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20-04-2025 0:57
14-04-2025 22:42 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
REYER VENEZIA – PALLACANESTRO TRIESTE: 103-71
Reyer Venezia: Tessitori 11, McGruder 8, Casarin 4, Moretti 4, Ennis 13, Janelidze 3, Kabengele 15, Parks 9, Wheatle 8, Simms 13, Wiltjer 13, Iannuzzi 2.
Allenatore: N. Spahija. Assistenti: V. Perovic, E. Molin, A. Billio.
Pallacanestro Trieste: Obljubech, Ross 12, Deangeli 4, Uthoff 3, Ruzzier 6, Campogrande, Candussi 6, Brown 17, Brooks 5, McDermott, Johnson 15, Valentine 3.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Progressivi: 29-13 / 54-36 // 82-54 / 103-71
Parziali: 29-13 / 25-23 // 28-18 / 21-17
Arbitri: Lo Guzzo, Gonella, Patti.
MESTRE (VE) – Stavolta nemmeno il Mose sarebbe riuscito a contenere l’ondata di marea orogranata che travolge, sommerge ed infine spazza completamente dal campo una intimidita truppa biancorossa.
Ma non è tanto la sconfitta, non sono i due punti che tutto sommato Trieste può andare a prendersi con gli interessi nelle prossime quattro sfide.
E’, piuttosto, il segnale che giunge da Venezia, dopo una partita, la seconda contro squadre di prima fascia, dalla quale la Pallacanestro Trieste esce annichilita dal punto di vista tecnico e, soprattutto da quello dell’atteggiamento.
Sì, perchè ammesso e non concesso che un posto fra le prime otto sia conquistato, poi ogni singolo confronto sarà una corrida, un duello da vita o morte da affrontare con convinzione e cattiveria, intensità e concentrazione, tutte caratteristiche che in molti dei momenti in cui sono stati chiamati a dimostrare di valere già in questa stagione uno fra i posti nell’élite del basket italiano, gli uomini di Jamion Christian si sono dimenticati di mettere nei borsoni caricati sul pullman che li portava in trasferta per affrontare squadre indubbiamente più affamate, più concentrate, anche più diligenti.
Ma una squadra che in tutte le sue componenti dichiara di voler vincere ogni singola partita, durante la post season non potrà certo continuare a farlo, altrimenti, qualunque sarà l’avversaria che dovrà affrontare, la post season rischia di durare davvero poco: la leggerezza, la faccia tosta, l’atteggiamento da allegra brigata che nella stagione regolare hanno spesso fatto la fortuna della squadra triestina saranno progressivamente meno determinanti rispetto alla ferocia agonistica a mano a mano che gli obiettivi di tutte le squadre divengono più definiti.
Certo, il precedente dell’anno scorso infonde ottimismo in questo senso, ma attenzione che l’A2 è un altro mondo, quella era un’altra squadra con una storia ed un vissuto totalmente diverso da quella di quest’anno.
E comunque il -75 accumulato in due partite contro dirette avversarie che prima o poi potrebbero essere rincontrate nella post season non possono non suscitare qualche piccola perplessità.Poi, ovviamente, c’è anche da fare i conti con la qualità delle avversarie dirette: se Trapani, incontenibile nella serata dei record, pareva assatanata e probabilmente avrebbe vinto contro qualunque squadra in Italia e con la gran parte in Europa, Venezia fa valere in modo letale tutto il suo arsenale fatto di tanti, tantissimi centimetri e chilogrammi, senza inventarsi nulla di particolare dal punto di vista tecnico sui due lati del campo ed anzi sfruttando il suo gioco di sempre, quello che prevedibilmente Trieste avrebbe dovuto studiare e mettere in crisi per avere anche una sola chance di uscire indenne dalla palestra mestrina.
In più, già dai primi minuti la squadra di Spahija mostra i muscoli, fa immediatamente maturare nelle menti dei giocatori triestini che appaiono inspiegabilmente appagati e scarichi, la convinzione che contro una Reyer in missione qualunque sforzo sarebbe stato vano.
Aggiungiamoci la serata di totale confusione dello staff tecnico (un time out chiamato dopo 1 minuto e 22 secondi se non è un record poco ci manca), per una volta colto totalmente alla sprovvista dalla continuità del martellamento nel pitturato da parte degli oro granata, che entrano e si avvicinano al ferro senza apparente difficoltà con Kabengele e Tessitori -e questo si poteva anche mettere in conto- ma anche con tutti gli altri, pure i piccoli, che arrivano a concludere da sotto con una facilità disarmante.
Provare a giocare small ball, togliendo per l’intero secondo quarto entrambi i centri, non sortisce alcun effetto, eccettuato un fugace quanto inconsistente break di 8-2 che non inverte l’inerzia e non consente nemmeno di sperare in un vero riavvicinamento nel punteggio, momento che peraltro dura un lampo fra due veementi accelerazioni veneziane che rimettono a posto gli equilibri.
Anche perchè la serata al tiro da fuori, che sarebbe dovuta essere l’arma principale per cercare di arginare il gap nel punteggio è di quelle che definire agghiaccianti è fortemente riduttivo.
Qualcosa arriva dal solo Markel Brown nei primi tre quarti di partita, inguardabili tutti gli altri che prima non riescono ad entrare in ritmo e costruire tiri che abbiano anche una lontana parentela con qualche possibilità di andare a segno, e poi si intestardiscono anche nel fallire le conclusioni più aperte, con la difesa veneziana che ormai si permette di battezzarle: segno di una fiducia già latente in partenza, tramontata dopo neanche cinque minuti di gioco.
Quando vivi una prestazione da tre così difficile, non resta che provare a penetrare, cadendo però nella devastante trappola fatta di forza bruta ed elevazione di cui Kabengele è solo l’interprete principale: Colbey Ross è annientato, un po’ meglio Ruzzier, ma privo di terminali per il pick and roll e con tutte le linee di passaggio per il penetra e scarica oscurate, anche lui finisce per naufragare nell’anonimato generale.
Ultimo elemento che spiega la disfatta su tutti i fronti, strettamente legata a tutto il resto, è la superiorità orogranata a rimbalzo: Venezia non concede seconde chance e se ne procura, per contro, a ripetizione, ribadendo più di una volta gli errori con devastanti schiacciate in tap in.
Comprensibile, infine, la voglia di andare sotto la doccia e cominciare a pensare già da stasera alla prossima, ma come già visto a Trapani, nessuna avversaria si ferma per una sorta di “mercy rule”, peraltro non contemplata nella pallacanestro: perdere di dieci o di trenta, di quindici o di quaranta, due punti in classifica a parte, fa una bella differenza per la gente che guarda, per i tifosi, per l’amor proprio, per non dare anche agli avversari la sensazione di resa totale.
Giga Janelidze non giocava, né tantomeno segnava una tripla, probabilmente dal 2023: Venezia gioca, diverte e si diverte fino alla fine, Trieste sbraca completamente dopo venticinque minuti. Può sembrare un particolare insignificante, è invece una lezione da imparare velocemente.
Difficile dimenticare in fretta l’imbarcata da -32 incassata (stavolta peraltro senza nemmeno infilarne 91 come a Trapani), però è necessario che la squadra e ciò che rimane della reale voglia di completare la stagione a Trieste da parte del coach -che anche oggi viene sanzionato con un inutile tecnico per proteste- facciano immediatamente tesoro degli errori commessi, e soprattutto riacquistino morale e cattiveria in vista di un rush finale niente affatto scontato: Venezia, questa Venezia, è probabilmente destinata ad imporsi nella corsa a quattro con Trieste, Reggio Emilia e Tortona per la conquista di uno dei tre posti realisticamente disponibili per i playoff (la prossima trasferta a Trapani dirà moltissimo in tal senso), Tortona perdendo a Sassari si inguaia ed ha un piede fuori dalla post season. Nulla, però, è già definito: intanto contro Trento, sabato prossimo, Trieste (che tutto sommato rimane sesta) vedrà passare l’ultimo treno per un complicatissimo ricongiungimento con il gruppo di testa.
E poi, dovrà affrontare squadre per fortuna già virtualmente (sebbene non matematicamente) salve, ma proprio per questo leggére e prive di ansie e per questo difficilissime da interpretare.
Per contro, con quattro punti di vantaggio e lo scontro diretto a favore con Tortona a quattro giornate dalla fine, ai biancorossi saranno sufficienti solo altri due punti. La missione deve ancora essere completata, la legnata subita al Taliercio è tramortente ma non letale: risollevarsi e ripartire!
(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images
Ph. Antonio Barzelogna
7-04-2025 20:45 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO TRIESTE-NAPOLI 109-82 (17-15; 34-21; 23-22; 35-24)
PALLACANESTRO TRIESTE: Obljubech, Ross 11, Deangeli, Uthoff 15, Ruzzier 4, Campogrande 3, Candussi 9, Brown 13, Brooks 9, McDermott 12, Johnson 9, Valentine 24. All. Christian.
NAPOLI: Pullen 12, Zubcic 11, Treier 11, Pangos 7, De Nicolao 2, Fiodo, Saccoccia, Egbunu 10, Green 13, Totè 14, Mabor 2. All. Valli.
ARBITRI: Grigioni, Borgioni e Catani.
TRIESTE – Nessuna distrazione, nessun contraccolpo per tutto ciò che è successo e si è detto in settimana. Coach regolarmente a bordo campo come previsto, Trieste (al completo!) che si conferma quel carrozzone spettacolare e terribilmente efficace che quindici giorni fa, sullo stesso parquet, aveva spazzato via una Virtus in crisi.
Napoli, invece, arrivava in riva all’Adriatico forte di tre fondamentali vittorie nelle ultime tre partite, con lo scalpo delle due teoriche corazzate da Eurolega nel carniere e la vittoria salvezza nel derby a Scafati a donare morale e consapevolezza nei propri mezzi (ben superiori a quello che esprime la classifica), e con un pugno di giocatori -Pullen, Totè e Green soprattutto- in prolungata trance agonistica.
In altre parole, per Trieste una partita da affrontare con estrema prudenza ed attenzione, con grande organizzazione difensiva e magari esprimendo percentuali almeno buone, se non ottime, da lontano, dal momento che gli avversari sono molto ben dotati di centimetri e chilogrammi nel pitturato.
E, soprattutto, sfruttando l’evidente gap tecnico fra i giocatori da quintetto e la riacquisita lunghezza delle rotazioni, contro una squadra che basa le sue fortune tramite l’utilizzo di non più di sette giocatori e mezzo.
Piano partita perfettamente rispettato, davanti a quasi seimila spettatori che si dimostrano supportivi dal primo minuto del riscaldamento a mezz’ora dopo la sirena finale: nel mirino c’è infatti un obiettivo comune troppo importante per essere offuscato da situazioni esterne o polemiche sterili.
Lo capisce il pubblico, lo capisce la società (che ignora ostentatamente l’argomento), ne è perfettamente consapevole la squadra, che appare concentrata e determinata quasi come non mai in stagione.Come di consueto, i biancorossi assistono, controllandola, alla fiammata iniziale degli avversari, che difendono alla morte concedendo pochissimo sotto canestro e contestando ogni singolo tiro da oltre l’arco, sfruttando anche qualche amnesia triestina nelle rotazioni difensive che permette soprattutto a Totè di sfruttare i suoi centimetri per arrivare facilmente, e con fatturato, al ferro.
Ma anche la Napoli dei primi minuti, che sembra al massimo delle sue possibilità, pur davanti a una Trieste che pare assopita in attacco, non riesce a scrollarsi in alcun modo l’avversaria di dosso, non superando mai i due possessi di vantaggio.
Esaurita l’energia iniziale partenopea, alle prime indispensabili rotazioni, dopo otto-nove minuti nel primo quarto è quasi tangibile, palpabile il cambio di ritmo biancorosso.
E’ il momento del sospirato rientro di Colbey Ross (per l’occasione sesto uomo di lusso), quando Trieste inizia a mettere in scena il suo show stordente: prima il sorpasso definitivo sul finire del primo quarto, poi una seconda frazione che mette già fine ad ogni discorso sul risultato finale, non tanto per il 34-21 del parziale che porta a 15 il gap a metà gara, tutto sommato recuperabili per una squadra che ne aveva recuperati altrettanti in metà del tempo a disposizione con Milano sette giorni prima, ma soprattutto per l’evidente differenza di ritmo, di intensità, di percentuali di realizzazione, di dominio a rimbalzo sui due lati del campo, di numero di assist che testimoniano un gioco che pare l’esecuzione di un’orchestra sinfonica affiatata che suona un “allegro”, in cui ognuno degli strumentisti sa perfettamente cosa fare, quando muoversi, quando entrare in scena, quasi senza guardare il maestro nel podio tanto oliati sono ormai i meccanismi e le consuetudini.
E’ questa la sensazione con cui le due squadre vanno negli spogliatoi, una sensazione di grande consapevolezza e fiducia da una parte, di frustrazione spesso sopra le righe (il nervosismo ostentato di Zubcic contro tutto e tutti non ha alcun riscontro oggettivo in presunti favoritismi arbitrali per gli avversari), di acquisizione della certezza di dover eseguire un vero e proprio capolavoro più simile ad un miracolo nel secondo tempo per riuscire a sovvertire un risultato che sembra già scritto dall’altra parte.
L’importanza di un giocatore come Colbey Ross, esattamente come successo con Valentine al suo rientro qualche settimana fa, è palpabile ed evidente non tanto quando è assente (specie con il Ruzzier in stato di grazia di questi mesi) quanto piuttosto quando puoi nuovamente riammirarlo in campo: non è tanto il bottino di punti, nemmeno le percentuali da cecchino.
E’ proprio il fatto che la sua sola presenza è in grado di spostare le difese, provocare raddoppi o triplicamenti di marcatura che creano spazi e possibilità per i compagni che il playmaker pupillo di Arcieri è abilissimo nell’individuare e sfruttare in modo chirurgico e letale.
In effetti Napoli in apertura di ripresa anche ci prova, attacca con grande determinazione il ferro, visto che da fuori non è proprio serata, ma stavolta Trieste non è affatto disposta a lasciar sfogare da spettatrice la seconda ed estrema fiammata della squadra ospite.
La partita si fa velocissima ed a tratti spettacolare, le squadre ribattono colpo su colpo, Napoli riesce addirittura ad infilare un break che la riporta appena sopra la doppia cifra di svantaggio dopo essere precipitata sotto ben oltre i venti punti, ma Jamion Christian ha a sua disposizione giocatori di una classe e di una letalità che davvero pochissime altre squadre in serie A possono vantare in tale quantità.
Ad un imprendibile Colbey Ross ed un costante ed ispirato Jarrod Uthoff si aggiunge l’istrione barbuto che più di tutti gli altri è in grado di accendere entusiasmo e divertimento sugli spalti, ed a spaccare le partite con improvvisi quanto imprevedibili lampi di classe cristallina.
Denzel Valentine infila una sequenza costituita da un tiro da sotto in avvitamento attorno ad Egbonu (cui rende 10 centimetri e 15 chili), una logotripla frontale da nove metri ed un’altra tripla ignorante in contropiede con solo avversari sotto canestro.
Otto a zero, ventello ripristinato, pandemonio nel palazzetto e partita in cassaforte, una esibizione di una bellezza estetica cestistica tale da ribaltare, per una sera, la celebre frase di Goethe che descrive a suo modo la città partenopea.
E’ davvero una serata di grazia al tiro da fuori per una Trieste che sfiora il 55% da oltre l’arco con ben 19 triple realizzate, tutti tiri peraltro costruiti benissimo, quasi tutti in ritmo e piedi a terra, nessuna forzatura ed anche grande equilibrio nelle conclusioni: Napoli sotto canestro, infatti, può contare su un Totè in stato di grazia, ma quando il lungo italiano deve rifiatare o deve essere preservato dai falli, dietro a lui dal punto di vista soprattutto tecnico c’è davvero quasi il vuoto.
Johnson Candussi, Uthoff e Brooks riescono a blindare la propria area ed a farsi spazio (anche con le cattive) sotto il ferro, con il risultato che per una volta il conto delle conclusioni è esattamente bilanciato: 35 tiri da due, 35 da tre.
Una macchina equilibrata che distribuisce responsabilità nell’arco dei 40 minuti e con gerarchie non scolpite nel granito, che dunque toglie certezze ed orientamento agli avversari, che oltretutto avendo la coperta piuttosto corta non possono che decidere di battezzare qualcuno dei tiratori avversari sperando che vada bene.
Ma se raddoppi o triplichi Ross e lui trova quattro volte McDermott completamente libero negli angoli, e l’ultimo arrivato in biancorosso colpisce con precisione devastante, se intasi il pitturato per evitare perlomeno gli attacchi al ferro e Valentine raccoglie il palleggio e segna dall’adesivo dello sponsor, se picchi Johnson sotto canestro (subendo peraltro anche sportellate dal centro californiano) e prendi i tiri da tre di Candussi, alla lunga capisci che gli avversari hanno previsto il tuo piano partita e preparato perfettamente le contromisure e perdi progressivamente fiducia ed energie, finendo, con ogni probabilità, per essere travolto.
128-88 la valutazione +27 il divario. Per raccontare questa partita, tutto sommato, sarebbe bastata una riga.
Trieste raggiunge così, a cinque giornate dal termine, il numero di vittorie (16) che aveva conquistato a fine campionato nella straordinaria prima stagione da neopromossa nel 2018-2019, bottino che allora le fruttò i playoff da settima e che quest’anno quasi certamente non le permetterebbe di conquistare nemmeno l’ottavo posto.
A proposito della corsa alla post season: Trieste rimane sesta, così come rimane invariata la distanza dalla vetta occupata da Trapani e Brescia, ancora soli quattro punti più sopra, ma viene colmato il gap con Milano, sconfitta a Reggio Emilia, inchiodata a 32 punti ed in grandissima difficoltà per gli infortuni di Shields e Bolmaro.
L’Olimpia rimane quinta per la differenza canestri rispetto a Trieste, ma l’inerzia ora è totalmente in mano ai biancorossi alabardati.
Trento si sbarazza di Scafati e rimane nel gruppo delle terze due punti sopra Trieste, dove è affiancata alla Virtus che deve giocare lunedì sera a Treviso: Trento arriverà in via Flavia fra due settimane (l’Aquila si impose di 8 all’andata).
Dietro, rimane in scia a Trieste solo Reggio Emilia a trenta punti, mentre scivolano sotto di quattro Venezia, sconfitta nel big match a Brescia, e Tortona, sconfitta in casa da Trapani e che ora diventa probabilmente “l’anello debole” fra le quattro in corsa per i posti che vanno dal sesto all’ottavo posto.
Appare quindi evidente come la sfida del Taliercio di domenica prossima diventi per Trieste una sorta di match point per la conquista della post season.
(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images
Ph. Antonio Barzelogna
6-04-2025 20:41
1-04-2025 0:08 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
PISTOIA BASKET – PALLACANESTRO TRIESTE: 69-89
Pistoia Basket: Benetti 6, Ceron, Cooke 8, Forrest 28, Saccaggi 10, Della Rosa (k) 5, Santi n.e., Boglio n.e., Stoch n.e., Allen 6. Allenatore: G. Okorn. Assistenti: T. Della Rosa, G. Valerio.
Pallacanestro Trieste: Obljubech 1, Ross n.e., Deangeli 4, Uthoff 8, Ruzzier 3, Campogrande, Candussi 10, Brown 10, Brooks 6, McDermott 12, Johnson 12, Valentine 23. Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Progressivi: 17-28 / 27-47 // 44-71 / 69-89
Parziali: 17-28 / 10-19 // 17-24 / 25-18
Arbitri: Valzani, Perciavalle, Dionisi.
PISTOIA – Trieste non cade nell’unico trabocchetto in grado di farle perdere una partita che probabilmente non avrebbe perso nemmeno giocandola altre cinquanta volte: deconcentrarsi, specchiarsi su sé stessa cercando esclusivamente lo spettacolo fine a sé stesso, smettere di difendere considerando vinta in partenza una sfida impari contro avversari in grado di opporre solo tanto orgoglio ed un sostegno continuo e commovente da parte della loro gente.
Ed invece, coach Christian tiene alta l’attenzione ruotando con il bilancino tutti i suoi uomini migliori fino alla fine, dimostrando rispetto per gli avversari ed utilizzando la partita in Toscana come un “allenamento rinforzato”, buono per provare quintetti sperimentali e nuove soluzioni per la costruzione dei tiri.
Già le prime battute dimostrano come la sfida si sarebbe dimostrata un confronto impari: pochi giri di lancetta regalati a Pistoia per sfogare la propria voglia, qualche punto concesso in contropiede, ritmi poco più che blandi per qualche minuto, e poi, improvviso, l’affondo definitivo, guidato da un Denzel Valentine a tratti irridente per superiorità tecnica e fisica, creatività e completezza rispetto ad avversari sempre più alle corde azione dopo azione.
Il “Barba” si diverte come al solito con le sue logotriple, alternate a penetrazioni fino al ferro nel cuore di una difesa toscana a tratti non pervenuta.
Una volta piazzato il colpo del KO a metà secondo quarto, la partita di fatto finisce, nonostante i moti d’orgoglio di un Della Rosa iper nervoso per la frustrazione, qualche buona soluzione di Saccaggi e la regia di un Forrest sempre più uomo solo al comando, specie per l’assenza di Kemp e l’esordio di uno spaesato Kadeem Allen.
Per il resto, gli uomini di Christian, che possono ruotare in modo credibile almeno dieci uomini senza abbassare il rendimento in modo tangibile, amministrano senza sforzo apparente il vantaggio, battezzando talvolta Forrest nel secondo tempo ma blindando il pitturato in modo ermetico impedendo di fatto ogni singola conclusione da sotto ai padroni di casa .
La sfida a rimbalzo, come del resto spesso successo durante la stagione, racconta di una superiorità netta (44 a 32), con statistica distribuita in modo uniforme fra i giocatori alternatisi sul parquet a testimonianza che il predominio in questa specialità vada ben oltre al supposto vantaggio fisico dei lunghi ma sia piuttosto una precisa attitudine di squadra, di posizionamento, di meccanismi a lungo affinati in allenamento.
Il risultato si traduce in una marea di possessi in più per Trieste, che li capitalizza con gli interessi.
Una volta che tutti, ma proprio tutti comprendono come la partita non avrebbe avuto alcuna possibilità di risolversi in modo diverso da una larga vittoria triestina, Trieste amministra sapientemente i ritmi, si limita ad impedire le transizioni avversarie ed accelera esclusivamente per spegnere le rarissime fiammate pistoiesi. Raggiunge un vantaggio superiore ai 30 punti già nel terzo quarto, e da lì inizia un lungo garbage time da dedicare soprattutto a riportare a Trieste, oltre ai due punti, anche caviglie e muscolature integre, dal momento che ogni qualvolta Trieste decide di accelerare arriva al ferro con una facilità quasi irridente, o libera il giocatore giusto al momento giusto per il tiro da fuori quasi sempre in ritmo, piedi a terra e chilometri di vantaggio (del resto le percentuali parlano da sole: 68% da due e 42% da tre).
Qualche intervento più dettato da frustrazione o divario tecnico che da reale cattiveria da parte dei giovani difensori di casa fa trattenere il fiato a panchina e tifosi triestini, specie quando a volare verso il supporto del canestro è Markel Brown (che ci mette un po’ a rialzarsi facendo perdere qualche colpo al cuore di molti) o a voltarsi la caviglia cadendo è Jeff Brooks, che però dopo qualche passo zoppicante rimane tranquillamente sul parquet.
Inutile parlare della prestazione dei singoli, che a rotazione si alternano nel prendersi responsabilità in attacco: coach Christian può addirittura concedersi il lusso di una partita di recupero fisico a Michele Ruzzier, che da un mese trascina la carretta in regia per oltre trenta minuti di media, tenendolo in campo per poco più di venti minuti, alternando nel ruolo Valentine, ma anche Brooks, Brown ed addirittura un McDermott che mostra ulteriore crescita sui due lati del campo.
Unico momento di curiosità nel finale è il mancato cambio di Luca Campogrande, dapprima candidato a finire la partita sul parquet assieme ad Obljubech, ma poi fatto frettolosamente risedere in panchina.
Forse un momento di nervosismo reciproco con il coach, ma è inutile indagare oltre: sono equilibri di campo, discorsi privati di spogliatoio ed è giusto che rimangano tali.
La quindicesima vittoria dei biancorossi ha l’effetto di rendere matematica la salvezza a sei giornate dalla fine, mantenendo d’altro canto aperta ogni possibilità verso l’alto ma anche verso il basso.
Sebbene risultati e classifica dicano esattamente questo, il fatto di limitarsi a conservare la categoria è naturalmente tornato ad essere un compito che Trieste può relegare nei più remoti meandri della sua memoria, anche recente.
Piuttosto, la sconfitta di Trapani a Sassari appiattisce in modo sensibile la classifica nelle prime posizioni, con i biancorossi a soli quattro punti dal primo posto e due dal terzo.
Certo, questo campionato incredibilmente equilibrato impone anche estrema attenzione a ciò che accade intorno o immediatamente sotto: Venezia, dopo quello di Reggio Emilia, vince anche il secondo scontro diretto superando Tortona ed entrando per la prima volta in stagione fra le prime otto estromettendone proprio i piemontesi.
Nelle prossime settimane i lagunari dovranno ancora affrontare in sequenza Brescia, Trieste e Trapani: dovessero mantenere o migliorare l’attuale posizione, diventerebbero un cliente davvero scomodissimo da affrontare per chiunque nella post season.
Contro Napoli, domenica prossima, Trieste potrebbe tornare a contare sull’intero roster reintegrando anche Colbey Ross: come l’anno scorso, i tasselli tornano a posto proprio nel periodo più importante della stagione.
Come potrebbe andare a finire, basandosi sui precedenti, fa parte dei sogni più spinti del popolo della Trieste baskettara.
(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images
Ph. Antonio Barzelogna
23-03-2025 22:11 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO TRIESTE-VIRTUS BOLOGNA 85-78 (17-22; 37-41; 57-58)
PALLACANESTRO TRIESTE: Obljubech, Ross, Deangeli, Uthoff 11, Ruzzier 11, Campogrande, Candussi 2, Brown 18, Brooks 13, McDermott 9, Johnson 4, Valentine 17.All. Christian.
VIRTUS BOLOGNA: Cordinier, Holiday, Belinelli, Pajola 9, Clyburn 20, Visconti, Shengelia 25, Hackett 3, Morgan 13 , Polonara 4, Zizic 4, Akele.
All. Ivanovic.
ARBITRI: Giovannetti, Quarta, Valleriani.
TRIESTE – Ci si aspettava una reazione d’orgoglio dopo la tonnara siciliana, ed una reazione che assomiglia più a una ribellione ad un possibile momento di down atletico e mentale conseguente all’evidente impossibilità di continuare a far fronte solamente con l’energia e la forza di volontà alle continue e penalizzanti assenze è puntualmente arrivata, in campo e su spalti affollati da 6000 indemoniati ben decisi a gettare ogni difficoltà alle spalle, fondendosi con la loro squadra nella consueta comunione laica.
Non che il cliente in questo anticipo di ventitreesima giornata fosse fra i più comodi per ricominciare a correre: anche la Virtus, infatti, arrivava a Trieste ferita dopo l’inaspettata sconfitta sul campo dell’ultima in classifica di domenica scorsa e la ben più prevedibile, ennesima, imbarcata in Eurolega contro Tel Aviv, le sfuriate in spogliatoio di un sempre più frustrato Dusko Ivanovic e le inevitabili, inedite polemiche (che ora somigliano da vicino ad un’aperta contestazione) di un ambiente troppo abituato a ben altri rendimenti.
E dunque anche Bologna aveva moltissimo da farsi perdonare, con molti giocatori decisi a gettare sul campo, in un palcoscenico peraltro prestigioso per ambiente, seguito, risonanza ed entusiasmo, tutti gli attributi e la determinazione nel voler tornare ad essere l’altra metà di uno status quo dominante in Italia che dura ormai da troppo tempo ma che mai come quest’anno rischia seriamente di abdicare.Coach Christian può nuovamente contare, per cominciare, sulla dose di imprevedibile ma lucida follia del suo barbuto 45, ed almeno un lembo della sua coperta di Linus torna a permettergli di dormire sonni tranquilli.
Per il resto della coperta, quel Colbey Ross a cui ama affidarsi quando la partita si fa dura e che è assente ormai da quasi due mesi (sebbene la consolidata affidabilità di Michele Ruzzier potrebbe far vacillare le sue certezze), sarà necessario attendere ancora un po’, anche se vederlo svolgere il riscaldamento con i compagni ed utilizzare la mano destra almeno per i layup è di per sé stesso sufficiente a spargere una discreta dose di ottimismo.
Denzel Valentine ci mette un po’ a carburare, a tornare a respirare l’aria della competizione, i contatti, il gioco fisico, la pressione.
Poi, quando nel secondo tempo si accende definitivamente, torna ad essere quella scheggia solo apparentemente avulsa dai meccanismi della squadra che è diventato proprio dopo la partita di andata a Bologna: Valentine sfrutta, al contrario, i meccanismi offensivi dei compagni per mettersi in proprio, prendersi responsabilità immense, in ultima analisi costituire quel pericolo costante che sposta la difesa avversaria indipendentemente dalle percentuali al tiro, creando spazi ed opportunità per l’attacco biancorosso.
E proprio nel momento in cui si accende lui, cambia l’inerzia di una partita difficile, che si era messa in salita con una pendenza sempre maggiore sotto i colpi, soprattutto, di un maestro come Toko Shengelia, giocatore di altra categoria, meritevole probabilmente di un palcoscenico ben più ambizioso nelle zone alte dell’Eurolega.
Ha ragione Michael Arcieri quando afferma che solo un grande campione (un giocatore “impressionante” lo definisce il GM) è in grado da subito di cancellare la ruggine di un mese di stop e di risultare da subito determinante come fatto dal rapper di Lansing contro Bologna.
La Virtus, però, è davvero un osso duro soprattutto dal punto di vista difensivo: da metà campo in giù mette costantemente le mani addosso, aggredisce sistematicamente il portatore di palla fin sotto il canestro avversario, approfitta di un metro arbitrale piuttosto permissivo ed impedisce così a Trieste di avvicinarsi al ferro se non con sporadici pick and roll o grazie agli uno contro uno di un Markel Brown che quando salta il suo uomo arriva in un modo o nell’altro a tirare da sotto: finché le percentuali da oltre l’arco biancorosse, nel primo tempo, rimangono ben al di sotto del 30% in mancanza di un numero sufficiente di tentativi da due, la conseguente fuga in avanti della Virtus è inevitabile, specie se dall’altro lato del campo Trieste difende altrettanto bene sul perimetro impedendo agli ospiti di tenere percentuali da fuori sopra la sufficienza, ma ha enormi difficoltà a contenere Shengelia (che per tre quarti di partita è letteralmente una sentenza ogni singola volta che riceve il pallone a meno di cinque metri dal canestro) e Clyburn, alla sua prima apparizione in campionato dopo la lunghissima assenza per infortunio.
Ivanovic sceglie di tenere Grazulis in tribuna e Belinelli in tuta, ed alla lunga si trova le armi spuntate in attacco: Zizic soffre enormemente la fisicità di Johnson e commette tre falli in un amen concludendo di fatto la sua partita, Holiday litiga con impressionante costanza con il tiro, e così l’illusoria -quanto monodimensionale- fiammata bolognese si spegne velocemente come si era accesa già sul finire del primo tempo.
Punto dopo punto, difesa dopo difesa, rimbalzo dopo rimbalzo, la banda biancorossa ritrova la sua unità, ricomincia a giocare di squadra con la conduzione giudiziosa del suo metronomo triestino, demolisce piano piano le (poche) certezze delle V nere ed ingaggia un secondo tempo dal pathos infinito, sorretta dall’energia della sua gente.
La bagarre è il territorio preferito di giocatori che si cibano della positività dell’ambiente amplificando le loro possibilità fisiche ben oltre il plausibile: è, in altre parole, il territorio di gente come Jeff Brooks, che a un certo punto, sul finire del terzo quarto e fino al termine della partita, decide che l’one man show di Toko Shengelia, bello quanto si vuole, non sarebbe risultato anche vincente.
L’ex Milano e Venezia entra in una sorta di trance agonistica difensiva, bracca il georgiano rendendogli impossibile ciò che fino ad allora aveva fatto sembrare elementare, scivolando con lui nelle sue scorribande, mettendolo fuori equilibrio, cancellando la visibilità del ferro, innervosendolo ed alla fine demolendo le sue certezze.
Se poi un giocatore di 36 anni che in molti consideravano al crepuscolo della sua carriera, al 38esimo minuto di una partita così intensa, provoca la palla persa degli avversari e due secondi dopo si fa trovare solo sotto il canestro bolognese per inchiodare in contropiede la schiacciata della vittoria, allora significa che quel crepuscolo somiglia più ad una bella serata di inizio estate quando il sole rimane ben alto sull’orizzonte fino a tardi.
Ma contro Bologna, è ovvio, non la vinci con i singoli: pur con rotazioni ancora limitate per necessità e per scelta (Candussi gioca 7 minuti, Deangeli un’azione, gli altri sette scesi in campo vanno dai 20 di McDermott ai 35 di Uthoff) è fondamentale l’unità del gruppo, una unità tecnica così come morale, condotta certo dai leader naturali e dalle gerarchie ormai consolidate ma con mattoni fondamentali portati da ogni singola pedina in momenti diversi della partita, senza che nessuno rifiuti un tiro importante o eviti di prendersi responsabilità quando il pallone pesa mezza tonnellata.
Alla fine sono 5 gli uomini in doppia cifra, nessuno oltre i 20 punti, fra cui spiccano la doppia doppia da 11+11 di uno Jarrod Uthoff la cui utilità devastante si nota soprattutto a fine partita quando si vanno a leggere i tabellini, gli 11 punti con 9 assist di un Michele Ruzzier capace (a dimostrazione di quanto ognuno sia importante al momento giusto) di infilare due bombe consecutive che permettono a Trieste di riprendere in mano il pallino delle operazioni tornando nuovamente a condurre nel punteggio nel quarto decisivo, il 3 su 4 da oltre l’arco di un McDermott che, se possibile, gioca in difesa meglio che in attacco ed il solito manuale di tecnica ed esplosività di un Markel Brown sempre più leader.
Una prestazione di squadra che si traduce anche nell’ennesima vittoria nella lotta a rimbalzo, e contro Bologna non è affatto un dato scontato: 41-38 il computo totale, con 10 rimbalzi catturati in attacco che non sono certo frutto di vantaggio fisico (in quanto a centimetri e chili nel pitturato Trieste ne rende parecchi alla Virtus), ma piuttosto di posizionamento, di furbizia, di opportunismo ed, alla fine, di voglia.
Così come il 15-0 con il quale Trieste finisce la partita non è certo casuale o frutto di un black out autonomo della Virtus, bensì di una feroce applicazione difensiva e di una freschezza atletica che Bologna, probabilmente sfiancata dal doppio impegno stagionale e dai fantasmi che affollano le menti dei suoi giocatori, non è capace di pareggiare nonostante il tardivo rifiuto ad arrendersi di Pajola e Morgan.
E’, quindi, doppia vittoria stagionale contro la Virtus, novità assoluta nella storia della Pallacanestro Trieste.
Virtus che, curiosamente, ha perso nelle ultime due occasioni in cui è scesa in campo in via Flavia: la volta precedente, nella primavera del 2023, la vittoria triestina illuse tutti che, tutto sommato, la salvezza non sarebbe stata irraggiungibile, il resto è storia.
Intanto, con sette partite ancora da giocare i biancorossi hanno raggiunto, a quota 14, il maggior numero di vittorie dal ritorno in Serie A nel 2018, dopo le 16 del primo anno ed al pari di quelle conquistate nel terzo a fine campionato (in entrambi i casi le vittorie furono sufficiente per conquistare i playoff, segno del grande equilibrio e dell’accresciuta difficoltà del campionato di quest’anno: a quota 28, ma anche a 32, le probabilità di esclusione dalla post season, infatti, sono oggi praticamente al 100%).
Trieste sfrutta un fattore campo che -dopo le difficoltà di fine anno- torna ad essere decisivo, regalandole tre vittorie nelle ultime quattro partite.
A 28 punti, solo quattro sotto le posizioni che vanno dal secondo al quarto posto, ora la squadra di Christian può mettersi comoda ad osservare gli scontri diretti nei quali necessariamente qualcuna delle sue avversarie lascerà punti sul campo. Da qui alla fine della stagione regolare i biancorossi sono attesi da due scontri diretti, uno con una squadra che la precede (Trento in casa), l’altro a Venezia in una partita che potrebbe rivelarsi decisiva per la conquista di un posto nella post season.
Per il resto, saranno match delicati da affrontare con la dovuta attenzione contro formazioni che lottano per la loro sopravvivenza, a partire dalla trasferta in Toscana della prossima settimana, per continuare con il prossimo match casalingo contro l’ondivaga quanto imprevedibile ultima in classifica partenopea.
Per la volata finale coach Christian tornerà presumibilmente ad assaporare il lusso di avere a disposizione l’intero roster con 6 americani (sebbene l’agognato imbarazzo della scelta probabilmente non arriverà mai per il declino fisico di Justin Reyes che purtroppo, a questo punto, pare una sentenza sulla sua stagione): un booster decisivo -quanto indispensabile- per il decollo verso il secondo obiettivo stagionale.
(diritti riservati TSportintheCity)
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Ph. Antonio Barzelogna
23-03-2025 15:10
17-03-2025 7:38 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
TRAPANI SHARK – PALLACANESTRO TRIESTE: 131-88
Trieste: Obljubech, Reyes n.e, Deangeli (k) 3, Uthoff 19, Ruzzier 13, Campogrande, Candussi 5, Brown 20, Brooks 4, McDermott 13, Johnson 11, Valentine n.e.
Allenatore: Jamion Christian. Assistenti: Francesco Taccetti, Francesco Nanni, Nick Schlitzer.
Trapani: Notae 21, Horton 10, Robinson 14, Rossato 13, Alibegovic 10, Galloway 7, Petrucelli 12, Yeboah 13, Mollura (k) n.e., Gentile, Brown 21, Eboua 10.
Allenatore: Jasmin Repesa. Assistenti: Andrea Diana, Alex Latini, Isaac Jenkins.
Progressivi: 41-25 / 70-42 // 101-69 / 131-88
Parziali: 41-25 / 29-17 // 31-27 / 30-19
Arbitri: Rossi, Borgioni, Capotorto.
TRAPANI – La Pallacanestro Trieste trova finalmente il modo per entrare negli annali della Serie A, ma purtroppo lo fa per il motivo sbagliato: funge, infatti, da sparring partner, alla stregua dei Washington Generals per gli Harlem Globetrotters, ad una prestazione balistica trapanese statisticamente memorabile, ed alla quale, suo malgrado, verrà per sempre associata.
Una prestazione granata che ritocca vari record stagionali, e qualcuno ogni tempo nella massima serie: 9 giocatori in doppia cifra, 167 di valutazione, 70 punti segnati in 20 minuti e 131 in 40 (quarto punteggio all time in Serie A), 41 punti segnati solo nel primo quarto, 19 triple con il 73% da tre, 43 assist (record all time in Serie A). E potremmo continuare a lungo. Ad esempio, cominciando dai 78 punti su 131 realizzati dai giocatori che non partivano in quintetto, segno di un roster che definire completo è riduttivo: Repesa si ritrova almeno 10 giocatori da rotazione pura, e la realtà dei fatti è che il suo omologo sull’altra panchina ne può ruotare di fatto 6.
Non deve ingannare, infatti, il tabellino finale, arrotondato dal garbage time dell’ultimo quarto, a partita ormai finita da almeno venti minuti, con spazio concesso a Deangeli, Campogrande, Candussi e Obljubech: Trieste, scegliendo di schierare Ruzzier, Uthoff, Johnson, McDermott, Brown e Brooks per gran parte della partita, viene letteralmente stritolata dalla fisicità debordante, prima ancora che dal talento puro, di avversari che contano su cambi vorticosi, alternando quintetti lunghi a small ball di una velocità devastante, capace di arrivare al ferro in transizione in costante superiorità numerica.
Trieste fallisce clamorosamente nel suo intento di difendere alla morte a metà campo, subendo al contrario il gioco velocissimo degli avversari, ma per cercare inutilmente di arginarlo si sfianca al punto da risultare sempre, costantemente, invariabilmente in ritardo nelle rotazioni difensive anche quando riesce a schierarsi, subendo sì la precisione al tiro di Trapani, ma agevolandola in modo evidente consentendo una caterva di tiri in ritmo, piedi a terra con chilometri di libertà.
Il fatto che poi Notae e Gabe Brown riescano nell’intento di centrare il bersaglio anche tirando con il palmo dell’avversario spalmato sul naso, è semplicemente il “plus” che trasforma una vittoria importante in una nottata magica e memorabile.
E dire che, se analizzata “stand alone”, la prestazione offensiva di Trieste non è neanche fra le peggiori della stagione: sono infatti 88 i punti segnati con percentuali ottime da due e discrete da tre, con il solito dominio a rimbalzo (29-20 con ben 15 rimbalzi in attacco), tirando addirittura con l’86% i ben 30 tiri liberi concessi (contro i 13 concessi a Trapani).A condannarla, però, sono le 25 palle perse, a suo modo anche questo un record stagionale, di cui solo 11 recuperate fattivamente da Trapani: significa che a causare i turnovers per ben 14 volte è la distrazione, l’errore banale che fa carambolare il pallone sulle caviglie del compagno o lo lancia in mano agli spettatori delle prime file. Ma è anche conseguenza della clamorosa e costante pressione difensiva granata, che toglie fiato e idee, energie e lucidità, un’onda continua di energia che impedisce per tutta la partita a Ruzzier di impostare con serenità il gioco, per non parlare dei minuti nei quali il play triestino rifiata in panchina ed a sostituirlo nel compito, perlopiù improvvisando, rimangono Brown o Brooks.
Ed è, anche, conseguenza della scarsa convinzione, trasformatasi velocemente in frustrazione ed infine in desiderio di finirla prima possibile ed andare una buona volta sotto la doccia.
In una situazione del genere, in cui a naufragare è l’intero battello, parlare dei singoli non ha particolare senso.
Sono 5 i giocatori in doppia cifra, ma essenzialmente perchè sono i cinque ad essere sostanzialmente sempre impiegati.
Alla sufficienza potrebbero arrivare solo Markel Brown, che almeno ci ha messo muso duro ed attributi finché è rimasto in campo, il solito Uthoff multitasking e, forse, Jayce Johnson, il solito guerriero autoritario nel pitturato, ma talmente isolato alla mercé dei raddoppi e delle triplicazioni di marcatura non appena prova ad avvicinarsi a canestro dalla posizione di post, da risultarne letteralmente stritolato.
Anonima o insufficiente, talvolta gravemente insufficiente, la prestazione di tutti gli altri, compresa quella di un coaching staff colto alla sprovvista, incapace di gestire o perlomeno tentare di trovare contromisure in corsa all’onda di piena granata, con la ciliegina dell’espulsione del capo allenatore, frutto più del tentativo di dare una scossa emotiva alla squadra ed ai suoi collaboratori che di reale frustrazione.
Dove finiscano gli immensi meriti di una formazione che si è rialzata sulle gambe la prima volta a 21 secondi dalla sirena finale, e dove inizino i demeriti di una Trieste frastornata, probabilmente partita battuta nella propria testa già alla palla a due, apparsa scarica, sfiduciata e stanca, priva della solita verve, della consueta gioia nel giocare a pallacanestro, e priva, soprattutto di tre americani, è un esercizio perfettamente inutile.
Letti a posteriori, i segnali c’erano tutti, a cominciare dalla dichiarazioni di Jamion Christian in sede di presentazione della partita, che parlavano di una settimana di allenamenti non ottimale: potrebbe esserci stato qualche problema fisico di troppo, qualche assenza forzata, un po’ di stanchezza, un po’ di tensione.
Naturalmente non lo sapremo mai, anche se poi, per un motivo o per l’altro, il compito in classe si è risolto con una pesante insufficienza.
Il quarantello (abbondante) sulle spalle con il quale risale sull’aereo che la riporterà a Ronchi deve però rimanere un fardello di cui liberarsi in fretta, anche perchè che si perda di uno o di cinquanta, si tratta sempre e comunque di soli due punti in classifica non conquistati: l’umiliazione non deve quindi lasciare tossine nella testa e nelle gambe degli uomini di Jamion Christian, al contrario può essere il motore per una reazione d’orgoglio ed un pungolo per l’amor proprio di giocatori dall’esperienza troppo lunga e dalla mentalità troppo vincente per subire supinamente una legnata di questa portata senza voler immediatamente rialzare la testa, a cominciare dal primo allenamento del lunedì.
Anche perchè l’obiettivo playoff è ancora ben lungi dall’essere conquistato, favori da altri campo non ne arriveranno più ed in queste ultime 8 partite le avversarie avranno ognuna un obiettivo ben preciso e delineato da raggiungere, chi il primo posto, chi il terzultimo, chi l’ottavo.
Otto partite nelle quali la politica consueta ma talvolta, forse, eccessivamente prudenziale e conservativa della società potrebbe essere messa almeno temporaneamente in disparte magari con l’aiuto di un po’ di antidolorifico laddove non si sia in presenza di infortuni talmente gravi da imporre lo stop, anche perchè la volontà di arrivare al massimo dell’efficienza fisica quando più serve, durante la post season, ma non qualificarsi, sarebbe un esercizio un po’ fine a sé stesso…
Sarebbe, anche, discretamente importante comprendere il motivo della non pubblicamente annunciata esclusione di Justin Reyes: nelle ultime partite, pur sembrando fisicamente non particolarmente menomato, forse un po’ legato in difesa ma comunque molto reattivo in attacco, era stato impiegato solo in fugaci circostanze arrivando raramente ai dieci minuti fuori dalla panchina (avvicinandosi, piuttosto, ai cinque), per poi sparire del tutto al PalaShark nonostante sia stato aggregato alla comitiva per la trasferta.
Qual è il male oscuro che affligge il portoricano? Ha una ricaduta dei suoi malanni cronici alle ginocchia? E’ una scelta tecnica del coach ora che si ritrova in roster una valida alternativa (solo sulla carta, alla luce della prestazione insufficiente di McDermott in terra siciliana)?
Trieste si può permettere di “regalare” per scelta -o per necessità- un giocatore in un ruolo così importante, nel quale mediamente le dirette avversarie sono super coperte? E poi, perchè non dirlo pubblicamente?
Più legati ad un tentativo di pretattica l’inserimento a referto ed il riscaldamento interamente svolto da Valentine, che visivamente non pareva affatto sofferente, anche se evidentemente qualche fastidio dell’ultimo minuto deve averlo provato.
Il suo rientro contro la Virtus appare imprescindibile, e lo sarebbe anche quello di Colbey Ross, sebbene i tempi per quest’ultimo siano incerti ed imprevedibili.
Un rush finale che per Trieste diventa, dunque, un puzzle complesso e di difficile interpretazione, che richiederà una gestione attentissima, quasi chirurgica, dei giocatori da impiegare (o da lasciare in alternativa a riposto) e dei rischi che si è di conseguenza disposti a correre.
(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images
Ph. Antonio Barzelogna
11-03-2025 13:37 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO TRIESTE-GIVOVA SCAFATI 88-75 (17-24; 39-34; 65-57)
PALLACANESTRO TRIESTE: Obljubech, Reyes 4, Deangeli 2, Uthoff 17, Ruzzier 18, Campogrande, Candussi 8, Brown 5, Brooks 11, McDermott 9, Johnson 14, Valentine. All. Christian.
GIVOVA SCAFATI: Gray 12, Sangiovanni, Zanelli, Anim 10, Ulaneo, Sorokas 10, Miaschi 11, Pinkins 8, Pezzella, Cinciarini 11, Maxhuni 4, Jovanovic 9.
All. Ramondino.
ARBITRI: Sahin, Dori e Nicolini.
TRIESTE – Nessuna crisi di rigetto, nessun contraccolpo dopo la reazione emotiva agli infortuni ed alle continue difficoltà che si era tradotta nella straordinaria vittoria su Treviso.
Nella giornata nella quale l’intera comunità, con la squadra in prima fila, si stringe attorno ai familiari della spettatrice deceduta in seguito ad un malore accusato in palazzetto giusto una settimana prima, presenti in prima fila al PalaTrieste, la squadra biancorossa è ancora priva di 2/5 di quintetto base (nonostante l’apparizione a referto di Denzel Valentine, poi rimasta solo sulla carta, avesse illuso più di qualcuno per qualche minuto) ma decisamente non si nota affatto.
La capacità di questa squadra, morale ancora prima che tecnica, di ricompattarsi trovando partita dopo partita nuovi equilibri, nuove gerarchie e distribuzione meticolosa delle responsabilità, probabilmente non ha eguali in tutta la Serie A di quest’anno.
Mancano due solisti finalizzatori che attirano su di loro le attenzioni di ogni difesa avversaria creando autostrade per i compagni? Ok, giochiamo di squadra, non lasciamo prevedere chi metteremo in ritmo, chi libereremo sul perimetro, chi cercheremo spalle a canestro, chi isoleremo per l’uno contro uno.
Abbiamo la necessità di ricreare la produzione di punti, una trentina se va bene, che solitamente fatturano Valentine e Ross? Beh, nel gioco della pallacanestro lo scopo è quello di segnare almeno un punto più dell’avversario, e dunque è sufficiente elevare a dismisura la pressione difensiva, l’organizzazione nel back court fatta di continui aiuti, di raddoppi sistematici, di attenzione ad evitare il pick and roll, di show dei lunghi che escono sulla linea da tre punti ad impedire a Mashuni e Gray di ricevere palla in ritmo e piedi a terra.
E poi, di capacità di comprendere ed anticipare il pensiero dell’avversario, ed in ultima analisi di una ferocia agonistica che induce a difendere mani addosso costantemente sul filo del fallo per fare in modo che una squadra che solitamente realizza 84 punti a partita si fermi a 73, compiendo così tre quarti dell’opera.
Anche perchè, dall’altra parte del campo, una Givova la cui lunghezza e determinazione forse erano state sopravvalutate alla vigilia, non è in grado di fare altrettanto (tranne nei fugaci minuti iniziali del primo quarto), dimostrando di soffrire tantissimo la distribuzione chirurgica e la varietà delle soluzioni offensive biancorosse. Del resto il direttore d’orchestra, unico rimasto in dotazione a Jamion Christian ma su livelli di rendimento che dieci anni fa gli avrebbero garantito il quintetto base in azzurro anche agli Europei, nei 34 minuti trascorsi sul parquet è letteralmente il classico bignamino “Playmaker for dummies”: Michele Ruzzier, a 32 anni, fa sembrare semplice ogni soluzione, gestisce i ritmi con il metronomo installato nel cervello, trova i compagni fiutandone il momento e la convinzione più che il posizionamento (Jayce Johnson e Francesco Candussi, fra gli altri, ne beneficiano a turno), si ricorda che ok, va bene far segnare poco gli avversari, ma bisognerà pur metterla dentro all’altra estremità del campo, e quindi si mette sempre più spesso in proprio, tornando ad essere anche il realizzatore che si era scoperto essere durante la cavalcata vincente della passata stagione.
Ma, stavolta, non più contro mediocri mestieranti o ragazzini di A2, bensì contro esterni americani e ragazzi nel giro della nazionale.
La sua tripla a fil di sirena nel terzo quarto (lo aveva già fatto da posizione impossibile contro Treviso a fine primo tempo, e dunque non è certo un caso) è probabilmente l’azione che piazza la mazzata definitiva sul morale della squadra campana.
Nell’ennesima serata senza go-to-men designati, un bottino di punti consistente ed un tabellino popolato da statistiche in doppia cifra sarebbe stata l’aspettativa logica per la prestazione di Markel Brown: se, però, il leader atteso si ferma a cinque punti e si vince comunque di tredici, significa che la squadra è ormai in grado di mettere in atto in corso d’opera scelte tecniche alternative che non necessariamente sono le stesse nell’arco dei 40 minuti.
Quando Trieste finisce sotto di dieci nel secondo quarto, è un quintetto privo di entrambe torri a permettere il 12-1 che le ridona la conduzione delle operazioni: la versione small ball con Jeff Brooks, Jarrod Uthoff e Sean McDermott coadiuvati a tratti da un Justin Reyes sempre reattivo ma un po’ più confusionario del solito, è devastante in difesa e letale in transizione, ed è la chiave della la riscossa che instilla il primo tarlo nella testa di avversari che si erano inizialmente illusi di poter giocare perlomeno una gara punto a punto provando magari a buttarla in bagarre.
Gli esterni triestini mostrano una pulizia tecnica top level, che giocatori che basano sull’istintività condita da un po’ di talento le loro prestazioni come Gray e Mixhuni non sono nemmeno lontanamente in grado di eguagliare.
Oltre a ciò, Trieste mostra estrema dedizione nella difesa “a metà campo”, quella che le permette di impedire facili contropiede (che in un paio di volte si sono conclusi con una stoppata da parte del difensore triestino rientrato ad impedire canestri praticamente già fatti).
Ed inoltre, la cattiveria di Sean McDermott nell’impedire ad Andrea Cinciarini nell’esibirsi nella specialità della casa, l’assist per il compagno meglio posizionato, innervosisce il playmaker titolare di Ramondino, tagliando alla squadra la quasi totalità dei rifornimenti.
E’, anche, la fase nella quale il pubblico fiuta il momento e comprende che diventa indispensabile veicolare tutta l’energia di cui è dotato sul parquet.
La squadra la assorbe, ne viene quasi sollevata e sospinta, le energie mentali vengano metabolizzate in energia fisica, gli avversari ne vengono annichiliti.
Compiuto il capolavoro del rientro-lampo dallo svantaggio in doppia cifra ben prima di andare negli spogliatoi, il terzo quarto torna ad essere terreno di caccia per i lunghi: da un lato Pinkins e Jovanovic non riescono letteralmente mai ad avvicinarsi al ferro, e quando lo fanno vengono brutalizzati anche dai piccoli, dall’altro lato prima Johnson e poi Candussi infilano una striscia stordente (il primo da sotto, dove è sempre più dominante dal punto di vista fisico, il secondo soprattutto da fuori) che tengono Scafati costantemente ad una distanza che fluttua fra i due ed i tre possessi.
Non sono, però, solo i due lunghi triestini a determinare il dominio assoluto sotto il ferro: Trieste conquista 43 rimbalzi (15 più degli avversari) senza che nessuno, tranne Jeff Brooks, riesca ad andare in doppia cifra nella voce statistica.
Di più, ben 16 di questi sono rimbalzi offensivi, e costituiscono esattamente la metà dei tiri sbagliati da Trieste.
In altre parole, nel 50% delle occasioni nelle quali i biancorossi falliscono una conclusione, riescono a rimediare con seconde e talvolta terze chance: nessuna squadra avversaria, davanti a numeri simili, può pensare di venire a vincere in trasferta al Palatrieste.
Ed infine, gli esterni tornano ad essere protagonisti nel quarto decisivo, quando la gestione del cronometro inizia a far parte integrante della costruzione della vittoria, con tanti minuti importanti concessi a Lodo Deangeli, che risponde con un sontuoso rendimento difensivo, divertendosi anche a venir pescato al momento giusto nel posto giusto con i giri giusti dal compagno di lungo corso Michele Ruzzier.
La costante fra le due versioni triestine è un Jeff Brooks monumentale, un all around capace di dar fiato a Ruzzier portando su palla così come di giostrare spalle a canestro, di tirare da tre punti così come di posizionarsi perfettamente per catturare il rimbalzo in attacco di rimproverare così come di incoraggiare i compagni.
La doppia doppia da 11 punti e 10 rimbalzi lo rendono, per l’ennesima volta, il match winner della serata.
La sua esperienza infinita declinata a vantaggio della squadra è probabilmente il più grande valore aggiunto, forse quello realmente indispensabile per Jamion Christian, che a domanda specifica risponde con un disarmante quanto eloquente “che volete che vi dica… Jeff sa giocare a pallacanestro”.
Lo andiamo ripetendo da mesi, da prima che inizi il campionato: a 36 anni l’italiano d’America è un patrimonio cestistico restituito all’intera Serie A.
A proposito di Jamion Christian, last but not least, il coach americano ed i suoi collaboratori hanno ormai raggiunto una sintonia che rasenta la perfezione. Comprendono i loro uomini e le loro caratteristiche, sono capaci di declinarle in funzione delle situazioni, anche le più difficili e disperate, studiano le avversarie preparando piani partita che sono in grado di adattare in corso d’opera, centellinano le rotazioni e dosano le forze dei leader superstiti in modo da poterli riavere tutti al top quando più conta.
Da Cenerentolo spaurito nel settembre 2023 a possibile candidato a coach dell’anno in Serie A: naturalmente manca ancora la parte più importante della stagione il cui esito farà tutta la differenza del mondo, ma la capacità di adattamento mostrata in così poco tempo da un uomo che contro tutto e tutti era stato scelto a sorpresa da un GM visionario lo rende di per sé stesso l’allenatore più ammirato della massima serie.
Come ampiamente prevedibile, nessun aiuto arriva dagli altri campi: Venezia approfitta del hara-kiri di Sassari e vince in volata per la seconda settimana di seguito, rimanendo così a fare da pericolosissima nona incomoda nella corsa ai playoff.
Vince all’overtime anche Tortona, che approfitta delle nefandezze di una Varese che era avanti di sei punti a un minuto e mezzo dalla fine.
Vince anche Milano, recuperando 15 punti di svantaggio a Treviso, senza però che questa costituisca una sorpresa.
Trapani si impone a Reggio Emilia conservando quattro punti di vantaggio su Trieste in vista della terza sfida stagionale fra le due neopromosse in programma sabato prossimo, ma consentendo almeno a Trieste di raggiungere gli Emiliani sopravanzandoli in classifica al sesto posto.
Senza storia la vittoria di Brescia a Pistoia (che non può certo ripetere miracoli sportivi ad ogni partita), mentre la Virtus ha la meglio su Trento nella sfida del Monday Night Game.
In Sicilia Trieste si presenterà certamente senza Colbey Ross, c’è qualche (ridotta) speranza nel veder rientrare Valentine, che perlomeno non pareva sofferente durante lo shootaround prima del riscaldamento pre partita.
Ma, ancora una volta, non è affatto importante chi non salirà sull’aereo venerdì mattina: è molto più importante, invece, chi su quell’aereo -chiunque sia- ci salirà.
(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images
Ph. Antonio Barzelogna
11-03-2025 13:06
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