PALLACANESTRO REGGIANA – PALLACANESTRO TRIESTE: 81-96 Pallacanestro Reggiana: Barford 9, Gallo n.e., Winston 22, Faye 13, Smith 7, Uglietti 7, Fainke n.e., Vitali 3, Faried 3, Grant 3, Chillo 6, Cheatham 8.
Allenatore: D. Priftis. Assistenti: F. Fucà, G. Di Paolo.
Pallacanestro Trieste: Obljubech n.e., Ross 16, Reyes, Deangeli (k), Uthoff 18, Ruzzier, Campogrande n.e., Candussi 10, Brown 22, Brooks 5, Johnson 11, Valentine 14. Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Arbitri: Lo Guzzo, Bettini, Noce.
REGGIO EMILIA – Alla fine, le parole di presentazione del match pronunciate in settimana da Jamion Christian, usualmente da interpretare come l’oracolo di Delfi, si svelano al quarantesimo di una partita che Trieste domina sotto tutti gli aspetti: quella sul parquet del PalaBigi, secondo la sua previsione, sarebbe infatti stata per i biancorossi una occasione da cogliere, da affrontare con la squadra finalmente, per la prima volta, al completo.
Particolare, quest’ultimo, che fino alla palla a due pareva una utopia irrealizzabile, con Michele Ruzzier privo di allenamento in settimana con una caviglia malconcia e con le condizioni di Colbey Ross e Justin Reyes custodite in cassetta di sicurezza come la cartella clinica di Donald Trump.
Ed invece, Trieste si presenta sul parquet emiliano in palla e baldanzosa, preparata come pochissime volte accaduto in precedenza e, finalmente, con la possibilità di distribuire minuti e responsabilità in modo equanime senza la necessità di spremere nessun giocatore minandone lucidità e tenuta atletica nei minuti decisivi.
E, soprattutto, con la leggerezza di non doversi affidare necessariamente ed esclusivamente ai suoi go-to man designati, coloro che spesso in stagione erano riusciti a fare di necessità virtù rivelandosi match winner grazie alla loro classe debordante, ma che alla fine cominciavano a diventare prevedibili e, dunque, facilmente arginabili dalle difese avversarie.
E’ per questo che la partita di Reggio Emilia poteva effettivamente essere considerata un’occasione: quella di godere del lusso di un’intera settimana di allenamenti utili per studiare l’avversario, sviscerare le (poche) falle della miglior difesa della Serie A, magari preparando soluzioni difensive che potessero ribaltare una possibile superiorità strategica emiliana nel pitturato.
Di fronte, una squadra che di giorni (ed energie psico-fisiche) da dedicare al percorso di avvicinamento all’anticipo di campionato, seppur importantissimo contro una avversaria diretta in classifica, ne ha avuti appena due, dovendo oltretutto smaltire tossine e conseguenze fisiche della pur vittoriosa battaglia contro Bonn, che tolgono dai giochi fin dall’inizio il centro francese Stephane Gombauld, tenuto a riposo da coach Priftis.
L’occasione a cui si riferiva l’oracolo, che tanto aveva acceso la fantasia nei giorni scorsi, era dunque proprio quella di poter approfittare di una situazione che gli consente finalmente di ruotare almeno 10 giocatori, disponendo in modo cinico della condizione fisica approssimativa degli avversari anche per ottenere il doppio premio dei due punti di vantaggio in classifica e del ribaltamento della differenza canestri, particolare quest’ultimo che proprio con queste due squadre protagoniste evoca sinistri ricordi.Trieste ha fatto diligentemente i compiti, e si vede perfettamente già dalla prima palla a due.
L’assenza di Gombould facilita il compito assieme al curioso quintetto iniziale schierato da Reggio Emilia con Chillo e Sasha Grant contemporaneamente in campo, ma gli uomini di Jamion Christian ci mettono abbondantemente del loro: sorprendono gli emiliani blindando in modo impenetrabile il pitturato, proprio lì dove si poteva temere maggiore sofferenza, sebbene Faye, Cheatam e Faried sembrino tutti possedere caratteristiche tecniche e fisiche perfette per mandare in confusione Jayce Johnson e Francesco Candussi.
Ed invece, non accade mai nulla di tutto ciò: Reggio Emilia non riesce mai a servire i propri uomini sotto canestro, limitandosi a sterili attacchi affidati alle estemporanee quanto improduttive iniziative personali delle sue guardie americane dal perimetro, consentendo a Trieste di correre, correre come ama fare e come sapeva di dover fare per poter colpire Reggio Emilia utilizzando il gioco meno amato dagli uomini di Priftis.
Ed infatti, fin da subito, la squadra giuliana approfitta della staticità offensiva avversaria concludendo in contropiede o in transizione secondaria sempre nei primi dieci secondi di azione, beneficiando di una prestazione da parte di Jarrod Uthoff che, se non avesse avuto così tanti spettatori dal vivo, parrebbe piuttosto quella di un giocatore da Playstation in modalità arcade: dieci minuti di onnipotenza inarrestabile, di intelligenza cestistica coniugata a tecnica, fluidità e naturalezza nei movimenti che frutta uno 0-10 già decisivo a 38 minuti dalla sirena finale.
Da quel momento, infatti, il vantaggio biancorosso non scenderà mai più sotto la doppia cifra. Ice Man ne mette 18 in dieci minuti, con una percentuale immacolata al tiro, bottino realizzato battendo avversari in tre ruoli diversi.
Evidentemente, a giudicare anche dalla sua prestazione nella partita d’andata, quella emiliana è per l’uomo di Iowa una specie di eccitante.
Con il passare dei minuti e l’infruttuosità di ogni tentativo di rientrare, neutralizzato alternativamente da ottime difese o da reazioni in attacco uguali e contrarie da parte di Trieste, la squadra di casa perde progressivamente fiducia ed energia.
I tre quarti che seguono, pur facendo registrare un sostanziale pareggio, sono inesorabilmente segnati dalla tramortente zampata iniziale, e rimandano agli ultimi due minuti il pathos per l’unico particolare che rimane ancora in bilico, la differenza canestri.
Trieste, peraltro, messo a sedere Uthoff per preservarne la situazione falli, affida a rotazione ad altri protagonisti nel corso dei 30 minuti rimanenti il compito di tenere gli avversari in un angolo: nel terzo quarto, ad esempio, Markel Brown, dopo qualche partita di rodaggio conseguente al lungo stop di dicembre, torna a fare il vero Markel Brown, e sembra di rivedere l’Uthoff di inizio partita: infila una imponente sequenza da oltre l’arco dei 6,75, centrando pure un’azione da 4 punti, difende sempre piegato sulle gambe e mani addosso a Winston e e Barford, recupera palloni, penetra andando indisturbato al ferro dopo aver seminato il povero, impotente, Uglietti, che pur rimane un ottimo difensore.
Ed infine, quando a rimanere in bilico (grazie al massimo sforzo profuso dalla squadra di casa, che getta generosamente sul parquet ogni singolo atomo di energia residua) è solamente il +12, dopo 37 minuti positivi ma non eccellenti, sale in cattedra Colbey Ross, che infila prima un “and one” portando la sua squadra sul +15, e nell’azione successiva, dopo l’immediata tripla di Winston, centra un canestro da oltre l’arco che vale, con il definitivo +15, la vittoria nella vittoria.
Parlare dei singoli però, nonostante le esibizioni ben oltre l’eccellenza di Uthoff e Brown, sarebbe ingeneroso dinanzi ad una prestazione collettiva che pare la Filarmonica di Vienna che nel concerto di Capodanno esegue con il sorriso i walzer di Strauss.
Ad esempio, l’ex solista Denzel Valentine, fino all’espulsione di Bologna un mangiapalloni indisciplinato sebbene geniale, si conferma vero uomo squadra, capace di catalizzare l’attenzione delle difese ed abile nell’approfittarne per pescare sempre il compagno libero, rinunciando a tiri che pur sarebbero nelle sue corde a favore della soluzione più semplice ed a più alta percentuale di successo.
Limita le palle perse (lui che è il leader della “specialità” in LBA), cattura rimbalzi, piazza assist, finendo invariabilmente per festeggiare schitarrando davanti al settore ospiti al termine del match.
Johnson e Candussi, con quest’ultimo che cresce anche come mentalità da killer di partita in partita, ribaltano in modo evidente la superiorità strategica sotto canestro, generando sfiducia nel giovane Faye, solitamente straripante se lasciato libero di fluttuare sopra il ferro (solo un alley up concesso, del resto battezzare un centro così verticale quando decolla può anche essere una scelta condivisibile), ma autore di errori banali ed ingenui evidentemente indotti dalla difesa.
Giornata in pantofole, invece, per tutti gli altri. Michele Ruzzier rimane in campo solo 13 minuti, ma tutto sommato non c’era la necessità impellente di farlo giocare troppo sulla caviglia infortunata domenica scorsa: solita regia diligente ed intelligente per il play triestino, che come al solito si prende pochissime iniziative in attacco, completando la sua permanenza sul parquet senza tentare nemmeno un tiro.
Jeff Brooks è più impreciso del solito, del resto si fa presto a risultare più imprecisi del solito se si viaggia al 75% di media.
Dà comunque il suo contributo con 4 rimbalzi ed una tripla importantissima per rintuzzare un primo timido tentativo di rientro nel match da parte di Reggio Emilia.
Justin Reyes appare ancora evidentemente indietro di condizione, non riesce a sbloccarsi da oltre l’arco nonostante un’ottima occasione in campo aperto e finisce con -14 di plus/minus.
Fisicamente sembra in progresso rispetto a domenica scorsa contro Pistoia, soprattutto in difesa, ma per riaverlo al top, sempre che sia possibile, bisognerà probabilmente avere abbondante pazienza.
Unica nota negativa, che in una serata di grazia del genere risalta come un fulmine in una caverna, è la percentuale dalla lunetta, ancora una volta ben sotto il 70%: quando ottieni ben 22 tiri liberi, oltretutto in gran parte cercandoli scientemente tramite penetrazioni nel cuore del pitturato, sbagliarne 7 in una partita più equilibrata di quella in Emilia potrebbe rivelarsi l’ago della bilancia in negativo.
Stupisce, oltretutto, che in questa specialità al contrario “eccellano” in modo trasversale un po’ tutti, i lunghi come le guardie.
Non sappiamo se, con professionisti così esperti in una fase così avanzata della loro carriera sia possibile porre dei correttivi, e magari è solo un problema di concentrazione più che tecnico, ci limitiamo però a constatare come Trieste continui ad essere ultima in Serie A nella specifica voce statistica e ciò sorprende non poco.
Per una volta la squadra triestina non domina a rimbalzo, ed anzi ne prende uno in meno degli avversari, concedendone ben 12 in attacco e rimanendo ben sotto la media di 39 rimbalzi a partita (sono 33 quelli catturati al PalaBigi).
Peccato del resto veniale alla luce dei pochi errori al tiro. Per contro, gli uomini di Coach Christian perdono molti meno palloni rispetto al solito, rimanendo al di sotto dei 10 turnovers (9 per l’esattezza), segno di una partita attenta e diligente da parte dei portatori di palla.
Ed inoltre, a conferma dell’ottima prova sotto canestro, Trieste rimane in media campionato per le stoppate date: i quattro blocchi “e mezzo” (una stoppata regolare di Johnson su Uglietti è stata sorprendentemente quanto erroneamente considerata irregolare) sono il risultato dell’atteggiamento intimidatorio che è riuscito a domare acrobati come Faye e Faried.
Al di là dei numeri, ciò che più colpisce è che la Pallacanestro Trieste sia ormai talmente matura da cogliere prepotentemente l’occasione preannunciata dal suo coach, portando a casa con grandissima personalità la sesta vittoria in trasferta in stagione e smettendo definitivamente i panni dell’outsider neopromossa per vestire quelli della squadra temuta e rispettata, dall’alto dei suoi venti punti in classifica.
La squadra giuliana è ora decisamente più vicina alla vetta rispetto a quanto lo sia dal nono posto, ed in questo senso aiuta la vittoria di Trento su Treviso nel secondo anticipo del sabato, che lascia la squadra della Marca a 14 punti.
Domenica è previsto lo scontro al Taliercio fra Venezia e Milano, che in caso di vittoria dei campioni d’Italia porterebbe a sei il margine di sicurezza in classifica, consentendo alla squadra rossoalabardata di potersi dedicare anima e corpo per una settimana intera alla preparazione della prossima trasferta al Forum di Assago, con la leggerezza e la consapevolezza di chi sa che qualunque impresa, giocando così, è alla portata.
Domenica prossima si prevede l’ennesimo esodo del Red Wall: in città è finalmente -e definitivamente- tornata la basket mania.
PALLACANESTRO TRIESTE – PISTOIA BASKET: 80-75 Pallacanestro Trieste: Bossi, Ross 8, Reyes 2, Deangeli (k), Uthoff 10, Ruzzier 5, Campogrande n.e., Candussi 12, Brown 8, Brooks 10, Johnson 8, Valentine 17.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Pistoia Basket: Benetti n.e., Christon 3, Della Rosa (k), Anumba, Pinelli n.e., Rowan 10, Kemp 22, Cooke Jr 6, Forrest 22, Boglio n.e., Saccaggi, Silins 12.
Allenatore: Gašper Okorn. Assistenti: Tommaso Della Rosa, Giuseppe Valerio.
Arbitri: Mazzoni, Pepponi, Lucotti.
TRIESTE – Trieste completa con una vittoria il girone d’andata, gira la boa al settimo posto forte di nove successi in 15 partite ed ora è attesa, tanto per rimanere in tema velistico, da un lato di bolina in cui lo skipper dovrà essere bravo a catturare ogni alito di vento per mantenere salda la rotta.
Un lato di bolina che inizierà con due trasferte consecutive a Reggio Emilia (raggiunta in classifica da Trieste proprio sull’ultima virata, ma che ha tirato per vincere a Milano, fallendo il buzzer beater), al Forum di Assago sul campo dei campioni d’Italia (che precedono Trieste di sole due lunghezze), in casa con Tortona (che, vincendo per il rotto della cuffia in casa con Scafati riesce a rimanere per un soffio nelle F8) e sul campo della attuale capolista solitaria Leonessa Brescia, prima di assaporare l’atmosfera dei grandi eventi alla Inalpi Arena di Torino, dove è attesa dall’ambiziosa Trapani per il quarto di finale di Coppa Italia.
Final Eight che Trieste raggiunge per la terza volta negli ultimi cinque anni: nella prima occasione, nel 2020/2021 la squadra guidata da Eugenio Dalmasson finì settima il girone d’andata ma con soli 14 punti in classifica, la seconda volta, nella stagione successiva, con la guida di Franco Ciani i biancorossi finirono addirittura terzi pur conquistando lo stesso numero di vittorie della squadra attuale.
In entrambi i casi la qualificazione finì per essere di per sé stesso un traguardo e sfociò in due esibizioni rinunciatarie nei quarti di finale, in cui Trieste fu massacrata da Brindisi e da Tortona.
Ma alla Coppa Italia -ed alla determinazione nel tentare di vincerla veramente- c’è ancora tutto il tempo per prepararsi, e lo stesso Jamion Christian la vede come un impegno ancora ben oltre l’orizzonte.
Tutta la sua attenzione è ora concentrata, piuttosto, sull’impegno di sabato prossimo a Reggio Emilia, dove la sua squadra avrà il compito (lui la definisce “l’occasione”) di ribaltare il -12 con il quale gli emiliani si imposero lo scorso ottobre al PalaTrieste.
E dunque, anche e soprattutto per tutto ciò che attende i biancorossi nelle prossime settimane, il risultato della partita contro Pistoia andava ben al di là della curiosità di conoscere il piazzamento finale dopo metà campionato con la conseguente definizione del tabellone delle finals di Torino.Finire bene, senza fallire un impegno che tutti i pronostici si affrettavano un po’ imprudentemente a considerare già segnato in partenza, conquistando con la quarta vittoria nelle ultime cinque partite due punti fondamentali che tengono le più immediate inseguitrici (ed il nono posto) a quattro punti di distanza, si rivela un compito niente affatto banale, davanti ad una squadra, come quella toscana, in grande difficoltà dopo otto sconfitte consecutive, con un roster ed una panchina che sembrano porte girevoli, una società sotto attacco dalla tifoseria, il morale sotto i tacchi ed una chimica di squadra a dir poco approssimativa, ma proprio per questo imprevedibile, come ogni animale ferito e con le spalle al muro.
Oltretutto, dotata anche di un quintetto base tutto sommato temibile, con gli esterni Forrest e Christon, le ali Rowan e Kemp ed il nuovo centro Derek Cook Junior (apparso peraltro vistosamente spaesato dopo i due soli allenamenti svolti con la squadra) con tanti punti potenziali nelle mani e la dinamicità giusta per risultare temibili anche sotto canestro, dove Pistoia è nelle primissime posizioni in Serie A in quanto a rimbalzi difensivi conquistati.
Trieste, però, finché può farlo capitalizza la prima occasione nella quale può finalmente scendere in campo al completo, veramente al completo con l’ennesimo tentativo di esordio di Justin Reyes. Se Jamion Christian per quasi mezz’ora di gioco riesce a ruotare nove giocatori potenzialmente da quintetto, il povero Okorn può solo guardare un po’ sconsolato la panchina dietro a sé, dove siedono tre o quattro comprimari o poco più.
Trieste prima lascia sfogare, poi contiene la voglia e la convinzione iniziali di Pistoia, poi inizia a fare sul serio, aumenta i giri in attacco, raddoppia sistematicamente i tiratori avversari e, soprattutto blinda completamente il pitturato dominando letteralmente a rimbalzo sui due lati del campo.
Nel secondo quarto, in particolare, la squadra di casa diverte e si diverte, è inarrestabile in contropiede o in transizione, azioni che nascono dagli errori al tiro avversari ma anche, per una volta, dalle palle perse di una squadra che ne perde più di lei.
Trieste è velocissima nel muovere la palla, trova sempre l’uomo libero con la palla che finisce nelle mani di tiratori letali come Brown, Valentine e Uthoff, è disorientante per gli avversari con interpretazioni del ruolo di point guard diametralmente opposte di Colbey Ross e Michele Ruzzier, oltretutto impiegati a tratti anche insieme in campo.
Poi, quando sarebbe il momento di dilagare per potersi concedere il lusso di amministrare il vantaggio nel secondo tempo, sul +16 i biancorossi commettono l’errore di piacersi eccessivamente, cedono alla tentazione di concedere troppo allo spettacolo, perdono un paio di palloni banali e chiudono la prima metà di partita subendo un parziale fatto di due bombe in contropiede che, pur tenendo Pistoia oltre i 10 punti di distanza, danno anche agli ospiti la sensazione che, alzando l’intensità e la convinzione, qualche granello di sabbia nel meccanismo fin lì pressoché perfetto di Trieste sarebbero pure in grado di metterlo.
Ed infatti Pistoia ci prova con decisione, essendo del resto priva di alternative. Rowan e soprattutto Forrest e Kemp trovano un po’ di continuità in attacco, specie quando approfittano di cambi difensivi non tempestivi e riescono ad avvicinarsi al ferro.
Il loro problema, però, è che Trieste non molla nulla in attacco e quindi la partita rimane in una sorta di “stallo tecnico” almeno finché, a metà terzo quarto, l’incantesimo vissuto dai 5500 presenti al PalaTrieste si rompe fragorosamente: in effetti, avere la squadra al completo a lungo sarebbe stata troppa grazia, e quindi prima Colbey Ross viene accompagnato negli spogliatoi dopo aver ricevuto un forte colpo sullo zigomo (nulla di grave per lui, che però non rientrerà più fino alla fine) poi Michele Ruzzier si scaviglia e viene portato fuori dal campo a braccia senza riuscire ad appoggiare il piede.
Christian rimane improvvisamente senza i suoi due playmaker titolari e per la squadra si spegne improvvisamente la luce.
In effetti, una cosa è pensare ad un piano B, magari prevedendo correttivi in caso di una o due assenze, un’altra è gestire l’assenza improvvisa di due giocatori così importanti nello stesso ruolo a partita in corso.
Gli ospiti sentono l’odore del sangue e si mettono a pressare a tutto campo, Trieste schiera per un po’ Stefano Bossi, che non si aspettava di essere impiegato in una serata di abbondanza come questa, poi si affida per portare su la palla a due guardie come Brown e Valentine.
Pistoia dimezza lo svantaggio, ma senza mai dare l’impressione di poter riuscire a completare l’impresa: i possessi di vantaggio per Trieste, tranne che per qualche secondo, saranno sempre due o più di due fino alla sirena finale, anche perchè nel momento del bisogno i biancorossi trovano sempre almeno un giocatore che li prende per mano e li traghetta fuori dalle sabbie mobili.
Nel momento di maggiore difficoltà, quindi, a decidere di averne avuto abbastanza è il solito pazzo, imprevedibile, sornione, immarcabile Denzel Valentine, che al solito campionario offensivo stavolta aggiunge una sorprendente dedizione difensiva, con più palle recuperate che perse (proprio lui, che è primo in serie A per turnovers).
L’importanza del barba, però, va oltre quello che si può leggere sul tabellino: lui è il go to guy nei momenti difficili, lo sanno i suoi compagni, che ormai lo considerano una coperta di Linus, lo sanno anche gli avversari, che però a questi livelli, pur sapendolo, non hanno armi per contrastarlo.
Ma non c’è solo Valentine: quando la palla scotta, in una partita che lui stesso ha definito psicologicamente difficile da affrontare per motivi extra sportivi, Francesco Candussi infila due bombe ed una schiacciata di importanza incalcolabile per l’economia del risultato, si prende ben 10 conclusioni e dimostra una ulteriore crescita dal punto di vista tecnico e della personalità.
Sotto i colpi dei due giocatori “in charge” Pistoia sente di non avere la forza per completare la rimonta, perde progressivamente convinzione e, soprattutto, paga lo sforzo perdendo lucidità, sbagliando i tiri che avrebbero potuto potenzialmente riportare l’incontro in equilibrio e pressoché “regalando” uno dei potenziali protagonisti annunciati, un Semaj Christon demotivato ed indolente, irriconoscibile rispetto ai fasti di Tortona un paio di stagioni fa, che finisce con 1 di valutazione ed una preoccupante inconsistenza sui due lati del campo.
Ma si sa, la pallacanestro potrà anche essere un gioco in cui i numeri potranno non dire tutto per spiegare un risultato come il coraggio e gli attributi di Valentine e Candussi insegnano, ma letti a posteriori sono invariabilmente l’esatta sintesi di ciò che si è visto in campo.
Leggendo il tabellino della partita contro Pistoia è inevitabile, perciò, notare una prestazione che ad occhio nudo pareva silente ed “appesantita” da un 2 su 7 dalla linea dei tiri liberi che grida vendetta.
Ma i numeri generati da Jayce Johnson raccontano con esattezza il dominio suo e, di conseguenza, della sua squadra sotto canestro: 21 di valutazione (il migliore fra i suoi, secondo fra i venti scesi in campo), 13 rimbalzi, di cui 5 in attacco, 8 falli subiti e pure 3 assist.
Contro squadre “leggere” come Pistoia il californiano è sempre più dominante: quando si convincerà a liberarsi da un certo atteggiamento intimidito e rinunciatario anche contro i centri dalla potenza fisica debordante come quelli di Trento o Venezia o quelli fisicamente normali ma tecnicamente superiori come quello di Brescia, atteggiamento che deriva più dal suo autoconvincimento che da effettiva ed incolmabile superiorità degli avversari, potrà potenzialmente diventare uno dei “cinque” più determinanti dell’intera LBA.
Nonostante la superiorità strategica sotto canestro, però, il gioco offensivo triestino è sempre fortemente sbilanciato verso il perimetro, peraltro così come vuole il coach, che definisce la distribuzione delle conclusioni (30 tiri da 2 – realizzati il 67% delle volte – e 41 da tre – con il 30% scarso di successo) declinata in campo esattamente come preparata in palestra.
C’è, però, ancora spazio e necessità di migliorare, perchè sbagliare 29 conclusioni da oltre l’arco con squadre capaci più di Pistoia di dar filo da torcere a rimbalzo si tradurrebbe invariabilmente in una sconfitta: è sempre, quindi, una questione di bad execution di tiri costruiti bene, non di scelta concettuale, e tanto basta al coach, per il momento, per essere soddisfatto.
Justin Reyes, dal canto suo, appare ancora lontanissimo da uno stato di forma almeno accettabile, sebbene sembri determinato e non si tiri indietro anche nei movimenti più pericolosi come i cambi di direzione, i salti, le difese piegato sulle gambe.
Viene ancora battuto troppo facilmente negli uno contro uno -generando in lui grande frustrazione, dal momento che i ruoli, rispetto alla normalità, sono invertiti- ma il suo rientro, come del resto la standing ovation tributatagli dal pubblico al momento del rientro dimostra, è visto da tutti come una liberazione e getta una ventata di ottimismo sul resto della stagione.
Sorrisi ed ottimismo offuscati dalla preoccupazione per le condizioni di Michele Ruzzier, la cui eventuale assenza prolungata sarebbe un problema di non facile soluzione per Jamion Christian, sebbene di alternative temporanee nel ruolo (se preparate a dovere in settimana) ce ne siano in abbondanza.
E soprattutto, compensati dalle lacrime versate in spogliatoio dal gruppo squadra (soprattutto, c’è da giurarci, dai suoi “fratelli” Deangeli e Candussi) per la partenza di Stefano Bossi, preannunciata da qualche giorno e confermata in sala stampa dallo stesso giocatore e dal GM Arcieri.
Stefano non si è mai lamentato, negli ultimi tre anni di permanenza a Trieste, di uno scarso impiego che aveva certamente messo in conto, facendosi però trovare sempre pronto quando le circostanze lo chiamavano a gettare il cuore sul parquet magari a freddo e con pochissime azioni in cui dare tutto sé stesso.
Nella carriera di un giocatore, però, arriva il momento nel quale la voglia di giocare, di tornare protagonista per come sente di poter ancora essere, prevalga sulla determinazione a voler continuare a sposare la causa della sua città accanto a compagni di squadra di una vita che hanno condiviso con lui momenti esaltanti e tragedie sportive, gioie e dolori dentro e fuori dal campo.
“If you love somebody set them free” afferma un commosso Michael Arcieri (bravo nel controllare lacrime che avrebbero voluto uscire libere a testimoniare il suo sincero attaccamento ad un ragazzo che è stato il primo a chiamarlo nell’estate 2023 per offrirsi di tentare l’immediata risalita in Serie A e che incarna tutti i valori umani ed etici che lui stesso reputa indispensabili per giocare in una squadra ideale).
Ad Arcieri non piace cambiare, e Bossi il GM lo avrebbe tenuto fino alla fine della stagione.
Ma, appunto, se ami qualcuno devi avere il coraggio di lasciarlo libero di andare. Orzinuovi, squadra ambiziosa di A2 che proprio nei giorni scorsi aveva rinunciato al play Simone Pepe ed era alla ricerca di un nuovo protagonista cui affidare le chiavi della squadra, saprà certamente rimetterlo al centro di un progetto.
La storia sportiva ed umana di Stefano lo meritano, anche se non sentire più chiamare il suo numero 3 durante la presentazione delle squadre renderà un po’ meno familiare la serata al Palatrieste.
Arcieri, come prevedibile, non risponde all’inevitabile domanda sulle strategie di mercato conseguenti a questa partenza, volendo cedere l’intera scena della serata a Stefano. Ma il rientro di Reyes e l’uscita di un italiano potrebbero anche essere il segnale di un cambio di rotta sulle prossime eventuali decisioni, che peraltro non sembrano imminenti.
GIVOVA SCAFATI – PALLACANESTRO TRIESTE: 107-110 GIVOVA SCAFATI: Gray 30, Sangiovanni n.e., Zanelli, Anim 7, Ulaneo 5, Sorokas 13, Borriello n.e., Miaschi 2, Pinkins (k), Cinciarini 13, Stewart 29, Jovanovic 8.
Allenatore: D. Pilot. Assistenti: D. Chiariello.
PALLACANESTRO TRIESTE: Bossi n.e., Ross 25, Reyes n.e., Deangeli (k), Uthoff 17, Ruzzier 4, Campogrande, Candussi 10, Brown 17, Brooks 10, Valentine 27.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Arbitri: Sahin, Gonella, Catani.
SCAFATI – Alla fine, come da copione, la speranza di vedere finalmente la squadra al completo in Campania rimane una pia illusione: per l’ennesima volta dall’inizio del campionato un contrattempo priva Jamion Christian di un giocatore fondamentale, il suo pivot titolare fermato da un attacco di gastroenterite, con Justin Reyes sceso con la squadra in Campania in una delle trasferte più lunghe dell’anno solo per onor di firma.
Ma questa squadra, come sempre, sa fare di necessità virtù, sbanda, sbaglia, fa arrabbiare coach, GM e tifosi, ma si riprende quando serve e conquista il pass per le finali di Coppa Italia di Torino con una giornata di anticipo.
Vittoria niente affatto scontata anche sul campo di una squadra dal rendimento altalenante ed in affanno in graduatoria, specie in una giornata che, con numerosi risultati a sorpresa, dimostra che in questo campionato nessuno può dare nulla per scontato.
Niente male per una neopromossa, che come l’altra nuova invitata al gran ballo, delle classiche caratteristiche della neopromossa ha davvero ben poco.
Proprio l’assenza di Jayce Johnson, che avrebbe dato a Trieste un vantaggio strategico nel pitturato costringendo gli avversari, Pinkins e Jovanovic compresi, a ruotare prevalentemente lontano dal ferro, crea per gran parte del primo tempo una falla clamorosa a livello difensivo, con il piano “B” (Brooks e Uthoff ad alternarsi da 5) incapace di contenere l’evidente sbilanciamento fisico a favore dei lunghi gialloblu.La squadra di coach Pilot è bravissima nell’approfittare dei mismatch nel pitturato, continuando a servire il giocatore serbo, Sorokas, Ulaneo vicino a canestro ottenendo un fatturato clamoroso fatto di percentuali da due irreali, e costringendo Trieste a collassare spesso nel pitturato lasciando praterie di libertà sul perimetro ai letali tiratori gialloblu puntualmente raggiunti dagli extrapass di Cinciarini e Gray.
L’ingresso di Francesco Candussi, se non altro, ferma l’emorragia difensiva che a un certo punto pareva irridente, e l’infortunio alla caviglia di Pinkins riequilibra definitivamente il conto delle assenze, consegnando l’esito della partita nelle mani degli esterni.
Ma Trieste continua a disputare una partita difensiva ai limiti dell’inguardabile: distratta, disorganizzata, lenta, poco intensa soprattutto in rapporto alla grande motivazione dei padroni di casa, decisi a piazzare già da subito un break tramortente da poter tentare di amministrare nel secondo tempo.
Non che le cose vadano particolarmente meglio in attacco: Colbey Ross è inconcludente in quanto a produzione di punti, anche se sembra più attento rispetto all’insufficiente prestazione contro Venezia.
Uthoff disputa probabilmente la peggior partita da quando è arrivato a Trieste, pre season compresa: battuto regolarmente nell’uno contro uno soprattutto da Stewart, pasticcia in attacco e soprattutto non trova mai, ma proprio mai, la via del canestro nemmeno quando la squadra riesce a costruire i “suoi” tiri.
I comprimari non incidono in alcun modo, ed anzi la loro evidente scarsa consuetudine ai movimenti offensivi durante la partita li porta a sovrapporsi ai compagni, a generare attacchi confusionari ed improduttivi, togliendo ritmo e razionalità sui due lati del campo.
La squadra campana, però, specie quando perde Pinkins non riesce più ad approfittare della superiorità numerica fra i lunghi e si affida quasi esclusivamente alle invenzioni degli imprendibili Gray e Stewart ed agli illuminanti quanto estemporanei assist di Cinciarini risultando spesso battezzabile.
Trieste, dal canto suo, pur con le rotazioni corte ed ulteriormente accorciate dalle assenze, è dotata di tale tasso di talento che riesce sempre a trovare un elemento capace di invertire l’inerzia, caricarsi la squadra sulle spalle prendendosi responsabilità in momenti cruciali nei quali la partita è ad un bivio fra diventare un monologo dal risultato già scritto a venti minuti dal termine e tornare a mettere in palio i due punti.
A Scafati (come peraltro già successo in passato) questi giocatori rispondono al nome di Jeff Brooks e Denzel Valentine. Il primo, a 35 anni, raggiunge i 40 minuti di impiego, ricopre ogni ruolo sia necessario coprire e lo fa in modo credibile, continua ad esprimere un basket essenziale e semplice ma efficacissimo, prende le decisioni giuste e ci mette anche grandissima sostanza, finendo con una eloquente doppia doppia da 10 punti (fra cui due liberi decisivi nel finale del supplementare) e 14 rimbalzi.
L’importanza dell’ex Reyer, però, va ben al di là dei dati statistici: è il vero equilibratore della squadra, una specie di longa manus del coach in campo, coach lui stesso prodigo di consigli e, se serve, rimproveri ai compagni. Di gran lunga il miglior acquisto del mercato estivo biancorosso.
Il barbuto chitarrista, dal canto suo, pur rimanendo spesso svagato ed indolente in difesa come il resto della squadra, è un serpente velenosissimo in attacco.
Tiene da solo la sua squadra sostanzialmente a contatto di Scafati, ricuce il pesante gap allargatosi fino al -15, distribuisce la sua produzione offensiva nell’arco dei 45 minuti e piazza i cinque punti che, alla fine del supplementare, si rivelano quelli della vittoria (una bomba fuori ritmo con la mano di Cinciarini in faccia ed entrambi i liberi conquistati subendo fallo a rimbalzo).
I suoi 27 punti comunque, costituiscono le fondamenta della vittoria: giocatore che, quando vuole e riesce a rimanere concentrato senza esagerazioni spettacolari, a questi livelli risulta immarcabile.
Dopo i 54 punti subiti nel primo tempo ed una sosta in spogliatoio durante la quale coach Christian deve aver perso completamente la voce, ci si poteva aspettare una reazione in difesa, una elevazione dell’intensità e della concentrazione nell’evitare le scorribande solitarie di due ottimi giocatori che, però, sono sempre quelli. Nulla di tutto ciò accade fino in fondo, almeno non in modo continuativo.
Scafati continua ad abusare a piacimento del pitturato triestino, andando spessissimo ad appoggiare al ferro e, ciò che più pesa, ottenendo numerosi “and one” sanguinosi quanto ingenui da parte biancorossa.
Il terzo quarto è, però, quello nel quale Markel Brown dimostra tutta la sua esperienza e la sua intelligenza cestistica, andando a provocare ben 4 falli offensivi che di fatto estromettono dall’incontro Jovanovich e Ulaneo.
Ciò che cambia, però, è soprattutto la metà campo offensiva, dove Trieste si convince a ragionare di più, a costruire tiri più sensati e meno estemporanei, con la conseguenza che le percentuali si alzano sensibilmente soprattutto dalla lunga distanza.
Anche Uthoff, fin lì silente ed ormai rassegnato al primo vero “piccone” in pagella, dopo aver sbagliato in modo banalissimo conclusioni anche da vicinissimo a canestro ed aver preso la targa agli esterni scafatesi che lo abusavano nell’uno contro uno, si ricorda di essere “Ice Man” e piazza due bombe ed un canestro che, pur non riuscendo a scavare un break decisivo, permettono a Trieste di ricucire definitivamente lo svantaggio (che a poco più di 5 minuti dalla fine del quarto quarto era in doppia cifra), e poi di mettere il naso avanti proprio quando più conta.
Talento diffuso dicevamo: l’odore del sangue risveglia anche Colbey Ross, letale anche nel prendere decisioni come la richiesta di un Instant replay dopo aver commesso un sanguinosissimo fallo di sfondamento che frutta un cambio di decisione e due tiri liberi che è freddissimo nel trasformare nonostante le scomposte proteste del pubblico campano.
La differenza, alla fine, la fanno proprio il numero di triple segnate (ben 16) ed il dominio assoluto a rimbalzo, sfida vinta 49 a 32 con ben 21 carambole conquistate in attacco che fruttano seconde e talvolta terze chance, neutralizzando le migliori percentuali sia da due che da tre punti realizzate da Scafati, ma relative ad una marea di possessi in meno.
Alla fine sono 6 su 8 i giocatori triestini scesi in campo ad andare in doppia cifra (con i soliti due Uthoff e Brooks in doppia doppia), con cinque giocatori impiegati per 34 o più minuti, segno che per ora, per vincere, puoi anche limitarti a distribuire le responsabilità su un numero limitato di elementi affidabili, a patto che siano dotati di talento ed esperienza come quelli triestini.
Che questo possa essere sufficiente quando il target si alzerà e comprenderà la conquista di obiettivi prestigiosi, il prossimo dei quali si chiama Coppa Italia, non lo sappiamo e non ne saremmo così sicuri specie leggendo il roster delle dirette avversarie, ma intanto il primo traguardo parziale della stagione, quello di finire almeno fra le prime otto al termine del girone d’andata, è negli archivi come del resto tutti quelli prefissati dal club dall’estate 2023 in poi.
Ora una vittoria su Pistoia potrebbe regalare un piazzamento ancora più prestigioso, che sarà fondamentale, al di là della griglia per le Final Eight che comunque vada vedrà Trieste opposta già nei quarti ad una squadra di profilo elevatissimo, per affrontare con maggiore serenità ed animo leggero un inizio di girone di ritorno che ha in serbo due trasferte dal tasso di difficoltà discreto a Reggio Emilia e Milano.
L’avevamo fatto domenica scorsa contro Venezia, non possiamo evitare di farlo stasera specie alla luce della rumorosa reazione del presidente gialloblu che in una colorita sceneggiata di sapore partenopeo lamenta al ritmo di manate sul tavolo un supposto trattamento indecoroso riservato alla squadra di casa dal trio in grigio, con il profilo ufficiale del club che pubblica addirittura un filmato frettolosamente confezionato evidenziando con sottotitoli autoprodotti i supposti torti subiti ribaltando puntualmente la decisione presa sul campo.
Parlare dell’arbitraggio risulta esercizio noioso e ripetitivo, ma talvolta diventa inevitabile quando le decisioni dei giudici di gara sono indiziate di indirizzare il risultato di un incontro.
Che il livello degli arbitri in LBA sia talvolta sotto la sufficienza, che il gradimento da parte dei tifosi delle squadre di seconda fascia specie dopo le evitabilissime quanto discutibili esternazioni divenute virali da parte di Luigi Lamonica nemmeno censurate dai vertici federali sia ai minimi storici, che talvolta le manie da protagonismo che caratterizzano certi fischi specialmente di alcuni arbitri più esperti li espongano a polemiche e critiche di ogni tipo, sono fatti incontrovertibili divenuti ormai mantra abusati in ogni campionato di serie A da vent’anni a questa parte.
Non si può onestamente affermare che molti dei fischi su episodi dubbi che il trio Sahin, Gonella e Catani ha dovuto prendere nel corso di una partita tesa, sporca, equilibratissima ed a tratti nervosissima abbiano particolarmente tutelato la squadra di casa, né ci si poteva aspettare un tanto, dal momento che la decisione che va presa deve essere quella giusta, non quella che il pubblico reclama a gran voce.
Lo sgradevole sfogo in sala stampa del patron Longobardi fa rimpiangere l’aplomb distaccato con il quale GM e coach triestini avevano liquidato l’argomento domenica scorsa al termine della sfortunata partita con Venezia.
E comunque, ogni singola decisione presa dopo l’analisi dell’instant replay appare corretta, compreso lo sfondamento di Colbey Ross trasformato in fallo della difesa perchè un piede di Stewart toccava la linea dello smile che per regolamento neutralizza i falli in attacco, per non parlare di tutte le rimesse assegnate a Trieste, frutto di deviazioni del difensore di Scafati talmente evidenti che pare impossibile non siano state notate già in diretta.
Semmai, Trieste potrebbe discutere su un fallo su tiro da tre di Gray in cui il tiratore si sporge andando a cercare il contatto, costato tre tiri liberi anziché una normale rimessa laterale.
Ci si potrebbe anche chiedere come mai ad Andrea Cinciarini viene concesso di protestare per ogni singola decisione arbitrale per 45 minuti senza che gli venga comminato un fallo tecnico (come peraltro succede ad ogni singolo giocatore triestino ed a coach Christian in ogni singola partita).
Unico episodio dubbio potrebbe essere il presunto fallo in attacco di Ross che fa cadere Gray nell’ultima azione del quarto quarto, anche se gli arbitri probabilmente valutano una presunta accentuazione della caduta da parte del difensore (che stava scivolando accanto all’attaccante) derivante da un contatto non particolarmente evidente: poteva essere fallo, come non esserlo, ed in ogni caso l’episodio non si rivela decisivo.
E’ chiaro che ognuno la vede come gli conviene, e perdere l’ennesima partita all’overtime dopo aver segnato nuovamente più di 100 punti in casa eleva il nervosismo e la frustrazione all’ennesima potenza così come vedersi inesorabilmente risucchiati nella lotta per la salvezza, ma francamente ci teniamo stretti la classe anglosassone che in situazioni analoghe, od anche più gravi, ha sempre caratterizzato il comportamento del club biancorosso.
PALLACANESTRO TRIESTE – REYER VENEZIA: 70-76 Pallacanestro Trieste: Obljubech n.e., Bossi n.e., Ross 6, Deangeli (k), Uthoff 16, Ruzzier 5, Campogrande n.e., Candussi 3, Brown 8, Brooks 9, Johnson 6, Valentine 17.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Reyer Venezia: Tessitori(k) 6, Lever n.e., Casarin 3, Fernandez, Moretti 11, Ennis 9, Janelidze n.e., Kabengele 11, Parks 18, Wheatle, Simms 11, Wiltjer 7.
Allenatore: Neven Spahija. Assistenti: Emanuele Molin, Alberto Billio, Veljko Perovic.
Arbitri: Paternicò, Galasso, Marziali.
TRIESTE – Alla fine va come deve andare, vince la squadra che sbaglia meno nei momenti più importanti ed è abile nel far valere la sua straripante fisicità sotto canestro.
Trieste spreca malamente alcune occasioni per ricucire lo strappo finale, fallisce un paio di tiri aperti ed un paio di tiri liberi (tra l’altro con il giocatore che più di tutti avrebbe voluto segnarli per motivi che vanno ben oltre il risultato della singola partita), perde un paio di palloni sanguinosi e subisce dall’altro lato la rara qualità di un giocatore come Jordan Parks di tirare fuori dalla spazzatura palloni ormai perduti e trasformarli in oro colato per la sua squadra.
Venezia vince con merito un derby brutto e teso, in cui i difetti sono più evidenti meglio dei pregi, in cui gli errori incidono più delle esecuzioni ben fatte, ma alla fine vince chi, tutto sommato, sbaglia di meno quando conta.
A proposito di difetti: una partita così importante dal punto di vista della classifica, giocata davanti a 5800 spettatori abbondanti, con così tanti campioni in campo per giocare una partita a scacchi tesissima anche dal punto di vista mentale, avrebbe certamente meritato di essere condotta da un trio in grigio perlomeno all’altezza dell’evento.
Paternicò, Galasso e la signora Marziali, più che in altre occasioni, sono pesantemente protagonisti in negativo, sbagliano spesso metro di giudizio ed oltretutto lo cambiano più volte in corso d’opera risultando a fasi alterne permissivi fino ad ignorare contatti da rugby e subito dopo fiscali fischiando anche i giri d’aria, prendono decisioni cervellotiche dettate presumibilmente da mania di protagonismo -non crediamo all’incompetenza, quello sarebbe davvero troppo- danneggiando prima di tutto lo spettacolo e risultando, in modo eufemistico, ben poco casalinghi.
La società è nuovamente diplomatica, come di consueto si rifiuta di commentare la conduzione arbitrale ed anzi ne elogia le capacità comunicative (sebbene non si esprima sui contenuti di tali comunicazioni), ma a questo punto, a tutela se non altro degli ingenti investimenti effettuati in estate, potrebbe essere giunto il momento di far sentire la propria voce in Lega (che prevedibilmente aggiungerà danno alla beffa affibbiando l’ennesima pesante multa a Trieste per aver messo in scena una protesta peraltro sempre rimasta nei limiti di fischi legittimi e meritati).
Però Trieste, è bene sottolinearlo nuovamente, non perde la sfida con gli orogranata a causa delle decisioni arbitrali. La perde perché non trova le contromisure adeguate ad una difesa asfissiante già a metà campo in apertura di secondo tempo, nonostante schieri il quintetto base, quello che finora aveva portato più dividendi alla causa biancorossa.Ed invece, proprio con quei cinque, non riesce mai ad incidere nel pitturato, viene spazzata via sotto le plance (e si poteva anche metterlo in preventivo) dai lunghi lagunari dotati di una fisicità clamorosa e probabilmente senza pari in LBA.
Quando si inceppa anche il tiro da fuori, che aveva tenuto a galla la prestazione nei primi venti minuti, è notte fonda: la rottura offensiva dura un’eternità, e consente a Venezia, che pure non brilla in quanto a precisione, di prendersi per inerzia un vantaggio di 14 punti che sembra già una sentenza sul risultato finale. Ovviamente, questa squadra ha insegnato che non esistono gap che non proverà a ricucire, ed ognuno dei quasi seimila presenti sapeva bene che Trieste avrebbe raddoppiato lo sforzo in difesa, ritrovato soluzioni in attacco e che la partita si sarebbe rimessa su binari di equilibrio. E’ ciò che infatti avviene nel giro di non più di quattro-cinque minuti, grazie alla resurrezione offensiva di Jarrod Uthoff ed a qualche giro di lancetta di follia da parte di Jayce Johnson, che stoppa, prende rimbalzi, capisce che, volendo, può competere con Kabengele anche dal punto di vista fisico specie a qualche metro di distanza dal ferro, e, soprattutto, infila sei tiri liberi consecutivi esibendo una insospettabile tecnica da guardia. E’, però, uno sforzo soprattutto dal punto di vista fisico che, ruotando non più di sette giocatori, si paga carissimo. Negli ultimi cinque minuti, infatti Venezia, al netto di conclusioni in cui la dea bendata ci mette abbondantemente del suo (una palla tirata a caso in aria da Kabengele sbatte sul vetro e si infila beffarda a canestro), ritrova la mentalità da killer che le aveva permesso il primo strappo, sfrutta la maggiore fisicità sotto canestro ed approfitta in modo letale della scarsa lucidità di Trieste, che pure avrebbe avuto più occasioni per tornare a non più di un possesso di distanza.
Uno degli emblemi delle difficoltà nel finale è Denzel Valentine, autore di 14 punti nel primo tempo frutto di una prestazione nuovamente giudiziosa ed ordinata, con il peso della responsabilità offensiva a tratti gravanti interamente sulle sue spalle senza che ciò ne destabilizzi l’equilibrio o lo faccia deragliare in eccessi tecnici o emotivi.
Ma anche lui, alla fine, paga lo sforzo clamoroso gettato in campo sia in attacco che in difesa per recuperare lo strappo, e viene inesorabilmente braccato dalla freschezza fisica degli esterni lagunari, che riescono ad arginarne la produzione offensiva quel tanto che basta per renderlo ininfluente sul risultato.
E’ anche la giornata peggiore di Colbey Ross, che nei 22 minuti passati sul parquet colleziona un -4 di valutazione finale che ben inquadra un disastro fatto di pessime percentuali al tiro, palle perse, iniziative offensive forzate e fuori ritmo, amnesie difensive, tanto che per la prima volta anche Jamion Christian decide di averne avuto abbastanza togliendolo dal parquet nei minuti finali, usualmente suo territorio di caccia.
Trieste sconta anche un ritorno poco brillante in campo di Markel Brown, forse ancora un po’ indietro di condizione, che dà sì buone sensazioni dal punto di vista fisico in quanto al recupero dall’infortunio, ma non è in grado di incidere in attacco (un paio di air ball da tre non fanno certamente parte del suo bagaglio), ed è protagonista di un paio di inusuali amnesie difensive che costano care.
La clamorosa seconda parte di incontro su entrambi i lati del campo disputata da Uthoff ne riscatta un primo tempo decisamente sottotono, anche lui evidentemente intimidito dai chilogrammi esibiti da Venezia nel pitturato soprattutto in attacco.
Anche Jeff Brooks fa quello che può, ma in assenza di Candussi e Johnson non può arginare avversari che, quando si avvicinano al ferro dal post basso, arrivano sempre alla conclusione.
Per lui, chiaramente, le motivazioni di rivalsa sono quasi palpabili, e tutto sommato soprattutto in attacco la sua prestazione raggiunge abbondantemente la sufficienza.
Solita partita ordinata ed intelligente per Michele Ruzzier, stavolta chiamato agli straordinari data la serata storta di Colbey Ross. Da lui, però sarebbe stato necessario aspettarsi maggiore produzione offensiva, o se non altro maggiore intraprendenza nelle conclusioni, anche se non si può non notare come lui in particolare non sia stato particolarmente tutelato da direttori di gara che, proprio quando gli esterni di Venezia elevano a dismisura l’intensità difensiva picchiando come fabbri sul perimetro, decidono di adottare un metro particolarmente permissivo.
I difetti di Trieste, alla fine, sono sempre quelli, e diventano più evidenti quando vengono affrontate squadre lunghissime ed attrezzate soprattutto lì dove i biancorossi mostrano maggiore fragilità, magari in serate come questa nelle quali uno o più dei key men bucano l’appuntamento.
Primo difetto fra tutti: le rotazioni ridottissime, seppur tornate pressoché al completo (è inutile ormai considerare Reyes come assente: difficilmente rivedremo il portoricano in campo in questo campionato).
I giocatori non impiegati sono quattro su dodici, mentre degli otto utilizzati uno -Francesco Candussi- resta abbondantemente sotto i dieci minuti.
Fa piacere constatare come il plus/minus dei giocatori partiti dalla panchina sia di +20 in una partita persa di 6, ma si tratta, alla fine, di soli due elementi “e mezzo”.
La domanda, quindi, è sempre la stessa: così com’è questa squadra può già oggi ambire a traguardi importanti, la conquista di trofei, la pretesa di vincere tutte le partite come il GM Arcieri continua ad affermare in sala stampa? Ognuno, anche tenendo presente la sfida contro Venezia (che peraltro dal canto suo lamentava due pesanti assenze), può dare la sua risposta.
Era la partita del ritorno a Trieste di numerosi ex provenienti da varie epoche biancorosse, in particolare di quella legata ai trionfi dell’Alma.
Alessandro Lever è il quinto lungo di Venezia e continua a non trovare minuti in campo, Giga Janelidze è solo un complemento per gli allenamenti ed anche lui non si alza dalla panca.
Jordan Parks è imprescindibile per la Reyer, un giocatore totale di una intelligenza cestistica clamorosa, esplosivo sia sotto canestro che sul perimetro, uomo chiave per coach Spahija.
Ed infine, un impalpabile Juan Fernandez: il Lobito gioca 6 minuti, giusto il tempo di far riprendere fiato a Ellis e Moretti.
Emozionatissimo, specie all’inizio, per l’ovazione con la quale viene riaccolto al PalaTrieste, sbaglia tutti i tiri che prova e finisce con -1 di valutazione.
E’ probabile che questi livelli di fisicità mal si attaglino al suo stato di forma, e che la sua voglia di rientrare ad alti livelli si scontri con l’evidenza di una carriera appena ricominciata a quasi 35 anni ma giunta malinconicamente al crepuscolo.
Ora Trieste si trova nella necessità di dover vincere entrambe le partite che restano prima della fine del girone d’andata per centrare matematicamente il primo obiettivo stagionale, quello di finire fra le prime otto per poter partecipare al weekend di Torino che assegnerà la Coppa Italia in febbraio, sebbene con qualche risultato favorevole da altri campi potrebbero essere sufficienti anche solo due punti.
D’altronde aspettarsi aiuti dall’esterno ha da sempre portato malissimo, per cui sarà preferibile basarsi esclusivamente sulle proprie forze.
Partite decisamente alla portata ma pur sempre delicate e niente affatto comode, prima in trasferta sul campo di Scafati e poi in casa con Pistoia, entrambe squadre alla ricerca di punti che possano metterle in posizione di sicurezza e magari rilanciarle in funzione playoffs.
Successivamente, il girone di ritorno asimmetrico regalerà due trasferte consecutive non certo agevoli, prima a Reggio Emilia, poi ad Assago contro l’Olimpia.
PALLACANESTRO TRIESTE – VANOLI CREMONA: 91-83 Trieste: Bossi n.e., Ross 20, Deangeli (k) 4, Uthoff 15, Ruzzier 8, Campogrande, Candussi 1, Brown n.e., Brooks 10, Johnson 14, Valentine 19, Obljubech n.e
Allenatore: Jamion Christian. Assistenti: Francesco Taccetti, Francesco Nanni, Nick Schlitzer.
Cremona: De Martin n.e., Willis 9, Jones 12, Davis 13, Conti, Zampini 2, Nikolic 8, Poser 11, Lacey (k) 5, Fantoma n.e., Dreznjak 20, Owens 3.
Allenatore: Demis Cavina. Assistenti: Pierluigi Brotto, Carlo Campigotto.
Arbitri: Giovannetti, Bettini, Patti.
TRIESTE -Doppia doppia da 13 punti e 16 rimbalzi di cui 6 in attacco, 3 stoppate date e due assist, 8 falli subiti, +14 di plus/minus per un 34 di valutazione di per sé eloquente, a cui si deve aggiungere il -2 di valutazione del suo avversario sulla carta più temibile, un Tariq Owens a tratti intimidito dalla fisicità del californiano.
La miglior prestazione finora disputata in Serie A da Jayce Johnson lo avvicina al tipo di giocatore che Michael Arcieri e Jamion Christian affermano di seguire da anni in G League e che hanno reputato adatto al progetto triestino la scorsa estate.
E, ciò che più conta, c’è la netta sensazione che il giocatore abbia ancora considerevoli margini di crescita, specie nell’intesa con i piccoli nei giochi a due, sempre più sfruttati da compagni che evidentemente gli stanno dando sempre più fiducia mandandolo anche a schiacciare.
Per una volta i 27 minuti sul parquet di Johnson, e più in generale la prestazione nel pitturato, risultano decisivi in una vittoria arrivata sicuramente grazie anche alla tramortente esibizione da oltre l’arco nell’ultimo quarto che consente il break decisivo, ma è una esibizione che poggia sulle solidissime spalle di un centro che ora dà sicurezza, fiducia ed affidabilità ed esce meritatamente sotto una pioggia di applausi da parte dei rumorosi 5100 presenti al PalaTrieste in questo sabato pre natalizio.
Il dominio triestino sotto canestro, riassunto anche dal netto dominio a rimbalzo (43 a 27 il computo totale, con 14 carambole offensive trasformate 10 volte in seconde chance vincenti) è solo una delle chiavi di una vittoria comunque difficile, ottenuta domando un avversario che non ne vuole mai sapere di mollare la presa, capace anzi di rispondere colpo su colpo nell’ultimo quarto -finito 25 pari- nel momento in cui gli assi nella manica di coach Christian si mettono in proprio iniziando a colpire con continuità da oltre l’arco o battendo sistematicamente nell’uno contro uno il diretto avversario con penetrazioni che si concludono invariabilmente con l’attacco diretto al ferro o lo scarico per il compagno libero sul perimetro.Cremona, parafrasando le parole del coach triestino a fine partita, mostra di non meritare la classifica che ora la vede decisamente pericolante: specie in quest’ultimo periodo aveva dominato (ma poi perso) a Trapani e Treviso e preso a pallonate Varese, pertanto per una Pallacanestro Trieste ancora menomata dall’assenza di Markel Brown era fondamentale non sottovalutare l’avversario, aspettandosi le fiammate di un fischiatissimo Corey Davis, Payton Willis e Trevor Lacey, e magari (come avvenuto) l’exploit balistico di un Drezniak che le sequenze da tre punti le ha decisamente nelle sue corde.
Errore che Trieste non commette, cercando dapprima di fuggire nel punteggio in un primo tempo in cui ha decisamente le polveri bagnate da fuori ma riesce comunque ad accumulare anche 12 punti di vantaggio e poi resistendo al veemente ritorno della Vanoli, che con una difesa più che discreta nel terzo quarto approfitta di un calo di concentrazione triestino portandosi anche avanti nel punteggio.
Nel momento psicologicamente più difficile, i biancorossi rimangono però concentrati, non deragliano mai, perdono 13 palloni in 40 minuti ma costruiscono con pazienza buoni tiri, che alla fine, nel momento decisivo della gara, iniziano ad entrare con continuità indirizzando due punti sudati ma meritati.
E poi, una volta scavato un margine di sicurezza quasi costantemente superiore ai due possessi, fissato sul +8 grazie ad una delle triple di Ross sul finire del terzo quarto, Trieste è abile nel non ingolosirsi, giocando con il cronometro per amministrare il vantaggio anziché cercare conclusioni in contropiede o giocate a bassa percentuale.
L’ultimo quarto finisce infatti sul 25 pari, segno che ogni disperato tentativo ospite di rintuzzare la fuga triestina -tentativo talvolta coronato da sequenze di grande qualità come un gioco da 4 punti di Drezniak- veniva doppiato immediatamente da una reazione uguale e contraria che impedisce all’inerzia della partita di cambiare padrone.
Solidità mentale che caratterizza la presenza in campo dei giocatori del quintetto, tornati ad essere protagonisti assoluti dopo la parentesi bolognese in cui la pattuglia italiana era stata decisiva specie dal punto di vista difensivo.
Oddio, il solito fallo tecnico viene comunque fischiato, stavolta a Colbey Ross reo di aver esultato in modo sguaiato in faccia ad un avversario (i bei tempi in cui il trash talking faceva parte del gioco sono tramontati, sacrificati sull’altare del savoir faire ad ogni costo, nemmeno fossimo a Wimbledon), ma vedere Denzel Valentine calmare il compagno per evitare che venga sanzionato la seconda volta per proteste dopo un fallo di Zampini pochi minuti dopo vale di per sé il prezzo del biglietto.
Un Denzel Valentine nuovamente sul pezzo, concentrato ed autore di numeri di alta scuola, attentissimo a non deragliare nel comportamento, meno scanzonato e spettacolare ma di gran lunga più efficace rispetto alle ultime uscite.
Nel primo tempo si dedica a far giocare i compagni, penetrando e scaricando sistematicamente sull’angolo per le triple soprattutto di Uthoff (6 gli assist per il barba), nel secondo tempo, quando il flusso della partita esigeva una presa di responsabilità da parte dei giocatori tecnicamente in grado di mettersi in proprio, prende tiri difficili ed importantissimi da oltre i 6.75, approfitta della superiorità tecnica e fisica quando nei cambi difensivi su di lui finivano Zampini, Conti o Nikolic, penetrando ed andando a concludere ad una mano da centro area con il movimento che è il suo marchio di fabbrica.
Solida anche la partita di Colbey Ross, anche lui letale a cavallo fra terza e quarta frazione nel momento che determina il risultato.
Un paio di conclusioni da lontano con la mano dell’avversario ad un centimetro dal naso ed una tripla presa all’ultimo secondo dell’azione da otto metri raccogliendo il proprio palleggio e tirando in una frazione di secondo ridonano alla sua squadra un vantaggio in doppia cifra che rimane “solo” da non vanificare negli ultimi cinque minuti.
Quando però Ross commette il suo terzo fallo nel quarto finale arriva il momento da assoluto protagonista di Michele Ruzzier: il play triestino, apparso rinunciatario dal punto di vista offensivo nella prima parte di match, in difficoltà fisica contro Corey Davis e Federico Zampini, a quel punto prende per mano la squadra dettando alla perfezione i ritmi, penetra e scarica, centra il bersaglio da tre, recupera un pallone dalle mani di Corey Davis dopo un tiro sbagliato in attacco che aveva innescato il contropiede di Cremona, stoppandone definitivamente l’estremo tentativo di rimonta, mettendo a referto immediatamente sull’altro lato del campo i due punti del +10 attraverso le manone di Johnson.
Nessuna novità, invece, arriva dal duo Uthoff/Brooks. I soliti 69 minuti in due sul parquet fatti di saggezza, esecuzioni efficaci (entrambi hanno la rara caratteristica di eseguire in ogni occasione in attacco e difesa la cosa più semplice ma anche a più alta percentuale di successo), personalità e responsabilità. Sono entrambi leader naturali e punti di riferimento per i compagni nei momenti più difficili. Certo, soprattutto per Brooks i 35 minuti di media tenuti nelle ultime quattro partite cominciano ad avere conseguenze sul suo fisico, tanto da costringerlo a chiedere a gran voce il cambio sul finire del secondo quarto provocando un tuffo al cuore a chi aveva scambiato la disperata richiesta di rifiatare con qualche ulteriore tegola da infermeria.
In settimana a loro due verrà concessa la possibilità di riposare più a lungo degli altri, in modo da averli al massimo dell’efficienza fisica fra otto giorni contro Venezia.
A proposito del big match del 29 dicembre, a chi chiede informazioni sulle condizioni di Markel Brown, che contro una Reyer molto probabilmente rinforzata dal ritorno in laguna di Rayjon Tucker sarebbe fondamentale se non indispensabile, viene fatto trasparire un cauto ottimismo sulle possibilità di rivedere sul parquet prima della fine dell’anno la guardia ex Varese e Napoli.
Trieste sale così a 14 punti, consolidando il record positivo di vittorie in campionato, ora sul 7/5.
Fra le squadre che la appaiavano Trieste in classifica prima della vittoria di Natale, Treviso e Tortona giocheranno in trasferta su campi sulla carta non particolarmente irresistibili ma per affrontare impegni da non sottovalutare (rispettivamente a Sassari e Pistoia), mentre lunedì Milano giocherà al Forum una sfida complicatissima, specie in questo momento di down, contro una lanciatissima Trapani.
Le più dirette inseguitrici del quartetto a 14-12 punti sono oggi ben 6 punti più sotto, pertanto è abbastanza plausibile che la lotta per la conquista di un posto fra le prime 8, a tre partite dalla fine del girone d’andata, sarà ristretto a quattro squadre (Trieste, Treviso, Tortona e Milano) che si contenderanno i tre posti presumibilmente rimasti, anche se chi precede a 16 punti non è certo irraggiungibile.
Fare calcoli, a questo punto, non serve però a molto: Trieste è sempre più padrona del suo destino e giocherà due partite su tre davanti al pubblico amico. Prendendo in prestito la formula magica del presidente Matiasic, il modo più semplice per qualificarsi alle Final Eight è “vincere, vincere, vincere”.
In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni VIRTUS BOLOGNA – PALLACANESTRO TRIESTE: 70-78 Virtus Bologna: Cordinier 14, Pajola 7, Clyburn 11, Visconti n.e., Hackett 2, Grazulis 3, Morgan 9, Polonara 5, Diouf 1, Zizic 16, Akele 2, Tucker.
Allenatore: D. Ivanovic. Assistenti: N. Jakovljevic, D. Parente.
Pallacanestro Trieste: Bossi n.e., Ross 19, Obljubech n.e., Deangeli (k), Uthoff 12, Ruzzier 10, Campogrande 2, Candussi 9, Brown n.e., Brooks 12, Johnson 6, Valentine 8.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Arbitri: Rossi, Vallerani, Capotorto.
BOLOGNA – Speriamo che il buon Lucio Dalla, virtussino DOC, da lassù non se ne abbia troppo a male se usiamo il titolo di uno dei suoi capolavori immortali per descrivere un’impresa a metà fra il miracoloso e l’epico di una squadra che, la sua Virtus, l’ha meritatamente battuta a casa sua.
Nella trasferta più difficile dell’anno, nel momento più complicato per gli infortuni agli uomini più importanti, dopo quattro sconfitte consecutive e davanti a pronostici che la davano come inevitabile vittima sacrificale sul campo dal respiro europeo della Segafredo Arena due giorni dopo l’epica vittoria all’ultimo respiro a Vitoria dei padroni di casa, Trieste sfodera una prestazione clamorosa, costruita prima di tutto su attributi solidissimi ed un carattere indomito che già conoscevamo, una sfacciataggine ed una resilienza che da fine agosto costituiscono il tratto distintivo di questo roster.
Ma limitare al carattere ed all’incapacità di arrendersi alle avversità le motivazioni che consentono alla Pallacanestro Trieste di tornare dall’Emilia con due punti dal peso specifico incalcolabile sul pullman che la riporta sotto San Giusto sarebbe ingiusto e limitante.
La verità è che Trieste, in qualunque conformazione viene schierata, è capace di pensare, di avere pazienza, di fare la cosa giusta al momento giusto, di approfittare della prestazione insufficiente di una Virtus distratta prima, supponente poi, frustrata alla fine, con una intelligenza che la avvicina alla perfezione.
Coach Ivanovic, per ovvie questioni di turn over dopo una dispendiosa (anche se vittoriosa) trasferta in Spagna ed alla vigilia del doppio turno europeo, rinuncia a Toke Shengelia e Marco Belinelli, centellina l’utilizzo di Achille Polonara, ma può pur sempre contare su almeno 9 giocatori da quintetto in qualunque altra squadra in LBA, una superiorità tecnica di base accentuata dall’assenza di Markel Brown e Justin Reyes e dal rientro a scarto ridotto di Colbey Ross.
E comunque il carattere esuberante dell’esperto allenatore montenegrino e l’entusiasmo derivante dalla vittoria a Milano nell’ultimo turno di campionato doppiata nei Paesi Baschi grazie al gioco da 4 punti di Will Clyburn non consentono certo di credere veramente che la Virtus possa aver sottovalutato l’impegno contro una squadra tignosa che aveva dato filo da torcere a Trento, Trapani e Brescia nelle stesse condizioni di roster.
Molto più semplicemente, Trieste si mette finalmente a difendere in modo efficace ed intenso, contestando ogni singola linea di passaggio finalizzata a liberare i tiratori da oltre l’arco (alla fine sarà 6 su 20 il conto delle triple per la Virtus), concedendo -anche per problemi di falli- libertà sotto il ferro ad un inarrestabile Ante Zizic ma intasando il pitturato in modo da impedire sistematicamente le incursioni di Cordinier, Clyburn, Paiola e Morgan (praticamente mai arrivati al ferro), brutalizzando Hackett, il cui unico discutibile merito rimane quello di provocare il trash talking che genera il secondo tecnico e l’espulsione di Valentine ma che viene sistematicamente raddoppiato e forzato a commettere errori (2 punti, 2 palle perse, -4 di valutazione e -32 di plus/minus per l’ex compagno di squadra di Jeff Brooks raccontano in modo eloquente la sua partita).
Per uno Zizic inarrestabile, però, i lunghi triestini spingono lontano dal ferro Diouf, che fuori dalla sua comfort zone a mezzo metro dal canestro perde i superpoteri, e Grazulis, costretto a prendersi conclusioni da fuori che sarebbero pure nelle sue corde ma costituiscono solo metà dell’arsenale a sua disposizione, ma indotto anche a commettere falli ingenui a metà campo sul portatore di palla quando tenta lo show difensivo.
Se un aspetto statistico poteva essere temuto più di altri, specie in presenza di difensori intensi, fastidiosi ed intelligenti come Pajola e Cordinier, era sicuramente quello delle palle perse, specie per una squadra che nelle ultime partite perdeva mediamente più di 15 palloni.
Ed in effetti, dopo quattro minuti nel primo quarto la specifica casella recitava già 4 turnovers, facendo presagire una partita caratterizzata da decine di contropiede virtussini.
Succede, però, che Valentine dopo pochi minuti sia costretto a prendere la via degli spogliatoi trattenuto per la maglia dal team manager Nicola Pilastro: da quel momento, i turnovers saranno solo tre, e tutti nel primo tempo.
Nei secondi decisivi venti minuti Trieste non perderà più nemmeno un pallone, piazzando uno dei mattoni più importanti nelle fondamenta di questa vittoria.
Detto dello strapotere di Ante Zizic, non è possibile evitare di notare come il quartetto costituito dai due “cinque” di ruolo Candussi e Johnson e dai due lunghi aggiunti Uthoff e Brooks consentano di vincere clamorosamente la sfida a rimbalzo: 35 carambole conquistate da Trieste contro le 33 catturate da Bologna, con ben 11 rimbalzi offensivi quasi sempre trasformati in seconde o terze chance vincenti.
Candussi e Johnson fanno quello che sono chiamati a fare, con il primo a colpire da oltre l’arco (attirando i lunghi avversari fuori dall’area creando praterie sotto canestro), il californiano a catturare rimbalzi ed addirittura andare a schiacciare per ben due volte, per la prima volta in stagione.
Secondo mattone su cui il sacco della Segafredo Arena è costruito.
Terzo mattone: la prima partita veramente convincente di Luca Campogrande e Lodo Deangeli, chiamati a compiti di sacrificio e poco appariscenti svolti in modo umile ma estremamente diligente ed efficace, specie nella metà campo difensiva, dove costringono sistematicamente gli avversari a forzature ed errori, palle perse (12) e sorpresa frustrazione.
Naturalmente non è possibile evitare di notare come il rientro al comando, pur non al 100%, di Colbey Ross abbia letteralmente riacceso la luce nella metà campo offensiva. L’ex MVP rimane l’accentratore di sempre, ma si prende responsabilità clamorose nel momento più importante ed emotivamente più difficile, quando la palla pesa mezzo quintale ed a emergere rimangono solo i giocatori dotati di attributi e sfacciataggine in misura non comune.
Ross realizza 19 punti in 23 minuti (probabilmente molti più di quanto programmato), tirando con il 56% da tre, ma soprattutto prendendo la squadra per mano prima nei momenti più difficili (il -8 con possibile -11 nel primo quarto, il -3 nell’ultimo quarto con inerzia in mano alle V nere), poi quando era essenziale piazzare le mazzate decisive (tre triple nel finale dal peso specifico incalcolabile).
Ross è coadiuvato in regia da un Michele Ruzzier sempre più padrone delle sue prestazioni, sempre più autoritario e decisivo: Michele è un giocatore diverso rispetto a quello arrivato a Trieste proprio da Bologna nel dicembre 2022, notevolmente più completo, migliorato dal punto di vista tecnico, più solido e sicuro di sé dal punto di vista mentale. Un leader vero.
E poi, i due veri valori aggiunti dell’intera stagione, decisivi a Bologna come in ogni singola occasione precedente.
Se a Jarrod Uthoff non è stato fatto firmare un contratto pluriennale o non si stia tentando di allungare quello in essere, ciò costituirebbe un errore clamoroso: l’uomo di Iowa è un coltellino svizzero capace di svolgere in modo credibile compiti in almeno tre ruoli (di cui due non naturali), glaciale nel non abbattersi per errori banali, determinato nel voler reagire immediatamente agli stessi.
Sbaglia un tiro aperto da tre? Stoppa, parte in contropiede, prende un rimbalzo in attacco, segna la tripla nell’azione successiva. 20 di valutazione complessiva ed una presenza costante, una specie di totem per coach Christian.
Siamo, infine, indecisi se chiedere di costruire una statua equestre a Jeff Brooks o a chi abbia deciso in estate che l’ex Reyer possa essere un elemento in grado di fare ancora la differenza in Serie A.
Chiamato nuovamente a partire in quintetto, il trentacinquenne americo-italiano tiene il campo con autorità per 37 minuti, elevando a dismisura intensità, efficacia e responsabilità quando la partita e la situazione di punteggio portano ad esigere esperienza, furbizia e sangue freddo.
Il suo campionario è costituito da punti (12) e rimbalzi (8), dal 75% da due punti ed il 50% da tre, ma soprattutto da un finale di partita da incorniciare, in cui prima realizza punti decisivi, poi dà coraggio ed esalta i compagni, impedisce loro di abbattersi nel momento di massimo sforzo della Virtus e dà loro il sangue freddo per ragionare quando arriva il momento di non forzare, di non commettere errori stupidi, di lasciare che i due punti vengano da soli a sedersi sulla panchina triestina. Il 24 finale di valutazione, pur lusinghiero, racconta poco dell’importanza basilare di questo giocatore nell’economia complessiva della squadra.
Angoli da smussare ne rimangono a bizzeffe, e siamo sicuri che lo staff tecnico già da domani continuerà a lavorarci.
Messa a posto per una volta la casella delle palle perse e quella dell’organizzazione difensiva, rimane da valutare la percentuale dalla linea della carità: in una partita giocata sul filo dell’equilibrio, con avversari in bonus molto presto nel quarto quarto, tirare con il 65% potrebbe rivelarsi letale.
E poi, è indispensabile maggiore disciplina nell’evitare di protestare inutilmente ed in modo troppo plateale: posto che in Serie A gli arbitri tendono a sanzionare atteggiamenti sopra le righe, specie fuori casa, evitare di prestare loro il fianco eviterebbe conclusioni a cronometro fermo quando meno è opportuno subirne.
A Bologna i 4 tecnici fischiati costano un’espulsione e poco più (dal momento che i conseguenti tiri liberi sono stati tutti sbagliati), ma si tratta di un demerito della Virtus se tali sanzioni non si siano rivelate decisive.
Concluso il ciclo terribile con la conquista di una vittoria che riporta Trieste al sesto posto (a pari punti, fra le altre, con una Milano questa sera clamorosamente fuori dalle prime 8) si squarcia la coltre di nubi nerissime che si erano addensate sul cielo triestino.
Questo risultato, conquistato nel momento più inaspettato, può potenzialmente costituire un vero game changer per la stagione biancorossa, che non aveva mai perso consapevolezza delle proprie qualità ma faticava a monetizzarle sul campo.
Conquistare uno scalpo così prestigioso, dopo che nel carniere sono già stati messi quelli di Milano e Tortona, potrebbe fungere da vero interruttore nelle menti dei biancorossi anche sul piano dei risultati, oltre che su quello dei complimenti. Inoltre, tre delle quattro partite che rimangono da qui al termine del girone d’andata si disputeranno al PalaTrieste (sabato prossimo contro Cremona, la domenica successiva contro Venezia e dopo due settimane contro Pistoia), con l’unica trasferta prevista nella tensostruttura adattata a palasport di Scafati.
Se non già contro Cremona, quasi certamente contro Venezia la squadra tornerà a poter contare anche su Markel Brown, mentre sono attese novità sul fronte Reyes o sul suo possibile sostituto.
Nella notte che sta per finire
È la nave che fa ritorno
Per portarci a dormire (*)
(*) La Sera Dei Miracoli (Lucio Dalla, (C) Sony/ATB Music Publishing LLC, Universal Music Publishing Group)
In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni PALLACANESTRO TRIESTE – BASKET BRESCIA: 65-69 Trieste: Bossi, Deangeli (k) 2, Uthoff 15, Ruzzier 16, Campogrande, Candussi 8, Brooks 7, Johnson 5, Valentine 12, Paiano n.e., Crnobrnja n.e., Obljubech n.e.
Allenatore: Jamion Christian. Assistenti: Francesco Taccetti, Francesco Nanni, Nick Schlitzer.
Brescia: Bilan 17, Ferrero, Dowe 9, Della Valle 9, Ndour 4, Burnell 12, Tonelli n.e., Ivanovic 2, Mobio, Rivers 12, Cournooh 4, Pollini n.e..
Allenatore: Giuseppe Poeta. Assistenti: Matteo Cotelli, Gianpaolo Alberti.
Arbitri: Borgo, Lucotti (Baldini infortunato)
TRIESTE – Una Pallacanestro Trieste con la pattuglia straniera ancora decimata perde una partita brutta per tre quarti, in cui le difese prevalgono decisamente su attacchi dalle polveri bagnate sui due lati del campo, con Brescia che approfitta dei due quarti centrali (durante i quali Trieste non raggiunge i 10 punti segnati) per scavare quel gap che si limiterà ad amministrare non senza qualche affanno nei dieci minuti finali.
Non è solo una questione di lunghezza di rotazioni, e tutto sommato nemmeno di punti prodotti dalla coppia ancora assente (parlare di trio è del tutto inutile: di Reyes non sono noti tempi e possibilità di rientro, dunque tanto vale non contarci nemmeno): Markel Brown e Colbey Ross aggiungono alla squadra inventiva e capacità di creare gioco che, in loro assenza, diventa prevedibile e macchinoso, con equilibri da ricreare e, talvolta, improvvisare sia in attacco che in difesa.
Ne esce una partita sghemba, che Poeta riassume giustamente con alcuni “nonostante”: “L’abbiamo vinta nonostante il 3 su 16 da tre punti -il 19%-, nonostante la sconfitta a rimbalzo -46 a 44, di cui ben 19 rimbalzi offensivi concessi a Trieste-, nonostante una percentuale al tiro da 2 inferiore agli avversari, nonostante una produzione offensiva inferiore ai 70 punti, nonostante i 31 punti realizzati da Trieste nell’ultimo quarto: normalmente, fuori casa, con questi numeri la perdi, ed invece stasera l’abbiamo portata a casa”.
La spiegazione, in realtà, non è difficile da dare: Trieste produce statistiche non tanto migliori, ma di gran lunga più sbilanciate: si incaponisce da oltre l’arco tirando 34 volte da 3 (centrando solo 8 volte il bersaglio) e 31 da due, mentre Brescia, quando capisce che la serata da fuori è nata storta, limita i tiri dai 6.65 (solo 16 le triple tentate in 40 minuti per la squadra lombarda), concludendo invece ben 54 volte da sotto, sfruttando la solidità di Bilan ed il fisico nell’uno contro uno di Burnell, Dowe e Rivers.
Scelta che nel terzo quarto permette di produrre l’accelerazione che genera il break decisivo, complici anche i 5 minuti di blackout offensivo biancorosso.
Trieste perde nuovamente una caterva di palloni, ma la casella che recita 15 turnovers non spiega quanto sanguinosi siano stati alcuni di essi, in momenti cruciali dell’incontro.Interessante anche l’analisi della qualità dei tiri costruiti -e falliti- da Trieste: stavolta sono stati moltissimi i tiri aperti non contrastati a non entrare in momenti che avrebbero potuto cambiare definitivamente l’inerzia dell’incontro, una cattiva esecuzione di un gioco decente che alla fine costa la partita nonostante la conquista con i denti del pieno diritto di giocarsela fino in fondo, senza peraltro dare mai l’impressione di poter realmente completare l’opera.
Per una volta, però, le rotazioni corte non impediscono di finire con un evidente crescendo di intensità fisica e di lucidità, sebbene la ritrovata precisione offensiva arrivi troppo tardi per approfittare di un’avversaria che toglie troppo presto il piede dall’acceleratore.
Del resto, soprattutto in casa con l’intero palazzo a spingere la rimonta, questa squadra, con qualunque quintetto sia costretta a presentarsi, è priva del tratto genetico della resa incondizionata.
In tempi non troppo lontani un -21 a 15 minuti dalla fine, con tre stranieri, fra cui i migliori giocatori del roster, fuori causa, dopo aver realizzato la miseria di 17 punti nei venti minuti centrali contro i secondi in classifica che si presentano al completo ed in totale fiducia, sarebbe con ogni probabilità diventato un -30 con mani lungo il corpo, testa china e voglia matta di andare sotto la doccia anzitempo.
Quest’anno non succede mai nulla di tutto ciò: Trieste mostra orgoglio e voglia di reazione, i suoi leader suonano la carica, Valentine ha la giusta faccia tosta e non si lascia certo travolgere dalla pressione della responsabilità anche se deve ancora imparare a valutare con maggiore precisione quando è il momento di fidarsi dei compagni -anche se liberi- e quando è preferibile invece mettersi in proprio, Uthoff non arretra di un millimetro ed è intimidatorio soprattutto in difesa, Ruzzier capisce quando è il momento di prendersi iniziative offensive che peraltro sono nelle sue corde anche tramite l’attacco diretto al ferro, Brooks è un capo popolo trascinatore dentro e fuori dal campo, solido mentalmente e fisicamente a dispetto di una età che sta solo sulla carta d’identità.
La sua prestazione difensiva su Bilan per gran parte dell’incontro limita il centro croato apparso a tratti intimidito sotto canestro, anche se poi finisce con una doppia doppia da 17 punti e 21 rimbalzi frutto di un gioco che piacerà tantissimo ai detrattori del run and gun in favore del “bel” basket di una volta: palla in post basso, palleggi compulsivi senza passaggi per 15-18 secondi spalle a canestro, avvicinamento a colpi di sedere, gancetto da due centimetri. Benvenuti negli anni ’80.
Ma, l’abbiamo detto e ripetuto ormai al parossismo, le pacche sulle spalle per il carattere battagliero e mai domo della squadra, da sole, non portano punti in classifica.
Soddisfazione ed apprezzamento per i giocatori, voglia di tornare in palestra per lavorare sulla bad execution, orgoglio per un palazzetto supportivo che spinge ed aiuta. Ma, anche, quattro sconfitte consecutive, cinque in tutto, generate sempre da situazioni di menomazione più o meno grave del roster, cui finora coach e squadra non sono mai riusciti a porre rimedio: il GM ed il Presidente ribadiscono, per l’ennesima volta, che il programma della squadra è quello di vincere ogni singola partita, e sono sinceri ed in buona fede.
Ci credono veramente, e come loro ci credono tutti i giocatori scelti per riuscirci. Il problema, però, è che in assenza di tali giocatori si ottengono tanti complimenti e l’onore delle armi (anch’esso sincero) dei coach avversari, ma le vittorie, in uno sport molto concreto fatto di numeri e statistiche, non possono arrivare.
Trieste ha giocato 3 partite su 10 (che costituiscono, in modo lapalissiano, ben il 30% della stagione finora disputata) senza tre americani fondamentali, altrettante senza due di loro e tutte e 10 priva di almeno un giocatore straniero.
In assenza di una base di conoscenza approfondita, nessuno può pensare di addentrarsi con sicurezza nelle cause di tali continue defezioni, al netto del carattere fortemente conservativo di molte di tali scelte.
Una certa dose di sfortuna è evidente, anche se non ci si può ovviamente limitare ad essa per spiegare il fenomeno. Il problema, però, è diverso: posto che la politica prudenziale della società sia quella che ormai chiunque a Trieste ha ampiamente metabolizzato, per vincere nonostante tutto ci si dovrebbe aspettare un piano B che coinvolga, di necessità virtù, la second unit biancorossa.
La fiducia riposta in essa da parte del coach, però, è riassumibile dai pochissimi minuti giocati mediamente dal pacchetto degli italiani (Candussi e Ruzzier esclusi), che dal canto loro, quando chiamati ad imprese sulla carta epiche come quella di frapporsi fra Brescia ed una sua vittoria facile, raramente estraggono dal cilindro prestazioni degne di nota, picchi di qualità capaci almeno temporaneamente di tamponare l’assenza di elementi decisamente insostituibili, limitandosi piuttosto a qualche breve compito da special team difensivo o ad un paio di minuti indispensabili per far rifiatare e reidratare un compagno.
Ed allora, se vincere ogni singola partita è realmente l’obiettivo di Trieste, il tempo delle decisioni dolorose pare ormai maturo.
Mike Arcieri ed il presidente Matiasic affermano di essere vigili per cogliere eventuali opportunità ormai da due mesi, però mai come ora attingere allo sterminato mercato americano, oltretutto terreno di caccia privilegiato di un GM abile nello scouting e dotato di conoscenze ramificate e profonde fra coach, procuratori, dirigenti di mezzo mondo, appare pressoché indispensabile, anche perchè nessuna fra le 16 squadre di LBA sta a guardare sotto questo punto di vista, elevando competitività e difficoltà di ogni singola sfida.
Certamente “comprare per comprare” non ha alcun senso anche perchè si rischierebbe di rompere inutilmente equilibri delicati e già rodati, d’altro canto attendere ancora a lungo porrebbe con ogni probabilità fuori portata il primo possibile obiettivo stagionale, la qualificazione alle F8 di Coppa Italia.
“Noi vogliamo giocare ancora a maggio e giugno, come l’anno scorso” è il mantra arcieriano: i precedenti sono sicuramente dalla sua parte, ma sull’altro lato della bilancia c’è il non trascurabile credito riconquistato da parte della piazza, quest’anno presente al palazzetto con una media superiore alle 5600 persone presenti a partita, e che per nessun motivo va disperso.
Le sconfitte di Napoli e Varese tengono la zona pericolosa ancora a debita distanza, ed è bene che rimanga così lontana.
A 10 punti, tra l’altro, i biancorossi sono affiancati da una corazzata come Tortona (sconfitta in casa da Treviso, che raggiunge le due in classifica), solo due punti sotto Milano e due punti sopra la sorpresa (in negativo) Venezia, a sua volta sconfitta in casa da Sassari.
La Pallacanestro Trieste da quest’anno, però, dichiara di voler guardare verso l’alto, tanto alto, e non alle sue spalle, e quindi il dilemma fra attesa ed intervento diventa il leit motif principale del club da qui alla fine dell’anno, un dilemma peraltro aggravato dai soli due visti da poter ancora spendere e dunque dalla precisione chirurgica sul tipo di giocatore da andare a cercare, ammesso che sia reperibile, per non sovrapporlo a spot già coperti ma anche per non privarsi della possibilità di intervenire quando servirà realmente in ruoli ora imprevedibili.
Domenica prossima è in programma la sfida al Palafiera di Bologna contro una Virtus che oggi ha dominato a Milano rinvigorita dalla cura Ivanovic, partita che Trieste affronterà certamente ancora senza Reyes e Brown (qualche speranza in più per Ross).
Poi questo stranissimo 2024 fatto di cadute e trionfi, ottimismo e pessimismo, contestazioni e popolarità, si concluderà con due sfide cruciali al Palatrieste contro Cremona e Reyer: per allora il vero volto di questa squadra, quello che dovrà portarla a giocare a maggio e giugno, dovrà necessariamente essere svelato.