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25-05-2025 22:19 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO TRIESTE-GERMANI BRESCIA 88-92 d.t.s.
(15-16; 29-22; 15-23; 18-16)
PALLACANESTRO TRIESTE: Obljubech, Ross 7, Deangeli, Uthoff 12, Ruzzier 9, Campogrande, Candussi, Brown 9, Brooks 21, McDermott, Johnson 10, Valentine 20. All. Christian.
GERMANI BRESCIA: Bilan 20, Ferrero, Dowe 6, Della Valle 13, Ndour 5, Burnell 17, Tonelli, Ivanovic 9, Mobio, Rivers 19, Cournooh 3, Pollini. All. Poeta.
ARBITRI: Attard, Grigioni, Gonellì.
TRIESTE – Due blackout, un buzzer beater mancato, un supplementare ed una Brescia cinica e precisissima nelle azioni decisive riescono nell’impresa di cancellare il sogno di una squadra che realmente, in ogni sua componente, era intimamente convinta di poter arrivare a conquistare lo scudetto.
“Dal primo giorno, da agosto dell’anno scorso, io, Jamion ed i giocatori abbiamo sempre avuto un solo obiettivo: vincere il campionato italiano” afferma un abbattuto Michael Arcieri in sala stampa al termine della battaglia di Gara 4, combattuta finalmente ad armi pari davanti al pubblico che, anche stasera, dimostra di non avere eguali in Serie A.
Detta così, con un tono quasi scoraggiato, sicuramente molto frustrato, sembrerebbe l’epitaffio ad una stagione fallimentare, perlomeno molto al di sotto delle aspettative.
Naturalmente, la realtà è molto, molto diversa. E’ vero, perdere brucia, e lo fa ancora di più quando hai la consapevolezza di poter competere contro i più forti, che manca davvero poco, talvolta pochissimo per fare un definitivo salto di qualità verso l’eccellenza.
Brucia essere certi, dopo quattro partite (di cui solo una in balia degli avversari), di essere stati eliminati da una squadra forte, probabilmente più forte, ma di aver oggettivamente sprecato un’occasione per sovvertire i pronostici a causa di piccoli particolari, di un tiro che entra ed esce, di piccoli errori tattici che a posteriori paiono evidenti anche se in corso d’opera sembravano poter essere vincenti.Si poteva fare di più? Con un po’ di fortuna certamente sì, magari ci si poteva regalare il ritorno a Brescia lunedì sera. Ma bisogna anche essere onesti nell’osservare come questa squadra, per come è stata costruita ed in rapporto alle grandi potenze attuali del basket italiano, ha probabilmente raggiunto il massimo delle proprie possibilità e, fortuna o no, è comunque fuori da ogni logica pensare razionalmente che sarebbe riuscita a raggiungere l’unico obiettivo stagionale (sebbene ne siano stati realizzati alcuni, seppur secondari, di assoluto prestigio).
Ma la delusione deve finire lì, all’uscita dallo spogliatoio, dopo aver versato lacrime di rabbia e di nostalgia per una stagione che finisce, per compagni che probabilmente non condivideranno più questi momenti con te, per un coach che ha saputo conquistarsi giorno dopo giorno credibilità, rispetto ed amicizia e che sta per mettere un oceano fra sé e questa città che piano piano è diventata casa sua.
E’ la storia di ogni stagione, si potrà dire, ma non è così, non lo è perlomeno in questo caso: i legami che questi giocatori, tutti, hanno saputo costruire fra loro e con Trieste non è qualcosa di comune, specie in una squadra costituita da professionisti di altissimo livello con un bagaglio lunghissimo e ricchissimo di esperienze vissute in ogni angolo del pianeta.
E’ il coach, è Mike Arcieri, sono loro stessi a raccontarlo, è la quantità di giocatori che ha già accettato nero su bianco di riprovarci l’anno prossimo.
Non succede sempre nemmeno a Trieste, anzi se guardiamo al passato una chimica umana ancor prima che tecnica, una comunione così profonda con la comunità si è creata raramente, quasi mai per essere più precisi, e ciò rende gli ultimi sette mesi straordinari ben oltre i risultati, ben oltre il piazzamento, ben oltre il record di vittorie, ben oltre il fatto di aver sorpreso, sbugiardato ed infine incantato gli scriba del basket nazionale.
E quindi no, usciti da quello spogliatoio è necessario rendersi conto che quella appena finita è stata una stagione straordinaria, una stagione che ha riportato il basket ad essere trend topic nei locali e nelle strade di Trieste, la pallacanestro una moda, il palazzetto il palcoscenico di uno spettacolo al quale nessuno vuole mancare domenica dopo domenica.
I giocatori sono tornati ad essere rockstar, riconosciuti e fermati per strada, i ragazzini indossano le loro canottiere per andare a scuola ed ascoltano con le loro AirPod il rap ipnotico di un barbuto giramondo che ambienta a Trieste il suo ultimo album.
L’unica amarezza vera è realizzare che per rivivere serate come questa, ma anche come quelle dei trionfi su Milano e Bologna, o attenzione, il ritorno del derby regionale, sarà necessario attendere ancora altri cinque mesi.
Il retrogusto, una volta risollevata la testa e cancellato dalla memoria visiva Miro Bilan uscire a braccia alzate dal parquet di casa tua, deve al contrario essere dolcissimo, baciato dalla consapevolezza che, se la città -in tutte le sue componenti, amministrative, politiche, economiche e tifose- sarà brava a cogliere questa opportunità, sufficientemente intelligente nel comprendere che il filo che lega la Pallacanestro Trieste al suo futuro è sottile e sottoposto ad ogni tipo di stress test, allora la sconfitta in Gara 4 di una serie di quarti di finale giocata da neopromossa sarà solo il primo step di un percorso di crescita esponenziale, un percorso che la porterà in Europa ed a competere realmente per conquistare finalmente il primo trofeo in cinquant’anni di storia.
E’, naturalmente, il capolavoro di Michael Arcieri, vera anima del rinascimento della pallacanestro giuliana, una benedizione giunta grazie a circostanze fortunate (ringraziamo ancora Luis Scola per non aver inchiodato le sue scarpe a Masnago ed a Cotogna Sports Group per averlo convinto ad accettare una sfida da incoscente) che comprende -e declina- la pallacanestro nella sua essenza, antepone l’aspetto umano a quello tecnico, conosce i giocatori, gli uomini anzi, nel loro intimo, li sceglie anche a costo di sorprendere o spiazzare, perchè investe sulle loro doti di leadership, sulla loro etica umana e professionale, sulla loro costante tensione verso il miglioramento personale, sul loro anteporre i valori della famiglia a tutto il resto, sulla loro capacità di condividere il gioco (“share the game” come gli abbiamo sentito dire numerose volte in questi due anni): il talento ok, ci vuole… ma viene dopo.
E, alla fine, guardi le partite, vedi i risultati, leggi la classifica e ne comprendi il motivo. Tutti noi, giornalisti e tifosi, ogni estate e durante ogni stagione facciamo la raccolta delle figurine: suggeriamo questo o quel nome, spariamo quasi a caso speranze di mercato altisonanti, spendiamo e spandiamo soldi non nostri.
E poi arriva sempre il giocatore giusto per il contesto e per il compito: arrivano Ariel Filloy e Giancarlo Ferrero, Giovanni Vildera e Francesco Candussi.
Ed infine, fra tutti gli altri, arriva la sintesi di tutte le qualità che Arcieri cerca in un uomo: come lui stesso raccontato sul filo della commozione nell’ultima conferenza stampa post partita stagionale, il primo giocatore che avrebbe voluto in squadra già quattro anni fa, intuendone la statura umana e sportiva pur da rinchiuso nella gabbia dorata del Taliercio, è Jeff Brooks.
La rinascita dell’americano di passaporto italiano, la restituzione di un patrimonio sportivo alla pallacanestro italiana, la gioia che trasmette per il solo fatto di essere in campo, di poter essere un punto di riferimento per i compagni, la sua esperienza messa al servizio della squadra, l’umiltà nel rendersi operaio per 35 minuti a partita senza risparmiare una goccia di sudore ignorando la carta d’identità (ed il fatto di possedere un palmares che a Trieste nessuno può vantare) lo rende la perfetta metafora della stagione più di ogni altro compagno, magari talvolta più decisivo o spettacolare.
E’ positività, è la felicità di essere tornato a donare gioia a suo figlio che lo guarda giocare, è anche la feroce competitività, è la determinazione di voler vincere sempre, ogni singola partita. E’ quello che Trieste dovrà diventare in ogni suo aspetto da lunedì prossimo.
Si ripartirà da lui, dai tre connazionali che come lui hanno deciso di fare di Trieste il loro rifugio sicuro (per Michele Ruzzier lo è già da 32 anni).
Si ripartirà, anche, da un Palatrieste ribollente di passione ed amore per la sua squadra, che talvolta ha sbandato, in una singola, maledetta occasione deragliato.
Ma che è anche (di gran lunga) il terzo più numeroso in Italia dietro a Milano e Bologna e per distacco, come ambiente, quello più simile alle grandi piazze dell’est europeo.
Si riparte anche da una proprietà, quella di Paul Matiasic, che ha mantenuto ogni singola promessa da quando ha acquisito il club: l’avvocato istro-californiano non ha mai fatto mancare il suo sostegno quando necessario: dall’arrivo di Valentine come ciliegina sulla torta iniziale a quello di Sean McDermott con il costoso upgrade al 6+6 alla vigilia delle Final Eight, così come l’arrivo in extremis di Kylor Kelley nella speranza di arginare Bilan.
Un sostegno anche morale, in linea perfettamente parallela con i valori propugnati dal GM, una comunione di intenti ed una coerenza che lo rendono uno fra i presidenti più affidabili e quindi credibili dell’intero movimento.
Iniziano anche i lunghi mesi della curiosità, dello scouting, degli annunci, primo fra i quali quello più atteso e probabilmente più importante: il nuovo allenatore, quello che dovrà traghettare la Pallacanestro Trieste nella sua nuova dimensione. Ci arriveremo per gradi. Ci arriveremo per gradi.
Ora è solo il momento dei ringraziamenti e degli applausi, che magari, chissà, il club si ricorderà di raccogliere celebrando i suoi primi cinquant’anni di vita o anche, vista la grande eco ancora viva negli Stati Uniti, i quarant’anni da quando un giovane uomo in sneakers neroarancio decollò per mandare in frantumi un cristallo a pochi chilometri da via Flavia.
Uno che una volta disse: “Avrò segnato undici volte canestri vincenti sulla sirena, e altre diciassette volte a meno di dieci secondi alla fine, ma nella mia carriera ho sbagliato più di 9.000 tiri. Ho perso quasi 300 partite. Per 36 volte i miei compagni si sono affidati a me per il tiro decisivo… e l’ho sbagliato. Ho fallito tante e tante e tante volte nella mia vita. Ed è per questo che ho vinto tutto“
(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images
Ph. Antonio Barzelogna
20-05-2025 15:39 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO BRESCIA – PALLACANESTRO TRIESTE: 92-103
Pallacanestro Brescia: Bilan 9, Ferrero n.e., Dowe 2, Della Valle 22, Ndour 11, Burnell 11, Tonelli n.e., Ivanovic 26, Mobio, Rivers 11, Cournooh, Pollini n.e.
Allenatore: P. Poeta. Assistenti: M. Cotelli, G. Alberti, D. Moss.
Pallacanestro Trieste: Obljubech n.e., Ross 13, Kelley 5, Deangeli (k), Uthoff 18, Ruzzier 10, Campogrande n.e., Candussi 19, Brown 12, Brooks 11, Johnson 2, Valentine 13.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Progressivi: 31-16 / 46-48 // 74-80 / 92-104
Parziali: 31-16 / 15-32 // 28-32 / 18-23
Arbitri: Sahin, Valleriani, Dori.
Trieste torna nella serie, eccome se ci torna. Giusto il tempo di rendersi conto che 13 minuti fotocopia di Gara 1 sarebbero valsi l’imbarcata, e mette in scena una reazione inaspettata quanto violenta, una ribellione ad un destino che pareva già scritto dopo un primo quarto e mezzo di sofferenza e testa bassa che annichilisce una Brescia prima sorpresa, poi stordita, infine incapace di trovare l’antidoto alle improvvise fiammate di Trieste.
Una Trieste tornata a divertirsi prima ancora che divertire i suoi tifosi giocando il suo basket leggero, veloce ed imprevedibile, il basket che le ha permesso di finire così in alto la stagione regolare e che pareva smarrito, affondato in una palude di appagamento e frustrazione che non le era mai appartenuto prima nel corso della stagione.Gara 2, ad onor del vero, inizia in un modo che non lascia davvero presagire nulla di buono. Trieste sceglie di rischiare escludendo nuovamente Sean McDermott a favore di Kylor Kelley nella speranza di intasare il pitturato limitando così il raggio d’azione di un onnipotente Miro Bilan, soluzione con doppio lungo che, però, non aveva certo prodotto un fatturato sufficiente in Gara 1 specie in difesa.
La soluzione, nuovamente, non convince e dura letteralmente un paio di minuti, così come il primo tempo di un Colbey Ross che sembra in stato confusionale.
E’ vero, il centro croato stavolta viene arginato tramite un asfissiante raddoppio sistematico del piccolo in aiuto al suo marcatore di turno, ma Brescia trova punti con grandissima continuità dai due giocatori che due giorni prima avevano maggiormente deluso, Amedeo Della Valle e Nikola Ivanovic, capaci di andare a segno così come di mettere in ritmo i compagni, specie N’dour, con il risultato che la squadra lombarda continua a realizzare da sotto con percentuali irreali.
Dall’altro capo del campo Trieste fatica, pasticcia, tira malissimo da fuori. Valentine non riesce ad entrare in clima post season ed è troppo leggero sui due lati del campo, il solo Markel Brown non smette di provarci, ma è isolato e comunque litiga con il ferro nonostante qualche sprazzo che consente perlomeno alla sua squadra di non accumulare uno svantaggio tale da posare un macigno sul risultato finale già dopo dieci minuti.
Trieste rischia più volte di finire al tappeto, tocca i 18 punti di svantaggio a cavallo fra primo e secondo quarto dopo l’ennesimo fallo tecnico di chiara frustrazione commesso dal coach. Sull’altra panchina Peppe Poeta è tranquillo, sorridente e rilassato: alla sua squadra sta infatti riuscendo ogni singolo particolare del piano partita, e si permette di far riposare un Miro Bilan molto meno incisivo di Gara 1 (del resto la carta d’identità non può che avere il suo peso in una serie da una partita ogni due giorni) ed inserisce la sua second unit per controllare i ritmi e tenere gli avversari in un angolo facendo passare il tempo.
Brescia, però, a questo punto commette l’errore capitale di battezzare finita la partita, come del resto avrebbe fatto chiunque avesse osservato il linguaggio del corpo fin lì esibito dai biancorossi, oggi in total white.
La Germani inizia a giochicchiare, a pasticciare in attacco, a perdere qualche pallone con troppa leggerezza, a specchiarsi troppo nella sua superiorità fin lì tanto evidente quanto schiacciante. Atteggiamento di sufficienza che ha l’immediato effetto di un pungolo elettrico sull’orgoglio (e sugli attributi) dei giocatori triestini. Noi non siamo questi, si devono essere detti. Christian decide di averne avuto abbastanza degli esperimenti e si affida al suo amato small ball, con Jeff Brooks a fungere da lungo chioccia per Francesco Candussi ed un manipolo di esterni orchestrati da un Michele Ruzzier tornato ad essere leader, condottiero e playmaker da quintetto base (sotto agli occhi del CT Pozzecco).
Trieste torna a fare il suo gioco, rimette a posto le percentuali da oltre l’arco, ma soprattutto inizia a difendere sul serio. Anzi, a difendere tout court, dal momento che per 53 minuti lo aveva fatto in modo perlomeno approssimativo.
Brescia sbanda e perde una marea di palloni, il gap viene cancellato in un amen, Trieste riesce a mettere addirittura il naso avanti ed allungare quando manca ancora una manciata di minuti all’intervallo.
E’ così che va il basket: mettere una lapide sulla tomba di una partita quando manca una vita alla sirena finale tendenzialmente ti porta a fare delle figuracce.
Trieste finisce un primo tempo incredibile realizzando 32 punti in 7 minuti, restituendo alla Germani, tale e quale, la mazzata iniziale.
Capolavoro completato nella terza frazione, quando ci si poteva e doveva attendere la contro reazione dei padroni di casa e l’inasprimento del clima in un palazzetto fin lì abbastanza sonnecchiante, prima a teatro ad assistere ad una esibizione accademica, poi preso letteralmente in contropiede, infine incitato da Poeta e ADV a dare maggiore supporto.
Ed infatti Brescia, tornata a schierare il suo quintetto base, torna ad alzare intensità e continuità in attacco, anche se lo spauracchio Bilan viene arginato nei suoi movimenti più amati, che non riesce letteralmente ad eseguire quasi mai.
Trieste, però, regge alla grande l’urto, anzi ne confeziona uno contrario ben più impattante giocando di squadra, condividendo il pallone (come notoriamente piace a Michael Arcieri): le responsabilità sono condivise, Uthoff torna ad essere ice man, Brooks è una sentenza sotto il ferro con l’ineguagliabile tempismo che gli permette di trovarsi sempre al posto giusto per catturare i rimbalzi in attacco, anche Valentine (pur con qualche leggerezza di troppo) e Colbey Ross si ricordano di possedere un arsenale non arginabile se dispiegato con la giusta convinzione.
Ci si mette, finalmente, anche Michele Ruzzier, capace prima di infilare una tripla con la mano di Burnell sul naso, ed un altra sfruttando un geniale extrapass di Francesco Candussi. E poi, ovviamente, proprio lui: il baffo di Palmanova alla sua prima esperienza nei playoff di Serie A disputa la sua miglior partita in carriera nella massima serie, colpendo con la specialità della casa dai 6.75 ma anche tirando con il 75% da due, catturando pure 6 rimbalzi e generando un eloquente +20 di plus/minus.
In definitiva, Trieste regge alla grande l’urto ribattendo colpo su colpo ma approfittando anche di ogni singolo errore bresciano per ampliare progressivamente il vantaggio: il ritorno al predominio a rimbalzo ed il pareggio nel computo delle palle perse sono due dei fattori che permettono di tenere Brescia a distanza anche nel suo momento di massimo sforzo.
La partita è definita dal 64-43 con cui Trieste replica al 16-31 con cui aveva chiuso il primo quarto di gara.
Markel Brown galleggia in aria, Brooks mette la ciliegina aggregandosi ad un’orchestra da 15 triple mettendo, ora sì, l’epitaffio su Gara 2 nonostante alcune decisioni arbitrali che definire cervellotiche è il minimo.
Ma stasera nemmeno il trio in grigio è sufficiente per scalfire la redivivia quanto granitica volontà biancorossa, che azzanna la preda e non la molla fino al quarantesimo.
Christian si gode sette uomini in doppia cifra, con 44 punti su 103 prodotti dalla panchina.
Dopo una Gara 1 da top scorer, stavolta i due centri collezionano complessivamente 17 minuti sul parquet: del resto, con l’arma tanto amata che torna a far male da oltre l’arco ed il nemico pubblico numero uno in pausa di riflessione, meglio affidarsi alla coperta di Linus di Jamion Christian con i suoi “pretoriani” in campo, inutile rischiare.
Per usare un paragone di moda in tempi di Sinner-mania, Trieste strappa così il servizio all’avversario, ed ora ha il compito di consolidarlo per conquistarsi il vantaggio di servire per il match.
Un vero peccato che tale consolidamento dovrà con ogni probabilità venir giocato lontano da casa, sebbene nulla al momento sia definito nonostante le voci incontrollate inseguitesi nel pomeriggio che davano per certo lo scenario del Palaverde. Si sa solo che si gioca alle 21:00 di giovedì, per il resto novità sono attese di ora in ora.
Ovviamente, l’uomo più contento del pareggio nella serie è Michael Arcieri, che perlomeno potrà contare sicuramente su almeno un incasso casalingo nei playoff, quello di sabato prossimo al PalaTrieste che la squadra si è certamente conquistata.
Comunque vada, perlomeno il pubblico triestino potrà salutare adeguatamente la squadra a casa sua, con la consapevolezza che Trieste, quella squadra sbarazzina ed a tratti spettacolare, quella capace di vincere su campi impossibili, di conquistarsi la semifinale di Coppa Italia, di prendere in contropiede i soloni del basket tricolore, non è ancora naufragata attraversando il Lago di Garda.
L’altra serie nella stessa parte del tabellone vede invece il raddoppio di Trapani, che sfonda la resistenza di una Reggio Emilia che stavolta dura poco più di 15 minuti. Dall’altra parte, invece, Trento pareggia il conto con Milano grazie alla preghiera su una gamba da tre punti sulla sirena finale di Cole che recupera il pallone dopo un clamoroso errore di Mirotic.
(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images
Ph. Antonio Barzelogna
18-05-2025 19:10 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO BRESCIA – PALLACANESTRO TRIESTE: 89-77
Pallacanestro Brescia: Bilan 25, Ferrero, Dowe 12, Della Valle 5, Ndour 10, Burnell 14, Tonelli, Ivanovic 10, Mobio 4, Rivers 7, Cournooh 2, Pollini.
Allenatore: P. Poeta. Assistenti: M. Cotelli, G. Alberti, D. Moss.
Pallacanestro Trieste: Obljubech, Ross 4, Kelley 12, Deangeli (k), Uthoff 9, Ruzzier, Campogrande, Candussi 9, Brown 14, Brooks 8, Johnson 16, Valentine 5.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Progressivi: 25-22 / 52-40 // 68-51 / 89-77
Parziali: 25-22 / 27-18 // 16-11 / 21-26
Arbitri: Paternicò, Bettini, Lucotti.
BRESCIA – Trieste perde l’imbattibilità in trasferta nei playoff che durava da sei partite consecutive, e lo fa principalmente per essere mancata proprio nell’aspetto che l’anno scorso le aveva permesso di compiere quasi un percorso netto nella post season: il salto di mentalità, di approccio, di intensità, di accanimento nell’aggredire non solo la partita ma ogni singolo possesso, ben oltre le buone esecuzioni del piano partita dal punto di vista strettamente tecnico e tattico.
Brescia, dal canto suo, da questo punto di vista è un manuale di upgrade agonistico per tutti e 40 minuti, e tanto basta per travolgere una Trieste apparsa battuta dopo cinque minuti di gioco, non tanto per gap incolmabili almeno fino a metà terzo quarto, quanto per una inerzia che non transita letteralmente mai nelle sue mani.
Il tutto, naturalmente, al netto della attuale superiorità e degli evidenti meriti tecnici di Brescia, dotata di talento e tanta tanta qualità già in partenza, e di una condizione atletica perlomeno approssimativa da parte del rientrante Valentine e probabilmente di un Ruzzier che presenta evidenti fasciature alla spalla infortunata.
Poi, naturalmente, c’è anche la delicata partita a scacchi, con la squadra di Christian che paga oltremisura gli aggiustamenti indispensabili per inserire nelle rotazioni Kylor Kelley, spostando il baricentro della squadra nettamente verso i lunghi, un tipo di pallacanestro che però è distante anni luce da quella proposta durante gran parte della stagione regolare.
A dire il vero, alla fine, se ci si limita a guardare il tabellino è una scelta che paga: Johnson è il migliore in campo per i suoi, con l’ennesima doppia doppia sfiorata e tanta, tantissima grinta che lo porta a sportellare con chiunque sui due lati del campo.
Il coraggio a questo ragazzo non manca di certo, una riflessione su una sua riconferma, magari da secondo lungo per la prossima stagione, potrebbe non essere una cattiva idea.Anche Kelley raccoglie un buon bottino di punti, oltretutto senza errori dal campo, anche se la sua prestazione appare più accademica rispetto a quella del compagno di reparto, sebbene sfoderi anche una inaspettata precisione da oltre l’arco (due su due da tre per lui), così come un Francesco Candussi che dà il meglio di sé quando si trova ad almeno cinque metri dal ferro.
Ma, a ben guardare, è un riassestamento che semplicemente sposta sui lunghi gran parte della produzione offensiva, senza peraltro ottenere, nemmeno lontanamente, il risultato principale: Miro Bilan li porta allegramente entrambi al bar tutti e tre, e possiamo star qui anche tutta la sera a lamentarci su quanto sia vetusto ed obsoleto un gioco alto-basso che preveda il pivot ricevere palla all’altezza del pettine spalle a canestro, palleggiare per dodici secondi spingendosi a colpi di sedere verso il ferro e, giunto a pochi centimetri dal bersaglio, esibirsi nel classico gancetto di tabella: il croato ne mette 25 in 24 minuti con percentuali da cecchino, si rivela un rebus irrisolvibile ed infatti irrisolto per la difesa triestina che nei rari casi in cui riesce a contrastarne la conclusione, viene sistematicamente gabbata dallo scarico nell’angolo, suo atavico punto debole difensivo, o dall’assist al compagno che taglia dal lato debole.
Aggiungiamo il fatto che il vantaggio strategico in termini fisici, di centimetri e chilogrammi che Trieste può vantare non viene capitalizzato con un adeguato incremento di conclusioni da sotto canestro: Brescia tenta 51 tiri da due (tirando con il 63%), Trieste solo 30, continuando peraltro a sparacchiare da lontano per ben 30 volte in una serata in cui la percentuale da 3 è risistemata solo negli ultimi minuti a partita finita, ma fin lì piuttosto deficitaria.
Perchè è vero che Bilan e Burnell trovano conclusioni anche ad elevato coefficiente di difficoltà rivelandosi a tratti immarcabili, ma è anche vero che i biancorossi falliscano quasi completamente la prestazione offensiva, cercando troppi tiri in isolamento, o improvvisati, o mettendo il pallone nelle mani sbagliate, nella zona sbagliata, con il timing sbagliato o, semplicemente, nemmeno arrivando a tirare.
Trieste soccombe nettamente anche nella lotta a rimbalzo, catturandone 5 in meno degli avversari ma, soprattutto, concedendone addirittura 14 sotto il proprio ferro: non proprio quello che ti aspetti quando hai tre giocatori oltre i 2.10 cm, di cui due a lungo contemporaneamente in campo.
Aggiungiamo la serata dal rendimento insufficiente di Colbey Ross e di un attesissimo ma deludente Denzel Valentine, e l’apporto offensivamente nullo di un Michele Ruzzier perlomeno più attento del compagno di reparto, e si comprende come l’onda di marea bresciana nel pitturato con i vari Burnell, N’dour, Dowe e Ivanovic risulti inarrestabile.
A completare l’opera, le 17 palle perse (di cui solo 10 recuperate dai lombardi, segno che ben 7 palloni siano gettati letteralmente al vento), numero di per sé sufficiente a rendere impossibile una vittoria in trasferta.
In ultima analisi, considerata l’assenza dell’unico tiratore puro della squadra in una partita in cui il tiro non entra, oltretutto anche un ottimo difensore difficilissimo da battere nell’uno contro uno, ed ecco che (naturalmente a posteriori) si può senz’altro affermare che l’esclusione dal referto di Sean McDermott per far spazio a Kelley non abbia portato i frutti sperati.
Non è quindi affatto detto che per Gara 2 si replichi la scelta, anche se pensare che Jamion Christian abbia il coraggio di rinunciare ad uno fra Denzel Valentine o (Dio non voglia) Markel Brown risulti piuttosto impegnativo.
Di buono c’è che nei playoff vincere o perdere di uno o di venti non cambia assolutamente nulla. 1-0, palla al centro per la nuova palla a due.
Fra due giorni si riparte da 0-0 e la storia insegna come quasi mai le partite si ripetano uguali a sé stesse.
Sempre che Trieste capisca che per far paura a questa Brescia sarà necessario mordere le caviglie agli avversari per quaranta minuti, altrimenti si rischia concretamente di non tornare più al Palatrieste fino al prossimo ottobre (anche perchè l’assenza di novità sul ricorso per ridurre la squalifica del campo non può essere preso come un segnale positivo).
A fine gara Jamion Christian afferma che ha anche visto molte cose della sua squadra che gli sono piaciute -non specifica quali-, e da lì partirà, magari con qualche variante tecnica, per preparare Gara 2.
Intanto, salta già un fattore campo in un altro quarto di finale: Milano sbanca Trento dopo aver inseguito a lungo, mentre Trapani conquista il primo punto della serie contro Reggio Emilia dopo aver letteralmente tremato fino a trenta secondi dalla fine capitalizzando la giocata da tre punti di Galloway nell’azione decisiva.
(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images
Ph. Antonio Barzelogna
11-05-2025 11:29 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO TRIESTE – DINAMO SASSARI: 92-76
Trieste: Paiano, Obljubech 2, Ross 11, Kelley 6, Deangeli (k) 5, Uthoff 16, Campogrande, Candussi 13, Brown 11, Brooks 6, McDermott 7, Johnson 15.
Allenatore: Jamion Christian. Assistenti: Francesco Taccetti, Francesco Nanni, Nick Schlitzer.
Sassari: Cappelletti 8, Bibbins 3, Weber 5, Trucchetti, Fobbs 16, Tambone 8, Veronesi 2, Vasselli, Bendzius (k) 16, Vincini 7, Thomas 11, Gazi n.e.
Allenatore: Massimo Bulleri Assistenti: Massimiliano Oldoini.
Progressivi: 21-22 / 49-37 // 72-58 / 92-76
Parziali: 21-22 / 28-15 // 23-21 / 20-18
Arbitri: Paternicò, Baldini, Nicolini.
VERONA – A pochi chilometri dall’autostrada del Brennero, una delle principali vie che dall’Italia portano in Europa, la Pallacanestro Trieste si conquista, prima di ogni altra cosa, il diritto a tornare a calcare i parquet internazionali, conseguenza di un sesto posto frutto di diciotto vittorie in trenta partite che costituisce un altro record da più di 25 anni a questa parte.
Un ruolo di centralità che, assieme alle due squadre di pallanuoto giuliane, torna dopo decenni a dare respiro alla vocazione continentale che da sempre ha caratterizzato questo ultimo lembo d’Italia.
Non che la giornata più lunga sia iniziata, tanto per cambiare, sotto i migliori auspici. Contro Sassari, infatti, la Pallacanestro Trieste parte nuovamente menomata nel roster: a Michele Ruzzier, la cui assenza era stata messa in preventivo, si affianca in tribuna anche Denzel Valentine, vittima di un colpo alle costole subito a Varese che, nonostante il giocatore sia comunque andato a Verona, alla fine ne ha imposto il riposo.
Un bel problema per coach Christian, privato dell’unico playmaker di backup e del giocatore che più di ogni altro ne avrebbe potuto fare le veci (oltre che del potenziale inventore di situazioni di rottura offensiva nei momenti più difficili della gara).
Ma Trieste è in missione, come del resto successo innumerevoli volte nel corso di una stagione che definire sfortunata dal punto di vista fisico è decisamente riduttivo.
La squadra ha sempre dimostrato di essere in grado di riassestarsi, di trovare nuovi equilibri in corsa, nuove soluzioni e, per l’occasione, anche inediti atteggiamenti di gran lunga più giudiziosi da parte di un Colbey Ross ben consapevole della responsabilità che grava sulle sue spalle: il playmaker americano fa girare la squadra con i giri giusti, innesca i tiratori, alza alley up per il nuovo arrivato Kelley (alla fine piazza ben 9 assist) e gestisce in modo intelligente i falli, arrivando pressoché indenne a fine gara.
Ma è l’intera squadra ad affiancarlo nell’approcciare un impegno così importante con un piglio decisamente diverso rispetto alla svagatezza iniziale esibita una settimana fa a Varese.Trieste è cattiva al punto giusto fin dalla prima palla a due, fugge subito nel punteggio, gioca un po’ con l’elastico con il vantaggio, finisce addirittura sotto per pochi secondi nel primo quarto, senza peraltro dare mai l’idea di perdere definitivamente l’inerzia della partita.
Qualche smagliatura difensiva di troppo viene smussata in corso d’opera, e quando i biancorossi si decidono a far valere la loro evidente superiorità nel pitturato Sassari è costretta a limitarsi a cercare conclusioni da lontano con Bendzius e Fobbs (senza peraltro superare il 25%), tenendosi costantemente ben lontana dal ferro.
E’ il momento, verso la fine del primo tempo, che coincide con il vero esordio di Kylor Kelley e delle motivazioni che hanno spinto Mike Arcieri a fargli attraversare l’oceano per questo ultimo scorcio di stagione: il nuovo arrivato, frastornato dal jet lag, con un allenamento nelle gambe con i compagni, in un campionato sconosciuto ed in una atmosfera surreale, intimidisce con la sua sola presenza gli avversari nel pitturato ed anche oltre, verso la linea da tre punti: dotato di leve lunghissime e di elevazione impressionante, cerca sempre la stoppata, che talvolta trova anche senza saltare, costringendo i pochi giocatori sardi che coraggiosamente tentano di penetrare o tergiversano un po’ più a lungo prima di tentare un tiro da tre a cambiare precipitosamente idea, cercando compagni, sfilacciando l’attacco, oppure venendo clamorosamente cancellati.
Ci ha messo cinque minuti, il buon Kylor, per lanciare questo messaggio, e lo ha fatto da perfetto sconosciuto da parte di compagni ed avversari.
Aggiungiamo che il giocatore predilige i viaggi sopra il ferro in alley up (specialità che vede un altro attore protagonista in Colbey Ross, nominato MVP due stagioni fa proprio per la spettacolarità in coppia a Tariq Owens a Varese) e che effettivamente mostra caratteristiche complementari sia a Jayce Johnson che a Francesco Candussi potendo quindi convivere senza problemi con entrambi nei 12, ed ecco che diventa evidente come l’innesto possa effettivamente rivelarsi un grande valore aggiunto nella post season: Miro Bilan ed il suo (efficacissimo) gioco anni ’80 sono avvisati.
La partita scivola via nel secondo tempo, quando naufraga l’estremo tentativo sardo di riaprire l’incontro che aveva permesso nel giro di tre minuti alla formazione di Bulleri di ricucire quasi tutto lo svantaggio di 12 punti con il quale era andata negli spogliatoi (senza però mai arrivare a portata di un singolo possesso).
Trieste fiuta il pericolo a metà terzo quarto, pigia decisamente il piede sull’acceleratore in attacco e punisce in modo letale ogni errore difensivo di Sassari, con il passare del tempo sempre più frustrata e progressivamente meno convinta di potercela effettivamente fare, finendo quasi “pigra” nelle chiusure sui tiratori ed anche a rimbalzo, dove fino a tre quarti gara era riuscita inaspettatamente a prevalere.
Quando il gap scavalla nuovamente la doppia cifra la partita di fatto finisce: Sassari, che abbassa il quintetto e si affida prevalentemente ai suoi italiani, non ha più nè la capacità nè, tutto sommato, la voglia di provarci.
I suoi americani si mettono a scherzare con il pubblico dietro di loro, gli ospiti sono praticamente già all’ultimo giorno di scuola, Trieste li tiene lì tanto per non correre rischi e si pregusta la festa finale.
La partita finisce fra l’entusiasmo del pubblico triestino che ha avuto la pazienza e l’amore per sobbarcarsi 500 chilometri in mezza giornata: ad occhio, poche centinaia di tifosi, rumorosi ed appassionati, ringraziati praticamente uno ad uno da Mike Arcieri, che a fine partita è andato ad incrociarne lo sguardo applaudendo e ringraziando ognuno di loro, ed alla squadra che si è letteralmente lanciata fra le loro braccia.
Vedere, prima della partita, decine di appassionati giunti da Trieste mischiati agli amici veronesi accorsi per l’occasione festeggiare attorno ai chioschi sotto il Bentegodi ed il palazzetto scaligero riconcilia con lo sport, e nella giornata in cui Trieste sconta il suo primo giorno di punizione non è affatto poco.
Parlare delle prestazioni dei singoli stasera, con cinque giocatori in doppia cifra (e Brown che sfiora di pochissimo la tripla doppia) ha davvero poco senso, se non per cercare di intuire come la squadra deciderà di riassestarsi per la serie dei quarti di finale.
Contro Brescia (sempre che siano i lombardi a costituire il primo ostacolo) servirà molta fisicità nel pitturato, per cui è abbastanza probabile che Christian decida di affidarsi ad entrambe le torri americane spostando Candussi nello spot di “4”: contro Sassari Candu si è alternato con Uthoff ed ha speso lunghissimi minuti in campo sia con Johnson che con Kelley, soluzione che durante il campionato si è vista molto raramente.
In tal caso bisognerà capire che americano escludere, anche se pare abbastanza scontato che possa essere Sean McDermott.
Scelta difficile e dolorosa, dal momento che l’ex capitano di Varese è un ottimo difensore ed è anche probabilmente il miglior tiratore in dotazione.
Ma per iniziare a pensare al quarto di finale c’è ancora un po’ di tempo. Intanto, da trascorrere seduti con una vasca di popcorn a godersi con il telecomando in mano questa pirotecnica ultima giornata, che apparecchia davvero una serie di incroci tutti da godere, a cominciare dal big match di Bologna fra Virtus e Shark che deciderà primo e secondo posto.
E poi, l’impegno casalingo di Brescia contro Treviso, con i lombardi che non possono fallire il riaggancio con Trento (vincitrice nell’anticipo a Napoli) ed una fra le due attuali battistrada.
Indipendentemente dalla griglia che scaturirà al quarantesimo minuto, saranno loro le prime quattro, quelle che godranno del vantaggio del fattore campo nel primo turno.
Milano è sicuramente quinta ed attende come Trieste i suo destino, così come Reggio Emilia, sicuramente settima anche se non dovesse riuscire nella non impossibile impresa di superare Pistoia in casa.
Venezia, infine, da ottava avrà il non semplice compito di tentare di eliminare la prima in classifica e candidarsi così a mina vagante dei playoff.
Poi, da lunedì, nella speranza che i due infortunati siano stati effettivamente tenuti solo a riposo per precauzione, inizierà il percorso di avvicinamento a Gara1. Un anno fa, di questi tempi, al solo pensiero molti di noi scuotevano la testa sorridendo.
E’ un errore di valutazione che nessuno commetterà più.
(diritti riservati TSportintheCity)
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Ph. Antonio Barzelogna
6-05-2025 16:11 Spedizione della Servolana all’Adriatica Cup di Pesaro che torna a casa molto soddisfatta, avendo conquistato, con le quattro squadre partecipanti, un secondo un terzo e due quarti posti, nella giornata conclusiva di domenica.
https://servolanabasket.it/2025/05/adriatica-cup-2025-consuntivo-finale/
5-05-2025 0:13 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO VARESE – PALLACANESTRO TRIESTE: 85-80
Varese: Akobundu-Ehiogu 6, Alviti 21, Mitrou-Long 15, Bradford 2, Anticevich 2, Librizzi 16, Reghenzani n.e., Esposito, Assui 3, Fall, Hands 20.
Allenatore: Ioannis Kastritis Assistenti: Marco Legovich.
Trieste: Paiano n.e., Obljubech n.e., Ross 9, Deangeli (k), Uthoff 9, Campogrande n.e., Candussi 11, Brown 20, Brooks 6, McDermott 7, Johnson 7, Valentine 11.
Allenatore: Jamion Christian. Assistenti: Francesco Taccetti, Francesco Nanni, Nick Schlitzer.
Progressivi: 19-19 / 39-35 // 66-57 / 85-80
Parziali: 19-19 / 20-16 // 27-22 / 19-23
Arbitri: Gonella, Perciavalle, Noce.
VARESE – Chi si attendeva una Varese tranquilla e svagata, con la pattuglia americana praticamente già in vacanza dopo aver ottenuto con largo anticipo la quota salvezza, opposta ad una Trieste affamata, motivata dalla possibilità di agguantare matematicamente il sesto posto che vorrebbe dire Europa che conta, è servito: ad essere in gita, invece, sembrano per larghi tratti molti dei giocatori triestini, specie nella metà campo difensiva, e ad essere perlomeno con la testa dall’altra parte dell’oceano sembra un coach che mai come in questa occasione dimostra come la coerenza fine a sé stessa sia un limite evidente anziché un pregio dal punto di vista tecnico.
In effetti, la cocciutaggine con la quale Jamion Christian si impone di rinunciare sistematicamente ai suoi lunghi di ruolo -ed in particolare ad un eccellente Jayce Johnson- nelle seconde metà di ogni partita, senza possibilità di cambiare idea nemmeno davanti al sesto rimbalzo offensivo consecutivo della squadra avversaria e della sistematica assenza di aiuti nel pitturato una volta che la sua prima linea difensiva viene saltata nell’uno contro uno, rimarrà uno dei misteri che lo accompagnerà nel Rhode Island.
Se aggiungiamo che, una volta incredibilmente ridotto lo svantaggio (sebbene con enorme e colpevole ritardo) ad un solo possesso ad otto secondi dal termine, Christian riesce a battere il record della peggior uscita da un time out della storia, finora detenuto dalla rimessa finale nel derby di Udine, disegnando una difesa che avrebbe dovuto impedire la ricezione ai migliori tiratori di liberi di Varese e finisce con il permettere la ricezione di Hands tutto solo nel pitturato con schiacciata conseguente, allora è chiaro come la correità del coaching team in questa sanguinosa ed imprevista debacle esterna sia incontrovertibile.
La missione di Trieste avrebbe dovuto passare dalla replica di quanto avvenuto a Cremona sei giorni fa: partenza dura e concentrazione massima dalla prima palla a due, lavoro duro in difesa, focus speciale sull’evitare di perdere palloni in modo banale, costruire buoni tiri e possibilmente metterli, tenere Akobundu Ehiogu lontano dal ferro.Che sarebbe stata una serata difficile lo dimostra il fatto che dopo metà primo quarto ognuno di questi obiettivi era chiaramente saltato, con il risultato di consegnare a Varese l’inerzia dell’incontro assieme al coraggio, alla cattiveria ed alla consapevolezza necessari a mantenerla.
Manca Ruzzier, in tutti i sensi: manca la sua pallacanestro ordinata e razionale, un po’ spuntata dal punto di vista offensivo negli ultimi tempi ma capace di mettere in ritmo i compagni con i giri ed i tempi più adeguati.
Colbey Ross fa la sua pallacanestro, sposta la difesa, crea spazio e piazza assist, ma alla lunga è prevedibile e non esistono alternative specie in una serata svagata da parte di Denzel Valentine, forse alla peggior prestazione stagionale.
Ciò nonostante, davanti ad una OpenJob Metis che scatta a folate per poi spegnersi improvvisamente, che dà il suo meglio in transizione ma si affloscia come capacità di costruzione di qualcosa di buono quando deve ragionare, Trieste approfitta di una incontrovertibile supremazia a rimbalzo (52-44 alla fine, superata quota 100 nelle ultime due partite) per concedersi seconde chance in attacco (particolare non secondario in una serata in cui la vena da oltre l’arco è insufficiente), approfitta della saggezza di Jeff Brooks, del suo senso della posizione, della sua esperienza per non permettere agli avversari di fuggire.
E, soprattutto, domina sotto le plance nonostante l’intimorente presenza di Akobundu Ehogu, atleticamente devastante ma privo di sufficiente controllo della sua verticalità e di un bagaglio tecnico che altrimenti lo renderebbero uno dei migliori centri in Europa.
Johnson non si lascia intimidire, segna, è puntuale come terminale nel pick and roll, cattura rimbalzi, fa la voce grossa a sportellate, costringe Varese ad affidarsi ad un gioco prevedibile e ripetitivo appoggiato interamente sul perimetro.
Ed infatti, in una situazione del genere per Trieste è sufficiente trovare un po’ di continuità in attacco per ricucire l’esiguo svantaggio e scattare avanti di sette in un amen nel secondo quarto, commettendo però il secondo errore fatale della serata: credere che rubare per qualche secondo il pallino del gioco agli avversari, accumulando anche un piccolo gap, sia il segnale di resa per una squadra che sì, ci ha provato finché ha potuto, ma una volta constatata la forza degli avversari si sarebbe seduta.
Certo, un paio di decisioni arbitrali rivedibili (un fallo su tiro da tre -peraltro realizzato- su un Mitrou-Long che allunga scompostamente la gamba quasi in spaccata alla ricerca del contatto, ed un antisportivo comminato a Ross per aver tentato di tagliare fuori Alviti a rimbalzo in difesa) sommate ad un paio di ingenuità inedite da parte degli uomini più esperti (fallo su tiro da tre di Markel Brown su Librizzi, stavolta evidente) costano 13 punti in tre azioni, ribaltano nuovamente gli equilibri prima di metà gara, abbattono le labili certezze triestine e ne mandano in confusione lo staff tecnico.
Ed è così che Trieste rientra in campo dagli spogliatoi ancora convinta di poterla risolvere per l’ennesima volta da oltre l’arco, nonostante fosse ormai evidente che per i terminali designati Uthoff e Valentine non fosse la serata giusta (2 su 9 per il primo, 3 su 10 per il Barba).
Candussi trova un po’ di continuità dalla linea dei tiri liberi, ma non è un intimidatore sotto il ferro, il solo Brown riesce se non altro a mantenersi sopra la sufficienza da fuori, ma fatica tantissimo quando si avventura nel pitturato.
Il secondo tempo è una replica del primo, con Varese che pasticcia in attacco ma trova bombe importanti da un Librizzi ed un Alviti in missione, pur senza riuscire a scrollarsi definitivamente di dosso un’avversaria incapace di capitalizzare le occasioni che avrebbe avuto per riportarsi a distanza di sorpasso.
Trieste ne avrebbe anche più volte la possibilità, ma getta letteralmente al vento anche le conclusioni che normalmente non fallisce.
Quando, poi, viene decretata la fine del predominio sotto canestro con l’uscita autoinflitta di entrambi i “5” di ruolo, si spegne definitivamente la luce anche in difesa, con Hands ed addirittura Librizzi capaci di surclassare a ripetizione la svagata prima linea difensiva ed andare a depositare incontrastati a canestro e con Akobundu Ehiogu, Assui, Bradford ed Hands a recuperare a ripetizione rimbalzi in attacco e palle vaganti.
Delle battute finali, della possibilità sprecata di tentare almeno di sfruttare le possibilità che la sorte e gli avversari, nonostante tutto, avevano concesso, abbiamo raccontato in apertura: una squadra di razza, che pensa realisticamente di poter partecipare da protagonista alla post season avendo di fronte Brescia o Trento (se va bene) deve trovare il modo di approfittare anche della minima crepa nella convinzione e nella coesione delle avversarie, magari rimettendo in piedi situazioni frutto di giornate storte (che possono capitare), di percentuali pessime, di scelte sbagliate.
Vincere nonostante tutto anche nei giorni peggiori imponendo la propria personalità anziché finire in balia di quella degli altri è il salto fondamentale che Trieste dovrà assolutamente fare se vorrà trasformarsi da una buona squadra in una eccellente quanto temibile avversaria per chiunque.
E con l’evidenza, in prospettiva, che rivisitare profondamente gli spot di backup, fornendo al coach alternative da rotazione vera e con punti veri nelle mani diventa indispensabile per poter puntare ad obiettivi importanti: 14 minuti per Candussi, una manciata di azioni per Deangeli, niente altro dagli altri italiani (non volendo considerare tale Jeff Brooks): in una stagione lunga, che dura ben oltre le trenta partite e spazia ben al di fuori dei confini nazionali, potersi concedere 7-8 uomini affidabili da rotazione credibile è davvero uno svantaggio che alla lunga chiede il conto, un conto salatissimo anche dal punto di vista fisico.
Discorso che vale per Trieste ma, naturalmente, anche per le squadre che stazionano nella sua stessa fascia di merito.
Trieste piange, certo, ma Reggio Emilia, Venezia e Tortona non ridono di certo. La squadra emiliana le busca pesanti a Trento, la Reyer, dopo un paio di mesi di onnipotenza inarrestabile, incappa in due imprevedibili stop con Pistoia e nel derby a Treviso ed ora non potrà più ambire a nulla di meglio dell’ottavo posto, i piemontesi sono ormai in caduta libera e cedono il passo in casa anche a Napoli.
Ciò significa che, nonostante tutto, Trieste avrà ancora una possibilità per impadronirsi di quell’agognato sesto posto che vorrebbe dire con ogni probabilità Europa che conta. Possibilità che dovrà però giocarsi nuovamente lontano da casa, e nuovamente contro una squadra che non chiede più nulla alla stagione e che, come Varese, giocherà leggera e senza pressioni.
Con la differenza che stavolta una sconfitta significherebbe con (quasi) certezza il settimo posto dal momento che per credere veramente in una sconfitta casalinga di Reggio Emilia con Pistoia bisognerebbe essere dei temerari scommettitori.
Dove si giocherà la partita contro Sassari, con la griglia playoff ancora da definire e l’obbligo di contemporaneità di orario su tutti i campi rimane un rebus che sarà difficile risolvere.
Per quanto riguarda gli altri risultati, c’è da registrare la retrocessione matematica per Scafati e Pistoia travolte da Bologna e Cremona, mentre nonostante la super vittoria nel big match con Milano, Trapani non riesce ad impadronirsi della vetta, ora occupata -per differenza canestri- da una Virtus Bologna che, una volta abbandonata ogni velleità europea, non sbaglia più un colpo: testa che sarà necessariamente abbandonata da una delle due dopo lo scontro diretto che un calendario con grande senso di drammaticità propone proprio all’ultima giornata.
A quaranta minuti dalla fine della stagione regolare, dunque, a rimanere aperte sono ancora le posizioni dalla prima alla quarta (prima sarà una fra Bolgona e Trapani, mentre Milano è sicura della quinta) e, come detto, quelle fra la sesta e la settima.
(diritti riservati TSportintheCity)
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Ph. Antonio Barzelogna
29-04-2025 14:06 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
VANOLI CREMONA – PALLACANESTRO TRIESTE: 81-101
Cremona: Christon 18, Scotti n.e., Willis 14, Davis 14, Zampini 1, Nikolic 12, Lacey (k) 8, Zani, Villa n.e., Burns 5, Omenaka, Owens 9.
Allenatore: Pierluigi Brotto Assistenti: Carlo Campigotto.
Trieste: Paiano, Obljubech, Ross 12, Deangeli (k), Uthoff 23, Ruzzier, Campogrande, Candussi 13, Brown 15, McDermott 4, Johnson 10, Valentine 24.
Allenatore: Jamion Christian. Assistenti: Francesco Taccetti, Francesco Nanni, Nick Schlitzer.
Progressivi: 13-28 / 37-52 // 67-72 / 81-101
Parziali: 13-28 / 24-24 // 30-20 / 14-29
Arbitri: Attard, Paglialunga, Pepponi.
CREMONA – Torna a vincere Trieste, e lo fa giocando la sua pallacanestro, fatta di veloci transizioni, triple aperte, triple costruite con l’extrapass, triple prese fuori ritmo da nove metri, una predisposizione clamorosa a rimbalzo che le permette di concretizzare una superiorità strategica nel pitturato che le veniva attribuita già alla vigilia ma che riesce a confermare come chiave di questo fondamentale successo.
Fondamentale anche constatare come dieci giorni di polemiche, una specie di centrifuga mediatica che ha coinvolto praticamente tutte le componenti della pallacanestro triestina, non abbiano scalfito nemmeno la superficie della solidità mentale della squadra, giunta in Lombardia priva di Jeff Brooks (vittima di un attacco di bronchite) ma comunque solida e compatta, concentrata e cattiva al punto giusto fin dalla palla a due.
Un buon segnale per questi ottanta minuti finali che la vedono partire da un sesto posto riconquistato, che potrà mantenere matematicamente raccogliendo quattro punti in due partite e che ad oggi la vedrebbe opposta alla Germani Brescia nei quarti di finale dei playoffs (ma l’ammucchiata in testa e gli scontri diretti in arrivo potrebbero scombinare le attuali prime quattro piazze).
Trieste vince con autorità, capitalizzando con gli interessi la clamorosa superiorità nel reparto lunghi, dove può schierare un Jayce Johnson che migliora come atteggiamento e rendimento di partita in partita, dimostrandosi sempre più decisivo, ed un Francesco Candussi che si rivela un vero e proprio rebus per la difesa lombarda grazie alla sua bidimensionalità, capace di attrarre i lunghi avversari a chilometri dal pitturato.
51 a 33 il computo dei rimbalzi (con Uthoff, Johnson e Valentine in doppia cifra), ed addirittura 20 catturati in attacco: considerando che complessivamente Trieste ha sbagliato 42 tiri, significa che quasi un rimbalzo su due sotto il canestro di Cremona lo ha conquistato un giocatore triestino, regalandosi o regalando alla squadra seconde e terze chances che alla lunga stroncano la già approssimativa convinzione difensiva della Vanoli.I biancorossi dominano la partita nel primo tempo, credendo forse che i 15 punti di vantaggio accumulati in venti minuti e la facilità con cui arrivava a canestro sarebbero di per sé stati sufficienti per amministrare la seconda metà di contesa senza particolari patemi.
Ma Cremona, che non è ancora salva per il clamoroso quanto inaspettato colpo di coda di Pistoia a Venezia (i toscani peraltro saranno i prossimi avversari della Vanoli in un match che a questo punto si preannuncia drammatico) non ci sta a prestarsi da sparring partner per una blanda esibizione triestina, e sviluppa nel terzo quarto il suo massimo sforzo sfruttando il trio Davis-Willis-Christon con la collaborazione sopra il ferro di Tariq Owens (per il resto della partita tenuto a distanza di sicurezza dal tabellone dalla difesa biancorossa).
Ad un certo punto del terzo quarto il ritorno soprattutto offensivo dei padroni di casa pare inarrestabile sia da fuori che da sotto.
Complici alcuni minuti di polveri bagnate per i tiratori triestini e di una serie di attacchi arruffati ed irrazionali in cui la squadra di Christian costruisce ben poco, Cremona si riavvicina senza però mai scendere sotto i due possessi di svantaggio.
Ma è proprio in questo momento che emerge la solidità mentale, la maturità dei giocatori triestini, che capitalizzano il rientro in campo di Jayce Johnson ergendo letteralmente un muro sotto canestro sui due lati del campo: il californiano conquista quattro rimbalzi e segna tre canestri consecutivi, ridonando la tranquillità necessaria agli assi calati nel finale: Valentine infila un paio di logotriple delle sue, il professor Brown sale in cattedra per un clinic di tiro dall’angolo (tre triple di seguito per lui).
Il gap si dilata in pochi secondi avvicinandosi velocemente ai venti punti, Cremona cede anche dal punto di vista della convinzione quando si rende conto che il suo massimo non sarebbe bastato sotto i colpi di una Trieste che alla fine chiude con 18 triple segnate con il 43%, sfiora il 50% da due punti, limita clamorosamente le palle perse finendo inusualmente con meno di 10 turnovers (8 per la precisione), può contare su ben sei giocatori in doppia cifra e sintetizza la sua superiorità con il 124-80 di valutazione finale.
Sopra le righe la prestazione del trio delle meraviglie Uthoff-Valentine-Brown, che “spalmano” la loro eccellenza a rotazione nei 40 minuti e quando più la partita lo esige dimostrandosi decisivi, ma piace tantissimo anche la concretezza ormai granitica di Johnson alla terza doppia doppia consecutiva (a Cremona la realizzano anche Uthoff e Valentine).
Colbey Ross, come previsto, a mano a mano che torna vicino al ritmo pre infortunio sottrae più minuti a Michele Ruzzier, ma entrambi riescono a dare la loro diversissima impronta alla conduzione della squadra.
Molto positiva la prova di Francesco Candussi, che mostra gran tecnica sotto canestro (un tiro in scivolamento gettandosi indietro per evitare l’elevazione di Tariq Jones e sfruttamento del tabellone per i due punti è da manuale del “cinque”) ma mostrando il meglio del suo repertorio quando ruota da esterno: la conclusione da tre in fade away con la mano di Christon in faccia che tocca solo il cotone basta e avanza per descrivere l’educazione della sua manona.
In pantofole la prestazione degli altri, con McDermott più efficace in difesa che in attacco ma capace di infilare una tripla da lontanissimo nel momento di massima difficoltà con l’inerzia totalmente in mano a Cremona nel terzo quarto.
Ora cinque giorni di allenamenti e si torna in Lombardia per la seconda trasferta consecutiva (alla fine, nostro malgrado, fra campionato e playoff, nella migliore delle ipotesi, saranno almeno cinque) sul campo di una Varese che, nonostante la pesante sconfitta da quasi 40 punti sul groppone subita a Bologna, è matematicamente salva e dimostra già da qualche partita una certa dose di appagamento soprattutto da parte degli americani (il centro Tyus ha, dal canto suo, già abbandonato la compagnia).
Per affinare il piano tattico anti OpenJob Metis c’è ancora un po’ di tempo, ma la Trieste vista a Cremona può permettersi di pensare soprattutto a sé stessa, a quello che vuole essere e vuole diventare, al gioco che vuole imporre qualunque sia l’avversaria.
Un processo di crescita e di presa di coscienza indispensabile davanti al fatto che, finita la stagione regolare, la squadra avrà l’impellente necessità di cominciare a fare quello che finora in stagione non è (quasi) mai riuscito: vincere contro le squadre di prima fascia che la precedono in classifica.
Intanto, però, a testimoniare che tipo di stagione abbia fin qui disputato la Pallacanestro Trieste, ci sono i risultati già raggiunti: 17 vittorie, a due giornate dalla fine, sono il record assoluto dal ritorno in Serie A (nella prima stagione iniziata con il marchio Alma, nel 2018-2019, i punti realizzati furono 32 con il settimo posto finale).
In una sola occasione nel ventunesimo secolo Trieste collezionò 38 punti, nella stagione 2000-2001, quando però la Serie A1 contava su 20 squadre.
Per prestazioni ancora migliori bisogna tornare ai primi anni ’90, all’epoca Stefanel. Un’epoca dai fasti che, nonostante qualche imbecille dagli spalti tenti di sabotare (involontariamente), potremmo essere ormai prossimi a rivivere.
(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images
Ph. Antonio Barzelogna
20-04-2025 21:39 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
PALLACANESTRO TRIESTE-AQUILA TRENTO 88-94 (24-32; 17-22; 20-13; 27-27)
PALLACANESTRO TRIESTE:Obljubech, Ross 17, Deangeli, Uthoff 18, Ruzzier 5, Campogrande, Candussi 3, Brown 11, Brooks 4, McDermott 8, Johnson 10, Valentine 12. All. Christian.
AQUILA TRENTO: Ellis 18, Cale 19, Ford 13, Niang 11, Forray, Mawugbe 4, Lamb 17, Bayiehe 6, Badalau, Zukauskas 6, Hassan. All. Galbiati.
ARBITRI: Lanzarini, Dori e Valeriano.
TRIESTE – Il match di Pasqua materializza tutti i timori della vigilia: Trento si conferma eufemisticamente “indigesta” per la Pallacanestro Trieste grazie al suo talento ed alla sua fisicità, alla sua capacità di fare la cosa giusta al momento giusto, alla fortuna di ritrovarsi a disposizione (perlomeno fino a giugno) una stella destinata a brillare a lungo come quella di Quinn Alistair Ellis, capace di mettersi in proprio quando i meccanismi quasi perfetti della sua squadra si inceppano davanti al muro biancorosso fatto di voglia di reazione e di intensità difensiva, segnando i punti che servono per imporsi su un campo difficilissimo fattosi incandescente negli ultimi dieci minuti.
Trento, priva per l’occasione di Andrea Pecchia, vince la terza sfida su tre giocate contro Trieste in questa stagione e, dopo aver vinto la Coppa Italia, conquista anche la matematica certezza di partecipare ai playoff con quattro settimane di anticipo: niente male per una squadra costruita con il budget più limitato fra le attuali prime nove in classifica.
Trieste, sotto gli occhi di un’altra Eagle, Connor Barwin, nella partita nella quale era attesa al riscatto dopo la disfatta senza attenuanti del Taliercio, rimane in vantaggio solo sul 3-0 iniziale, riuscendo ad ingaggiare un corri e tira velocissimo, equilibrato e divertente per quasi tutto il primo quarto, subendo però le percentuali al tiro irreali sia da due che da tre -capaci di abbattere un mammuth- che Trento riesce a mantenere senza scossoni particolari fino a metà gara.
I biancorossi, dal canto loro, alla distanza mostrano preoccupanti falle difensive che parevano definitivamente tramontate: subiscono gli uno contro uno devastanti di Cole, Ford ed Ellis, che leggono alla perfezione i cambi difensivi e penetrano come lame nel burro nel cuore del pitturato consegnando bomboncini nelle mani dei lunghi oppure scaricano sul perimetro pescando i micidiali tiratori che ad un certo punto del primo tempo trovano il bersaglio nell’85% dei tentativi.
Cole si esibisce in un primo quarto da 16 punti, ma è tutta la squadra ospite a girare con una perfezione quasi disarmante, con Trieste che dal canto suo non smette mai di provarci, non abbassa mai la testa, sviluppa il suo solito gioco che però, molto semplicemente, a questi livelli, contro questi avversari, non è sufficiente.
Galbiati sa che difendere duro su Colbey Ross e Denzel Valentine significa mettere il bavaglio all’attacco biancorosso, con l’effetto collaterale di lasciare a secco di rifornimenti un tiratore micidiale come Markel Brown.
Il compito viene eseguito alla perfezione, con una difesa dura, sempre mani addosso, asfissiante sul portatore di palla fin nella sua metà campo, sempre in anticipo sul barbuto ex Chicago.
In una situazione del genere battezzare Uthoff è l’effetto collaterale minimo, e l’uomo di Iowa ringrazia tornando ai suoi livelli abituali ed evitando alla sua squadra di finire inesorabilmente alla deriva già a metà gara con una sequenza di conclusioni da ogni parte del campo.
L’evidente superiorità degli ospiti, che finiscono sul +14 con 54 punti segnati in venti minuti, fa presagire un secondo tempo in totale controllo da parte trentina, magari con qualche fiammata d’orgoglio di Trieste da contenere, ma tutto sommato mantenendo sempre l’inerzia saldamente in mano.
Ma i 6000 del Palatrieste non sono certo d’accordo, così come la squadra di Christian si ricorda che una difesa dura e convincente costringe perlomeno gli avversari a tentare conclusioni più forzate ed a più bassa percentuale, che si traducono puntualmente in numerose possibilità di partire in transizione e cercare perlomeno di giocarsela fino alla fine.
In un frastuono indescrivibile, nel brevissimo volgere di meno di cinque minuti, Trieste riesce a ricucire quasi tutto lo svantaggio, riprendendo coraggio e convinzione azione dopo azione e dimostrando se non altro che a questi livelli tutto sommato può tentare di competere.
Certo manca la zampata finale, il centesimo per fare un euro: quando il traguardo pare lì ad un passo, quando ha in mano i tiri del pareggio paga lo sforzo, è forse poco lucida, talvolta affrettata ed arruffona, e fallisce la spallata che avrebbe trasformato il granello di sabbia instillato nel meccanismo fin lì perfetto di Trento in un macigno capace di mandarlo in frantumi.
Gli ospiti, dal canto loro, nei momenti di difficoltà smettono di sviluppare un gioco organizzato e collettivo e si affidano ai loro assi nella manica, risultando altrettanto letali: le giocate giuste al momento giusto dei soliti Cole, Niang ed Ellis, cui si uniscono Zukauskas ed inutilmente irridente Lamb, le scelte perfette nel concitato finale, il sangue freddo nel realizzare i tiri liberi in un ambiente davvero pressante, ma anche la possibilità di difendere impunemente in modo duro e talvolta oltre il limite del fallo ed un paio di episodi perlomeno dubbi -oggettivamente meno dubbi una volta rivisti con calma- capitalizzati con interessi usurai consegnano alla fine i due punti alla squadra che più li ha meritati.
Come Trento, nel momento di difficoltà anche Trieste si affida ai solisti, rimette le responsabilità in mano a Denzel Valentine e Markel Brown (che non sono certo uomini che si tirino indietro nei momenti più decisivi), ma il gioco perde di armonia e continuità, il flusso del gioco è meno razionale e quasi del tutto finalizzato a far arrivare il pallone ad uno degli improvvisatori incaricati di inventarsi le giocate più impensabili.
Che, per carità, rispondono anche presenti, ma per l’appunto pagano inevitabilmente in lucidità e precisione quando lo sforzo cui sono chiamati pretende il pagamento del conto.
In uno scontro deciso dagli esterni, fa piacere assistere invece alla crescita costante di Jayce Johnson, migliore in campo sette giorni fa a Venezia, autore di un’altra doppia doppia con ben 13 rimbalzi catturati e di una prova complessiva fatta di qualche orrore tecnico specie sotto il ferro ma anche di tantissima intensità, di tante sportellate, di lavoro di gambe e di gomiti, di rimbalzi catturati ad altezze siderali (del resto fu il miglior rimbalzista in GLeague, è la specialità della casa).
Cercare di confermare il californiano, che ha ancora evidenti margini di crescita che, se sfruttati, lo renderebbero uno dei più efficaci tre-quattro centri del campionato, potrebbe non essere un’eresia.
Così come conforta l’integrazione ormai giunta a termine di Sean McDermott, ormai quasi infallibile quando viene pescato libero negli angoli o quando si mette in proprio partendo dal palleggio.
In difesa si è dannato l’anima fin dal giorno uno a Trieste, manca al suo repertorio un maggior ricorso all’attacco al ferro, che per capacità di ball handling, velocità sulle gambe e conformazione fisica sarebbe pure nelle sue corde.
Ancora una volta in questa stagione, però, Trieste dimostra di essere ancora un po’ indietro, di avere almeno un paio di lacune nel roster -specie per fisicità- per poter competere davvero alla pari con le squadre di primissima fascia, che d’altro canto saranno le avversarie nelle possibili serie playoff: un gap che va colmato, magari con un innesto, comunque con una attentissima analisi degli errori commessi ed una spasmodica quanto certosina ricerca di soluzioni che possano tappare le falle, per evitare che alla post season Trieste partecipi da semplice comparsa.
Sempre che l’ostentata attenzione del coach alla sua nuova avventura universitaria permetta di farlo con la dovuta concentrazione e senza distrazioni per la squadra.
Per una volta, intanto, arrivano buone notizie dagli altri campi (del resto, non può piovere per sempre). Venezia, dopo Brescia, perde un altro big match di abbagliante bellezza a Trapani dopo un supplementare (raggiunto con una bomba sulla sirena del quarantesimo minuto), rimanendo così due punti sotto Trieste.
Ciò che più conta, perde nuovamente anche la nona, Tortona, sconfitta di un punto a Treviso: ora la squadra piemontese, per sopravanzare Trieste, dovrebbe vincere tutte e tre le partite da qui alla fine della stagione regolare, sperando che i giuliani le perdano tutte.
Reggio Emilia, dal canto suo, soffre le pene dell’inferno in casa contro Napoli ma si impone nel finale, staccando la squadra triestina di due punti e strappandole così il sesto posto, ma ora gli emiliani sono attesi dalle sfide con Brescia e Trento.
In ultima analisi, nonostante la sconfitta, Trieste è ancora più vicina ai playoff, che potrà conquistare nella stragrande maggioranza delle possibili combinazioni di risultati.
Per contro, l’ultima volta che a Trieste ci si affidò alle scarse probabilità che si realizzino contemporaneamente condizioni sfavorevoli, sappiamo tutti com’è andata a finire. Meglio non rischiare, lasciare i calcoli ai matematici e gettarsi piuttosto come tigri sulla preda in ognuno dei prossimi 120 minuti di stagione regolare.
L’ultima nota a margine non può che riguardare la schizofrenia del pubblico del Palatrieste: ennesimo sold out sfiorato, oltre 6000 presenti, frastuono e supporto costante, spinta continua alla squadra che quasi ribalta il risultato.
Coreografia commovente a supporto di Federico Franceschin (con entrambe le tifoserie unite nel messaggio), atmosfera incredibile e non replicata per partecipazione numerica e decibel in nessun altro palazzetto in Italia. Ma, anche, i soliti insulti agli arbitri (peraltro, onestamente, quasi mai giustificati da effettivi errori), i lanci di carta ed oggetti in campo, addirittura il lancio di una bottiglietta d’acqua che sfiora il piede di un arbitro bagnando il parquet, una birra tirata ad un provocatorio Lamb a fine partita: una specie di bonifico anticipato, salatissimo, nell’uovo pasquale della LBA, che di questa stupidità vive e prospera. Sempre che la recidiva non abbia conseguenze ben più gravi.
E’ ora che la società si impegni per individuare e liberarsi di “tifosi” di cui si può con grande tranquillità fare a meno.
(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images
Ph. Antonio Barzelogna
20-04-2025 0:57
14-04-2025 22:42 In collaborazione con TSportintheCity – articolo di Francesco Freni
REYER VENEZIA – PALLACANESTRO TRIESTE: 103-71
Reyer Venezia: Tessitori 11, McGruder 8, Casarin 4, Moretti 4, Ennis 13, Janelidze 3, Kabengele 15, Parks 9, Wheatle 8, Simms 13, Wiltjer 13, Iannuzzi 2.
Allenatore: N. Spahija. Assistenti: V. Perovic, E. Molin, A. Billio.
Pallacanestro Trieste: Obljubech, Ross 12, Deangeli 4, Uthoff 3, Ruzzier 6, Campogrande, Candussi 6, Brown 17, Brooks 5, McDermott, Johnson 15, Valentine 3.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Progressivi: 29-13 / 54-36 // 82-54 / 103-71
Parziali: 29-13 / 25-23 // 28-18 / 21-17
Arbitri: Lo Guzzo, Gonella, Patti.
MESTRE (VE) – Stavolta nemmeno il Mose sarebbe riuscito a contenere l’ondata di marea orogranata che travolge, sommerge ed infine spazza completamente dal campo una intimidita truppa biancorossa.
Ma non è tanto la sconfitta, non sono i due punti che tutto sommato Trieste può andare a prendersi con gli interessi nelle prossime quattro sfide.
E’, piuttosto, il segnale che giunge da Venezia, dopo una partita, la seconda contro squadre di prima fascia, dalla quale la Pallacanestro Trieste esce annichilita dal punto di vista tecnico e, soprattutto da quello dell’atteggiamento.
Sì, perchè ammesso e non concesso che un posto fra le prime otto sia conquistato, poi ogni singolo confronto sarà una corrida, un duello da vita o morte da affrontare con convinzione e cattiveria, intensità e concentrazione, tutte caratteristiche che in molti dei momenti in cui sono stati chiamati a dimostrare di valere già in questa stagione uno fra i posti nell’élite del basket italiano, gli uomini di Jamion Christian si sono dimenticati di mettere nei borsoni caricati sul pullman che li portava in trasferta per affrontare squadre indubbiamente più affamate, più concentrate, anche più diligenti.
Ma una squadra che in tutte le sue componenti dichiara di voler vincere ogni singola partita, durante la post season non potrà certo continuare a farlo, altrimenti, qualunque sarà l’avversaria che dovrà affrontare, la post season rischia di durare davvero poco: la leggerezza, la faccia tosta, l’atteggiamento da allegra brigata che nella stagione regolare hanno spesso fatto la fortuna della squadra triestina saranno progressivamente meno determinanti rispetto alla ferocia agonistica a mano a mano che gli obiettivi di tutte le squadre divengono più definiti.
Certo, il precedente dell’anno scorso infonde ottimismo in questo senso, ma attenzione che l’A2 è un altro mondo, quella era un’altra squadra con una storia ed un vissuto totalmente diverso da quella di quest’anno.
E comunque il -75 accumulato in due partite contro dirette avversarie che prima o poi potrebbero essere rincontrate nella post season non possono non suscitare qualche piccola perplessità.Poi, ovviamente, c’è anche da fare i conti con la qualità delle avversarie dirette: se Trapani, incontenibile nella serata dei record, pareva assatanata e probabilmente avrebbe vinto contro qualunque squadra in Italia e con la gran parte in Europa, Venezia fa valere in modo letale tutto il suo arsenale fatto di tanti, tantissimi centimetri e chilogrammi, senza inventarsi nulla di particolare dal punto di vista tecnico sui due lati del campo ed anzi sfruttando il suo gioco di sempre, quello che prevedibilmente Trieste avrebbe dovuto studiare e mettere in crisi per avere anche una sola chance di uscire indenne dalla palestra mestrina.
In più, già dai primi minuti la squadra di Spahija mostra i muscoli, fa immediatamente maturare nelle menti dei giocatori triestini che appaiono inspiegabilmente appagati e scarichi, la convinzione che contro una Reyer in missione qualunque sforzo sarebbe stato vano.
Aggiungiamoci la serata di totale confusione dello staff tecnico (un time out chiamato dopo 1 minuto e 22 secondi se non è un record poco ci manca), per una volta colto totalmente alla sprovvista dalla continuità del martellamento nel pitturato da parte degli oro granata, che entrano e si avvicinano al ferro senza apparente difficoltà con Kabengele e Tessitori -e questo si poteva anche mettere in conto- ma anche con tutti gli altri, pure i piccoli, che arrivano a concludere da sotto con una facilità disarmante.
Provare a giocare small ball, togliendo per l’intero secondo quarto entrambi i centri, non sortisce alcun effetto, eccettuato un fugace quanto inconsistente break di 8-2 che non inverte l’inerzia e non consente nemmeno di sperare in un vero riavvicinamento nel punteggio, momento che peraltro dura un lampo fra due veementi accelerazioni veneziane che rimettono a posto gli equilibri.
Anche perchè la serata al tiro da fuori, che sarebbe dovuta essere l’arma principale per cercare di arginare il gap nel punteggio è di quelle che definire agghiaccianti è fortemente riduttivo.
Qualcosa arriva dal solo Markel Brown nei primi tre quarti di partita, inguardabili tutti gli altri che prima non riescono ad entrare in ritmo e costruire tiri che abbiano anche una lontana parentela con qualche possibilità di andare a segno, e poi si intestardiscono anche nel fallire le conclusioni più aperte, con la difesa veneziana che ormai si permette di battezzarle: segno di una fiducia già latente in partenza, tramontata dopo neanche cinque minuti di gioco.
Quando vivi una prestazione da tre così difficile, non resta che provare a penetrare, cadendo però nella devastante trappola fatta di forza bruta ed elevazione di cui Kabengele è solo l’interprete principale: Colbey Ross è annientato, un po’ meglio Ruzzier, ma privo di terminali per il pick and roll e con tutte le linee di passaggio per il penetra e scarica oscurate, anche lui finisce per naufragare nell’anonimato generale.
Ultimo elemento che spiega la disfatta su tutti i fronti, strettamente legata a tutto il resto, è la superiorità orogranata a rimbalzo: Venezia non concede seconde chance e se ne procura, per contro, a ripetizione, ribadendo più di una volta gli errori con devastanti schiacciate in tap in.
Comprensibile, infine, la voglia di andare sotto la doccia e cominciare a pensare già da stasera alla prossima, ma come già visto a Trapani, nessuna avversaria si ferma per una sorta di “mercy rule”, peraltro non contemplata nella pallacanestro: perdere di dieci o di trenta, di quindici o di quaranta, due punti in classifica a parte, fa una bella differenza per la gente che guarda, per i tifosi, per l’amor proprio, per non dare anche agli avversari la sensazione di resa totale.
Giga Janelidze non giocava, né tantomeno segnava una tripla, probabilmente dal 2023: Venezia gioca, diverte e si diverte fino alla fine, Trieste sbraca completamente dopo venticinque minuti. Può sembrare un particolare insignificante, è invece una lezione da imparare velocemente.
Difficile dimenticare in fretta l’imbarcata da -32 incassata (stavolta peraltro senza nemmeno infilarne 91 come a Trapani), però è necessario che la squadra e ciò che rimane della reale voglia di completare la stagione a Trieste da parte del coach -che anche oggi viene sanzionato con un inutile tecnico per proteste- facciano immediatamente tesoro degli errori commessi, e soprattutto riacquistino morale e cattiveria in vista di un rush finale niente affatto scontato: Venezia, questa Venezia, è probabilmente destinata ad imporsi nella corsa a quattro con Trieste, Reggio Emilia e Tortona per la conquista di uno dei tre posti realisticamente disponibili per i playoff (la prossima trasferta a Trapani dirà moltissimo in tal senso), Tortona perdendo a Sassari si inguaia ed ha un piede fuori dalla post season. Nulla, però, è già definito: intanto contro Trento, sabato prossimo, Trieste (che tutto sommato rimane sesta) vedrà passare l’ultimo treno per un complicatissimo ricongiungimento con il gruppo di testa.
E poi, dovrà affrontare squadre per fortuna già virtualmente (sebbene non matematicamente) salve, ma proprio per questo leggére e prive di ansie e per questo difficilissime da interpretare.
Per contro, con quattro punti di vantaggio e lo scontro diretto a favore con Tortona a quattro giornate dalla fine, ai biancorossi saranno sufficienti solo altri due punti. La missione deve ancora essere completata, la legnata subita al Taliercio è tramortente ma non letale: risollevarsi e ripartire!
(diritti riservati TSportintheCity)
Crediti: foto Panda Images
Ph. Antonio Barzelogna
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