista e produttore) e compagni decidono di dedicare gran parte dell’inizio del loro set, proprio alla loro ultima fatica, sino dall’opener “Barbarian”.
Scelta un po’ discutibile, considerato che siamo ad un Festival, e che si finisce per non coinvolgere (ovviamente) più di tanto la platea. Da annotare pure l’esordio (altra novità!) di Rufus Taylor, figlio del leggendario Roger Taylor (batterista dei Queen, occorre dirlo?), in veste di nuovo batterista. Molto apprezzata anche la scelta di cambiamento di look del cantante Justin Hawkins, senza (finalmente!) i baffettini, che si esalta, scendendo pure in mezzo al pubblico in groppa ad un gorilla della security, e ci esalta con i soliti pezzi storici (“One Way ticket”, “I Believe in a Thing Called Love”, ecc…) mettendo il sigilli, di fatto, all’edizione 2015 dello SWEDEN ROCK Festival. E intanto si comincia già a parlare di quella del prossimo anno….chi ci sarà ??? ROCK ON !!!!